Cronache di demenza frontotemporale: La storia di Melina e Filippo

Melina e Filippo in una foto scattata nei primissimi anni del loro matrimonio

Oggi torniamo a parlare di demenza frontotemporale vissuta in prima persona. Anche stavolta la protagonista è una delle nostre pioniere, Melina, una moglie, mamma, nonna e insegnante che per tanti, troppi anni ha affrontato la malattia con l’angoscia nel cuore e rischiando tutto ciò che aveva di più caro. Inclusa la sua salute mentale.

Qualcuno potrebbe pensare che sia “normale” sentirsi disperati e soli quando si ha a che fare con una demenza. Sì e no, dico io. Dico di sì perché comunque si tratta di una malattia incurabile che ha effetti devastanti sia su chi si ammala che sui suoi familiari. Dico anche no perché molte delle sofferenze vissute dalle persone che affrontano questa malattia sono evitabili.

Mi spiego meglio. La cosa che più mi colpisce ogni volta che parlo con qualcuno che assiste un proprio caro con demenza frontotemporale (o di altre forme di demenza che non sono Alzheimer) è che tutti, senza esclusioni, parlano di quanto hanno dovuto imparare da soli, come se la malattia del loro familiare fosse stata scoperta ieri e non ci fosse alcuno strumento utile per conoscerla e affrontarla.

Il che è francamente assurdo per almeno tre motivi: il primo è che le persone con demenza frontotemporale non sono così rare ma rappresentano almeno il 15-20% di tutte le persone con demenza nel mondo. Il secondo motivo è che i primi casi di demenza frontotemporale descritti nella letturatura scientifica risalgono alla fine del 1800! Il terzo motivo è che per fortuna oggi le nuove tecnologie consentono di rilevare con più accuratezza eventuali degenerazioni nei lobi frontotemporali.

Leggendo la storia di Melina viene da chiedersi quanta sofferenza si sarebbe potuta evitare se questa malattia non fosse taboo, se alle prime avvisaglie qualcuno avesse detto a Melina e ai suoi familiari che è possibile ammalarsi di questa forma di demenza anche a 50 anni e che il cambiamento di comportamento può essere dovuto anche a una malattia neurologica e non necessariamente a una malattia psichiatrica.

La mia impressione è che la nostra società non voglia accettare questa malattia, negandone l’esistenza o la rilevanza sia a livello medico-clinico che a livello sociale. Avete mai sentito parlare di demenza frontotemporale dai nostri media principali? O nelle campagne che promuovono le comunità amiche della demenza? Perfino i medici spesso si rifiutano di riconoscerla e comprenderla anche quando si ritrovano un paziente nel loro ambulatorio. Per non parlare delle case farmaceutiche. Non ho ancora avuto modo di ricercare quante sperimentazioni cliniche riguardano direttamente questa forme di demenza ma temo che il loro numero sia abbastanza irrisorio rispetto al numero delle persone che hanno una diagnosi.

Concludo lo sfogo con una richiesta: mi aiutate a far conoscere meglio questa malattia ed evitare un bel po’ di sofferenze inutili a chi se la vive sulla propria pelle? Stiamo coltivando una piccola rivoluzione culturale: più siamo e meglio è.

Intanto buona lettura…

Eloisa

La storia di Melina e Filippo

“… ciò che importa raggiungere è una serena valutazione della realtà, cosa tuttavia più facile da dire che da fare… dato che velocemente cambiamo noi e insieme contemporaneamente, cambia anche la realtà…”
(dal libro “Il male oscuro” di Giuseppe Berto)

Sono Melina, moglie di Filippo. Ho due figli e quattro nipoti.

Mio  marito ha 63 anni ed è affetto da degenerazione frontotemporale con alterazione comportamentale. Questo disturbo è caratterizzato da gravi alterazioni dell’umore, delle emozioni e dei comportamenti. Chi ne soffre, compromette, suo malgrado, la propria vita familiare e sociale. È una malattia ” subdola”… Per circa 15 anni e forse più, ho avuto grossi problemi relazionali e di gestione familiare con Filippo, ma nessuno, in famiglia, aveva lontanamente intuito che i suoi comportamenti irresponsabili fossero manifestazioni di una malattia così “diabolica” da essere non facilmente individuabile, soprattutto 15 anni fa!

Nel nostro percorso di vita insieme, Filippo ha fatto tante spese avventate e superflue… Amava particolarmente gli strumenti elettronici e cambiava spesso auto e moto. Queste spese incidevano pesantemente e… “dolorosamente” sul bilancio e sull’umore della famiglia!!

Vani sono stati i miei tentativi di prendere le redini della situazione finanziaria! Nessuno riusciva ad entrare nel suo mondo! Filippo continuava a non avere cura dei soldi e a spenderli in modo irresponsabile per cui non gli bastavano mai!

Io, ignara della vera causa di quella che ritenevo “faciloneria spregiudicata”, ho cercato sempre di ricominciare, sperando che con il mio amore prima o poi sarebbe cambiato. Ho cercato sempre di stargli vicino, di ascoltarlo, di condividere quello che a lui piaceva, come andare in gita con la moto, anche se ero terrorizzata.

Le nostre incomprensioni sono diventate sempre più insopportabili, con il passare degli anni, e i periodi di silenzio tra di noi… sempre più lunghi.

Diventava sempre più diffidente, e, quando si sedeva a tavola con noi, stava in silenzio, con la testa poggiata sulla mano, e, se parlava, era per lamentarsi del cibo!

In casa era sempre più disordinato, aveva maturato la strana abitudine di perforare le pareti per farvi passare dei cavi elettrici. Non era facile “metabolizzare” le sue stranezze, senza far trapelare sensazioni di insofferenza                                                                                                                          …

Passava da uno stato di esaltazione nevrotica ad una calma disarmante, a volte dava l’ impressione di non ricordare quanto accadesse… Non manifestava sentimenti di tenerezza per i nostri figli e per i nostri nipotini. Era continuamente insoddisfatto!!!

A distanza, mi rendo conto di quanta inconsapevole sofferenza disturbasse la sua identità!

Eppure, per molti anni è stato un volontario molto attivo della Croce Rossa prestando il suo servizio in città, in Italia e anche all’estero. Sembrava molto fiero di questa attività.

Ma, piano piano, ha abbandonato anche questo campo. Io non ne capivo il motivo, né mi era dato di saperlo, perché non potevo contare sulla sua autenticità!

“… mentre l’adolescente era tutto astratti ed angelici, fuori, chissà cosa gli stava trafficando il Super-io…”

Con il passare del tempo, i suoi strani comportamenti hanno allontanato da lui anche i rapporti di vera amicizia, persino con i parenti più prossimi.

I problemi sul lavoro e con i colleghi si  compromettevano sempre di più. Pur con l’angoscia nel cuore, cercavo di tutelarlo da tutti e con tutti lui si mostrava assai innamorato di me. Come, a volte, la verità si può confondere candidamente con l’autodifesa!

Mi è costata tanta sofferenza realizzare, con il tempo, che tutti i comportamenti di Filippo erano manifestazioni di una malattia seria. Ma vani sono stati i tentativi di convincerlo ad accettare l’aiuto di uno specialista. Era convinto che lui stesse bene e che fossi  io a dovermi curare!

Un miscuglio di sentimenti contraddittori e confusi mi hanno portato all’esasperazione! Così, il 30 Aprile del 2015 mi sono allontanata da casa, lasciandolo da solo e trasferendomi a casa di mia figlia.

La mia “disperata speranza” era quella di scuoterlo e… farlo rinsavire. Ma dovevo presto realizzare, con grande e confusa amarezza, che ogni suo comportamento, era frutto di un disagio che aveva e di cui avrebbe dovuto discutere  con un esperto che lo aiutasse a superarlo! Sentivo che… non potevo distrarmi da quella realtà…

I tempi di Dio… non sono  i nostri, ma non passano mai inutilmente, anche quando viaggiano attraverso “porte molto strette”! Rimanere solo a casa è stato un duro colpo per Filippo.  Mai si sarebbe aspettato un simile comportamento da parte mia.

Per sette mesi, Filippo continuava ad inviarmi messaggi e mail, perché voleva che io tornassi a casa con lui, ma la mia condizione alla ” resa” era sempre la stessa, anche se sempre più difficilmente tenace: avrebbe dovuto accettare di curarsi!!!

Finalmente, il 9 dicembre 2015 Filippo ha chiesto spontaneamente il ricovero ed è rimasto in ospedale fino al 4 gennaio 2016. E’ stato dimesso con la diagnosi di disturbo bipolare .

Nel frattempo, avevo preso in affitto un piccolo appartamento vicino casa di mia figlia e, quando Filippo è stato dimesso, l’ho portato a casa con me.

Per vari motivi, non mi sono fermata alle cure che gli erano state prescritte e, dopo varie ricerche, sono riuscita ad avere un appuntamento con la  Prof.ssa Cecilia Amalia Bruni, nel centro di neurogenetica a Lamezia. Lei  ha subito capito che si trattava di ben altro che  un disturbo bipolare! Ha fatto fare a Filippo altri esami tra cui una risonanza magnetica: il suo cervello, dal lato frontale destro, appariva come “un tappeto rosicchiato dai topi”. Povero Filippo!

Non era colpa sua se aveva provocato tanti danni a sé e alle persone a lui care… che via via  non riconosceva più come tali: io secondo lui , non sono sua moglie, perché… “non ci siamo mai sposati”’..

Ho vissuto buona parte della vita matrimoniale con la paura che sempre qualcosa di brutto potesse accadere, una notifica di pagamento, bollette non pagate, situazioni che mi soffocavano , mi deprimevano. Ho avuto la fortuna di avere due figli, quattro bellissimi nipotini e tanti amici che mi hanno sostenuta e incoraggiata, mi hanno consigliata e aiutata ad affrontare i momenti di sconforto.

Ma, quando è la Sofferenza che t’incontra, fai fatica a darle un nome amabile. Ti difendi dietro colpe di altri, cerchi radici negli errori del passato.

Adesso non ho più un marito, ma un bambino malato da accudire. Ama molto camminare e percorre chilometri a piedi anche sotto un sole cocente come quello di questa estate rovente. Gli piace ascoltare la musica, ma non segue più un film né altro in televisione. Lui, che era un informatico, adesso non si avvicina proprio ad un computer perché non sa usarlo.

Lo scorso anno ho rinunciato al lavoro che tanto amo, per potermi dedicare completamente a Filippo e cercare di mettere un po’ di ordine nella nostra vita sconvolta. Ho aspettato con speranza che partisse il centro diurno nei pressi della mia cittadina, un centro che è attrezzato di tutto punto per gli ammalati di Alzhaimer e demenza, ma che non va a regime perché non ci sono i finanziamenti.

E’ un centro che  frequentiamo da tempo , una volta la settimana, un paio di ore al pomeriggio, e Filippo ne trae molto giovamento. Due volte al mese torniamo anche a Lamezia, e frequentiamo il “Caffé Alzhaimer” fortemente voluto dalla professoressa Amalia Cecilia Bruni , Direttrice del centro di neurogenetica della Calabria, che si impegna da anni attraverso azioni di sensibilizzazione, prevenzione ed assistenza nel campo delle demenze.

“I caffè Alzheimer” hanno lo scopo di fare uscire le persone ammalate e i loro familiari dall’isolamento sociale che questa malattia comporta, attraverso degli incontri periodici fuori dalle strutture sanitarie e, nel contempo, di creare una rete solidale di individui o associazioni che favoriscano il processo di empowerment di ogni famiglia di persone affette da demenza.

L’equipe, costituita da una neurologa, due psicologhe , un’assistente sociale e dai volontari del servizio civile, svolge attività di stimolazione cognitiva e di supporto ai caregiver.

Il programma vede coinvolte alcune Associazioni  che regalano ai partecipanti momenti di socializzazione e attività come: ginnastica dolce, yoga della risata, pet therapy, tango, torneo di bocce, laboratorio di ceramica. L’integrazione tra varie figure professionali, enti pubblici e privati e soggetti del terzo settore, favorisce la condivisione delle problematiche attraverso la nascita di nuove relazioni amicali, la riduzione dello stigma di malattia, l’accettazione di altre forme assistenziali come la frequenza a centri diurni e la riduzione del ricorso all’istituzionalizzazione”

Lo reputo un progetto di grande valenza sociale!

Grazie alla professoressa, ho conosciuto Eloisa, dell’associazione Novilunio, e ho subito stabilito i contatti. Ogni 15 giorni un gruppetto di familiari di persone che soffrono di ” demenza” , ci incontriamo virtualmente in collegamento video e diamo sfogo alle nostre “anime dimezzate”. Abbiamo anche un gruppo WhatsApp, dove quasi tutti i giorni possiamo condividere il nostro vissuto, le piccole conquiste, ma soprattutto tutte le difficoltà che incontriamo momento per momento nella gestione di questa strana, assurda, dolorosa malattia!

Da poco, sono tornata a scuola, ma a S. Costantino Calabro, un paesino che dista 23 Km da Vibo Marina. Pensavo che, data  la mancanza di un centro di ausilio a queste situazioni, la mia vita incontrasse nuovi dolorosi ostacoli, ma, proprio a S. Costantino, ho trovato un assistente disponibile a sostituirmi con Filippo, nelle ore in cui io lavoro.

Riflettendo sulle mie difficoltà, trovo comunque la consolazione che, confidando in Dio, soprattutto in occasione delle “cadute”, Lui trova il modo di  procurare i  rimedi… di volta in volta.

Allora, non scoraggiamoci! Troviamo nell’unità la nostra forza!

La Sofferenza t’immette in luoghi imprevedibili e ignoti, ma è anche “la finestra” da cui Dio guarda il mondo ed il mondo può “ vedere” meglio Dio!!!

Che Dio ci aiuti … a fare bene la nostra parte!!!

Melina