Sonno e demenze: perché è importante dormire… bene

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Qualche settimana fa sono circolati sui giornali i risultati di alcuni studi che hanno messo in luce il ruolo della qualità del sonno sull’invecchiamento cerebrale. Il primo studio della Baylor University ha messo in evidenza che

un sonno corretto in gioventù e in mezza età aiuta la memoria e l’apprendimento, ma quando si superano i settanta, ottanta e novanta anni – quando di solito non si dorme più così tanto o così bene – il sonno non è più legato alla memoria. (Fonte: Associazione Alzheimer Riese Pio X°)

Il sonno profondo, chiamato «onda (cerebrale)-lenta-di sonno», aiuta la memoria prendendo pezzi di esperienze del giorno, rivivendole e rafforzandole per recuperarle meglio in seguito. “Fissare” i ricordi nella nostra memoria è fondamentale per le nostre capacità di apprendimento ed è funzionale ad alimentare la nostra riserva cognitiva. Uno studio pubblicato l’anno scorso  sulla rivista Science, ha evidenziato infatti che dormire dopo aver imparato qualcosa favorisce la crescita delle spine dendritiche, le piccole sporgenze delle cellule cerebrali che si connettono ad altre cellule cerebrali e facilitano il passaggio di informazioni attraverso le sinapsi, le giunzioni dove si incontrano le cellule cerebrali. A favorire tale crescita è l’attività delle cellule cerebrali durante il sonno profondo, o sonno lento, dopo l’apprendimento.

Quando si raggiunge la mezza età, anche le pause di sonno durante il giorno, come ad esempio un pisolino pomeridiano, aiutano la memoria e proteggono dal declino – a patto che tali pause non siano troppo prolungate e non vadano a impattare sulla qualità o quantità di sonno notturno. Con l’avanzare dell’età tuttavia, l’aspetto protettivo del sonno è compromesso dal fatto che si tende a svegliarsi di più di notte, si dorme meno profondamente e con meno sonno sognante, entrambi importanti per il funzionamento generale del cervello.

Ma cosa significa, almeno in termini quantitativi, dormire a sufficienza? Un recente studio, realizzato dalla fondazione americana National Sleep Foundation (NSF), ha provato a dare una risposta aggiornando gli standard di riposo a seconda dell’età. Secondo l’equipe multidiciplinare del NSF, a parte le consuete 7-9 ore previste in età adulta e le 14-17 ore per i neonati, per mantenersi sane e longeve le altre fasce di età hanno bisogno di dormire un po’ di più del previsto. Vale a dire:

  • Neonati (0-3 mesi):  ridotta a 14-17 ore ogni giorno (prima era 12-18)
  • Infanti (4-11 mesi): allargata di due ore a 12-15 ore (era 14-15)
  • Bambini (1-2 anni): allargata di un’ora a 11-14 ore (era 12-14)
  • Bambini in età prescolare (3-5 anni): allargata di un’ora a 10-13 ore (era 11-13)
  • Ragazzi in età scolare (6-13): allargata di un’ora a 9-11 ore (era 10-11)
  • Adolescenti (14-17): allargata di un’ora a 8-10 ore (era 8,5-9,5)
  • Giovani adulti (18-25):  7-9 ore (nuova categoria di età)
  • Adulti (26-64): non cambia e rimane a 7-9 ore
  • Anziani (over 65):  7-8 ore (nuova categoria di età).

Un ulteriore spunto sul perché il sonno sia tanto importante per l’invecchiamento cerebrale arriva dal neuroscienziato Jeff Iliff, protagonista della presentazione che vedete qui sotto, intitolata “Un motivo in più per avere un sonno notturno ristoratore“. Secondo il Dott. Iliff, il sonno non solo fornisce al cervello il quantitativo necessario di sostanze nutrienti vitali, ma è anche fondamentale per smaltire i “rifiuti” prodotti dalle cellule neuronali. Meccanismo questo che sembra si attivi solo mentre dormiamo e che permetterebbe a proteine associate all’invecchiamento cerebrale come le beta-amiloidi, co-responsabili della malattia di Alzheimer, di essere sistematicamente eliminate nelle ore notturne.

Dormire bene non fa quindi solo bene oggi, ma aiuta a invecchiare meglio domani.

Buona visione!

Eloisa

 

 

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