I vantaggi di conoscere la propria diagnosi: il punto di vista di Mary Radnofsky

Con il video di oggi, concludiamo il ciclo di articoli dedicati all’importanza di conoscere la propria diagnosi. In questo terzo video la Dott.ssa Mary Radnosfky, che convive da oltre 12 anni con una diagnosi di demenza a esordio precoce, insiste su due aspetti:

1) La diagnosi è un diritto che permette di mantenere autonomia e controllo sulla propria vita. Conoscere o meno la propria diagnosi fa tutta la differenza del mondo tra il poter lottare per tutto ciò che per noi importante – a partire dalla nostra salute – e il delegare ad altri (medici, familiari, addetti ai lavori) ogni decisione e responsabilità riguardo alla gestione della propria vita e malattia.

2) Vivere una vita di senso dopo aver ricevuto una diagnosi di demenza è un obiettivo possibile ma non è  scontato. Innanzitutto bisogna crederci – ovvero superare i pregiudizi che limitano la nostra speranza.Mi riferisco a tutte quei falsi miti e atteggiamenti secondo i quali una vita con una demenza non può essere considerata una vita dignitosa. Se nemmeno le persone con demenza lo pensano, allora il problema è nostro. Persone come Mary che vivono le prime fasi della malattia dimostrano che la demenza non si riduce agli stereotipi a cui siamo abituati. Avere una demenza non significa essere automaticamente incapaci di prendersi cura di se stessi o di parlare con voce in capitolo della propria vita ed esperienza. Né significa che chi convive con delle limitazioni funzionali non sia più in grado di apprezzare tutto ciò di buono che la vita può offrire.

A chi pensa che Mary non abbia VERAMENTE una demenza perché appare troppo “normale”, rispondo questo: la demenza è una malattia progressiva che impiega diversi anni prima di arrivare a quegli stereotipati stadi finali che siamo abituati a vedere attraverso i media. Come dice spesso Wendy Mitchell: “la demenza deve pur iniziare da qualche parte”. Nelle prime fasi della malattia, le difficoltà che emergono possono essere molto subdole (e impercettibili agli altri), fino a diventare man mano sempre più visibili e gravose. L’altra cosa importante da sottolineare è che Mary può anche sembrare “troppo sana” ma ciò non significa che non viva tutte le difficoltà di chi ha la sua diagnosi. Se avete visto i suoi video precedenti, sapete di cosa sto parlando.

Se metto insieme tutte le testimonianze delle persone con demenza che ho ascoltato, il nocciolo della questione è questo: dal punto di vista di chi si ammala conoscere la causa dei propri mali ha un ruolo terapeutico indispensabile perché permette di instaurare una relazione tra chi cura e chi è curato basata sulla fiducia e sulla comprensione dei cambiamenti in atto e quindi delle azioni necessarie (es. piani terapeutici, adattamenti stile di vita, ecc.) per mantenere il massimo livello di benessere il più a lungo possibile.

Chi è convinto che tacendo una diagnosi di demenza faccia il bene della persona malata spesso ignora le statistiche che dicono l’esatto opposto: ovvero che, se e quando interpellate, la maggior parte delle persone con demenza dicono di voler conoscere la loro diagnosi (ad esempio vedi van den Dungen et al. 2014; Pinner et al. 2003; Jha et al. 2001). I motivi del voler sapere sono spesso associati al rischio di vedersi privati della propria autonomia. E’ chiaro che una persona che ha dei limiti cognitivi va accompagnata con molta discrezione nel percorso di conoscenza del cambiamento in atto. Però ciò non significa che non si possa fare; ci vuole tempo, preparazione e… tanta consapevolezza dei nostri stessi pregiudizi che, spesso inconsapevolmente (vedi punto 2 sopra), ci spingono a decidere per gli altri.

Allo stesso tempo è pur vero che ci sono persone che non vogliono conoscere la loro diagnosi: anche in questo caso il loro volere va rispettato. L’importante però è accertarsi che tale richiesta non venga confusa con le nostre paure. Siamo noi che vorremmo non sapesse o sono loro a chiederlo?

Insisto su questo punto per due motivi. Il primo è perché le persone con demenza si trovano in una posizione di svantaggio nel far valere i loro diritti e bisogni. Se neghiamo loro la possibilità di esprimere le loro preferenze non lediamo quello che hanno di più caro al mondo: la loro dignità. Il secondo motivo è che, anche se per noi “sani” può sembrare impossibile da accettare, molte persone con demenza affermano che per loro conoscere la propria diagnosi è stata anche un sollievo perché ha restituito un senso alle loro difficoltà. Il motivo di questo sollievo è intuibile: avete mai provato a stare male senza riuscire a capire il perché? A me è successo ed è stata un’esperienza molto frustrante se non a tratti angosciante. Immaginatevi come si deve sentire una persona che deve convivere con questa sensazione per anni! La stessa Mary in questo video dice di aver vissuto i primi 8 anni di malattia senza una diagnosi dandosi la colpa per tutti gli ostacoli e problemi che stava vivendo. Se provo a mettermi nei suoi panni, posso solo vagamente immaginare l’inferno che deve aver passato in quel periodo. Non c’è nulla di peggio della mancanza di senso…

Non è nemmeno plausibile pensare che tutte le persone con demenza siano inconsapevoli di tutte le loro difficoltà o della loro diagnosi. E’ invece molto più probabile pensare che non si rendano conto di tutti i loro deficit. Almeno in teoria, bisognerebbe sempre partire dall’ipotesi opposta, cioè che un po’ di consapevolezza c’è e che, ai fini del principio di benevolenza, il rapporto terapeutico deve partire proprio da qui.

Concludo infine con una domanda: secondo voi, se invece del quasi-vuoto post-diagnostico di cui “godono” le persone con demenza nel nostro paese, fosse previsto un vero e proprio percorso di accompagnamento a livello riabilitativo, socio-assistenziale e di reinserimento sociale… un percorso mirato da un lato ad aiutare chi si ammala a comprendere la propria malattia (incoraggiando un atteggiamento positivo alla vita oltre la diagnosi) e come prendersene cura,  e dall’altro a mantenere il massimo livello di qualità della vita e integrazione nella propria comunità… un percorso insomma, in cui il medico dice al proprio paziente: “Signor Rossi, la diagnosi è di demenza. Però questo non significa che deve rassegnarsi passivamente alla malattia, anzi… può ancora fare un bel po’ di cose per tenersi stretta la sua vita grazie all’aiuto di servizi, risorse ed esperti che aiuteranno lei e i suoi familiari ad affrontare le difficoltà”… Secondo voi: tutta questa resistenza a comunicare la diagnosi sarebbe ancora un problema?

Testo del video:

Mi chiamo Mary Radnofsky.

Quando si riceve una diagnosi di demenza si acquisisce il diritto di ricevere supporto da parte dei medici che vi hanno in carico, oltre che dalla comunità in cui vivete e dallo Stato di cui siete cittadini.

[Grazie alla diagnosi] potete accedere alle cure sanitarie, alle agevolazioni economiche previste dal sistema socio-assistenziale e a tutti i servizi che dovrebbero servire ad affrontare la malattia.

Il vostro medico è tenuto a rilasciarvi una diagnosi ufficiale insieme ai referti medici di tutti gli esami effettuati. Se il vostro medico non rilascia la diagnosi o i referti degli esami che avete effettuato, perdete la possibilità di usufruire di questi servizi.

Secondo la convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità firmata e ratificata da oltre 175 paesi inclusi gli Stati Uniti e l’Italia, avete lo stesso diritto di essere informati sulla vostra salute come qualsiasi altra persona che non ha una demenza perciò avete il diritto di ottenere i documenti della vostra diagnosi e la vostra cartella medica così come avete il diritto di comunicare le vostre preferenze sulle cure e l’assistenza che desiderate.

Le persone con disabilità hanno bisogno di assistenza quando non possono più lavorare. Anche voi avete il diritto di ricevere queste informazioni. Probabilmente per ottenerle ci vorrà del tempo e richiederà iter burocratici piuttosto complicati.

Preparatevi anche ad affrontare difficoltà legali e finanziarie. Preparatevi ma fatevi anche aiutare a organizzarvi per tempo.

Una vita di senso dopo la diagnosi è possibile… con il sostegno degli altri

Potete ancora vivere una vita felice [dopo la diagnosi]. Potreste aver bisogno di tempo per capire cosa è importante per voi a fronte di questo cambiamento. Ognuno di noi ha bisogno di cose diverse.

La cosa migliore è affrontare queste cose il più presto possibile con i vostri cari non appena il vostro medico conosce la vostra diagnosi.

Dovrete anche trovare un modo affinché le persone che vi circondano possano comprendere i vostri bisogni, sappiano come state, cosa vi fa stare bene e cos’è importante per voi.

[A fronte di una diagnosi] dovrete sicuramente prendere decisioni importanti riguardo alla vostra vita. Ognuno di noi prende decisioni diverse in base ai propri bisogni. Ad esempio, potreste aver bisogno di decidere dove desiderate vivere, e quindi dovrete informarvi sulle residenze per persone con disabilità. Oppure ancora dovrete informarvi sulla vostra malattia e sui servizi riabilitativi a cui potete accedere.

Vivrete ancora per molti anni, perciò è meglio organizzarsi prima possibile.

Siamo molto più resilienti di quello che pensiamo

Dal momento in cui ci viene comunicata la diagnosi la nostra vita cambia il suo corso. Questo però succede spesso nella vita: ogni volta che incontriamo un nuovo amico, oppure cambiamo il lavoro, ci innamoriamo… ogni volta che accade una di queste cose cambia il corso della nostra vita.

Certo, adesso che conviviamo con una demenza siamo costretti a rallentare. Oppure dobbiamo imparare a mantenere le nostre abitudini in maniera diversa… ma almeno abbiamo il tempo per capire ciò che per noi è veramente importante e ha un senso.

Ok, in tutta sincerità probabilmente non avrei mai scelto di vivere in queste circostanze per rivalutare la mia vita! Ma adesso questo è diventato il mio cammino e preferisco sapere tutta la verità piuttosto che ignorarla.

Convivo con la demenza da oltre 12 anni ma ho ricevuto la diagnosi definitiva solo 4-5 anni fa. Per me è stato fondamentale conoscere la mia diagnosi per capire le scelte che dovevo fare. Mi ha anche aiutato a riconciliarmi con gli otto anni di caos che ho vissuto prima della diagnosi. In quel periodo, invece di attribuire le difficoltà che stavo vivendo alla malattia, non riuscivo a capacitarmi dei miei errori – dal denaro perso ai problemi di relazione, alla depressione, all’isolamento in cui mi ritrovavo, al senso di perdita, alla stanchezza… Ho perso 8 anni di terapia che mi avrebbero aiutato a gestire molti dei miei sintomi.

Nonostante la mia malattia, posso dire che oggi mi sento molto meglio, me la cavo molto meglio e, per molti versi, la mia salute è migliore oggi rispetto ad allora perché adesso so cosa mi sta succedendo. Posso cambiare le cose per cercare di vivere e migliorare la qualità della mia vita quotidiana.

Conosco persone che hanno la demenza da oltre vent’anni e vivono  ancora una vita di qualità, fanno ancora attivismo. Ciò è in parte è possibile perché hanno imparato a riconoscere, limitare e gestire i loro sintomi.

Ci sono molte forme di demenza con sintomi molto diversi dai problemi di memoria tipici della malattia di Alzheimer. Ad esempio, alcune persone con demenza sono irrazionali, confondono fatti e informazioni, oppure si muovono lentamente, perdono la motivazione. Oppure ancora si distraggono, perdono l’orientamento. Alcuni piangono più facilmente. Anche questi sono campanelli d’allarme di una demenza. Perciò se conoscete qualcuno che manifesta cambiamenti inspiegabili, oppure notate questo tipo di sintomi sociali, aiutateli a conoscere la verità.

Siamo esseri umani resilienti, siamo in grado di accettare la verità, sia nel caso si tratti di una diagnosi demenza o qualcosa di peggio. Abbiamo bisogno di sapere cosa ci sta succedendo perché più sappiamo e più è facile comprendere il nostro cammino. Più siamo informati rispetto alla nostra salute, più saremo in grado di fare delle scelte sagge. Ed è importante prendere decisioni di senso quando si tratta della nostra vita… perché questa è decisamente una vita degna di essere vissuta e questa è la verità. Vivete bene! Grazie

FONTI

  • Pim van den Dungen, Lisa van Kuijk, Harm van Marwijk, Johannes van der Wouden, Eric Moll van Charante, Henriette van der Horst and Hein van Hout. “Preferences regarding disclosure of a diagnosis of dementia: a systematic review, International Psychogeriatrics, Volume 26, Issue 10, 2014 , pp. 1603-1618
  • Gill Pinner e Walter Pierre Bouman. “Attitudes of Patients With Mild Dementia and Their Carers Towards Disclosure of the Diagnosis”. International Psychogeriatrics,Volume 15, Issue 3, 2003 , pp. 279-288
  • Jha A, Tabet N, Orrell M. “To tell or not to tell—comparison of older patients’ reaction to their diagnosis of dementia and depression”. Geriatric Psychiatry, Volume16, Issue 9, 2001.