Diagnosi e demenza a esordio precoce: la testimonianza di Cristina

Nella foto, Cristina e Livio
Nella foto, Cristina e Livio. Livio ha una diagnosi di demenza frontotemporale a esordio precoce (con variante comportamentale)

Chi non conosce l’universo delle demenze di solito non sa che il primo grande ostacolo da affrontare è ottenere una diagnosi definitiva della malattia. E’ un ostacolo che spesso si trasforma in una vera e propria via crucis quando la demenza è precoce e colpisce persone che hanno un’età ben al di sotto dei “tradizionali” 65 anni. E’ questo il caso di Livio, il marito di Cristina, autrice della testimonianza di oggi.

Prima di arrivare alla diagnosi di demenza frontotemporale, Livio ha dovuto affrontare 9 mesi di ricoveri e false ripartenze che lo hanno messo in ginocchio – fino al punto di rischiare di non farcela. All’epoca aveva poco più di 50 anni.

Adesso che la sua malattia ha finalmente un nome ufficiale, le difficoltà sono diventate altre. Da un lato Livio è sempre più isolato perché non riesce più a relazionarsi con gli altri e il mondo come faceva un tempo e dall’altro lato Cristina soffre terribilmente perché non riesce a “raggiungere” il marito che la faceva ridere e che ha cresciuto insieme a lei 4 figli.

Le parole difficili che chiudono questa testimonianza esprimono tutto il dolore di chi è costretto ad affrontare da solo una malattia tanto incompresa perfino dagli “addetti ai lavori”.  Abbiamo ancora tanta strada davanti per fare di più e meglio per i Livio e le Cristina del mondo. La sensibilizzazione non basta: servono risposte concrete.

Un’ultima cosa: Cristina è un membro del nostro nuovo gruppo di auto mutuo aiuto per coniugi di persone che hanno una demenza a esordio precoce. Se qualcuno vuole unirsi a noi, può scriverci un’e-mail a: info@novilunio.net.

Buona lettura,

Eloisa

La storia di Livio e Cristina

Nella foto, Cristina e Livio insieme ai loro 3 figli
Nella foto, Cristina e Livio insieme ai loro 3 figli

“…Mi manchi veramente troppo troppo troppo ancora…

Ho passato tutto il giorno a ricordarti
Nella canzone che però non ascoltasti
Tanto lo so che con nessuno avrai più riso e pianto come con me
E lo so io ma anche te

Quasi trent’anni per amarci proprio troppo
La vita senza avvisare poi ci piovve addosso
Ridigli in faccia al tempo quando passa per favore
E ricordiamoglielo al mondo chi eravamo e che potremmo ritornare…

… Musica più forte che sfidi la morte
Accarezza questa mia ferita
Che sfido la vita…”

-POTREMMO RITORNARE- Tiziano FERRO

 

Mi chiamo Cristina, sono sposata con Livio da 30 anni e abbiamo rispettivamente 52 e 54 anni. Ci siamo sposati, giovani e siamo praticamente “cresciuti” insieme… siamo stati felicemente sposi, amanti, amici, complici, genitori (3 ragazzi ormai grandi di 28, 25 e 23 anni e un bimbo che oggi sarebbe maggiorenne e che, quando aveva 5 anni, ha condiviso con noi due anni in un momento difficile della sua pur breve vita…) e più recentemente nonni (di due splendidi nipotini) a dimostrazione che la vita ha in sé una forza straordinaria e che, indipendentemente da tutto, e a volte contro ogni aspettativa, porta avanti la sua forza dirompente.

Purtroppo parlando di noi mi viene da usare il passato perché la nostra vita è cambiata totalmente 3 anni fa quando …“la vita senza avvisare ci è piovuta addosso”… con una diagnosi di Demenza Fronto-Temporale.

Anzi no, mi correggo… perché anche se da 3 anni mio marito non sta bene, la diagnosi è arrivata solo un anno dopo, dopo più di 9 mesi di ospedalizzazione, e decine di terapie con farmaci antipsicotici e antidepressivi.

Ma partiamo con ordine, dall’inizio.

Ottobre 2014. A distanza di un mese dal matrimonio della nostra prima figlia, mio marito comincia ad apparire strano… poco reattivo, disinteressato a tutto ciò che fino a poco prima lo interessava, ansioso, spaventato di tutto… Ovviamente attribuiamo il tutto allo stress, pur piacevole, del matrimonio di nostra figlia e alla tempesta emotiva che deriva dal raggiungere un simile traguardo. Tuttavia, più i giorni passavano e più la sintomatologia peggiorava, fino al riscontro occasionale di una pressione arteriosa leggermente ai limiti che ci ha messo in stato di allerta, nonostante i tentativi di tranquillizzarci del medico di famiglia e l’inizio di una terapia anti-ipertensiva.

Un giorno poi, al rientro dal lavoro, mi sono accorta che Livio aveva una certa difficoltà ad articolare le frasi e le parole… per cui l’ho accompagnato in pronto soccorso.

In questa sede vengono fatti una serie di esami in urgenza che risultano tutti negativi. Ciononostante, il neurologo che lo valuta, non convinto, propone il ricovero per ulteriori accertamenti.

Oltre ai vari accertamenti diagnostici strumentali, risultati tutti negativi, viene chiesta anche una consulenza psichiatrica e viene impostata una terapia con ansiolitici e antidepressivi. Nell’arco di mezza giornata la sintomatologia migliora, mio marito viene dimesso con una diagnosi di sindrome ansiosa depressiva.

Premetto che Livio è sempre stato una persona solare e positiva e che fino ad allora non aveva mai manifestato stati d’ansia o depressione. Eppure tutti mi dicevano, può sempre succedere a chiunque, che il cambiamento era dovuto al matrimonio della figlia, allo stress sul lavoro, ecc.

Dopo la dimissione dall’ospedale, veniamo presi in carico dal CIM, (centro di igiene mentale) dove ci rechiamo regolarmente, e dove il medico apporta qualche modifica alla terapia. Le cose proseguono relativamente bene fino a fine anno.

In questi giorni Livio inizia ad essere più agitato, a tratti confuso, non riesce a dormire e riposare bene… lo psichiatra apporta modifiche alla terapia senza sostanziali miglioramenti. Anzi, la sintomatologia continua a peggiorare tanto che un giorno di inizio gennaio, uscito di casa per recarsi al lavoro, Livio mi chiama poco dopo chiedendo di andare a prenderlo senza nemmeno riuscire a darmi indicazioni precise su dove si trovasse. A fatica riesco a convincerlo a recarsi comunque in ufficio dicendogli che lo avrei raggiunto lì. Una volta tornati a casa lo vedo confuso, a tratti piange, esce sul balcone di casa (abitiamo al 4° piano!) con sguardo vuoto e lo sorprendo anche alzare una gamba nel tentativo di scavalcare la ringhiera…

Lo psichiatra lo visita la sera stessa e propone il ricovero nel reparto di psichiatria per impostare una terapia più adeguata in un ambiente protetto per evitare, più che altro, che si faccia del male. Il medico mi tranquillizza dicendo che quando i pazienti sono in quello stato spaventano molto i famigliari ma la sintomatologia è abbastanza comune e gestibile con farmaci in grado di curare e quindi far “rientrare” la depressione – patologia che secondo lui, e secondo diversi altri colleghi che lo valuteranno in seguito, è la causa del suo malessere.

Il reparto di psichiatria del nosocomio della nostra città è in quei giorni al completo e perciò Livio rimane solo una notte poi essere trasferito in una casa di cura privata convenzionata a 50 km da casa. Una volta ricoverato Livio mi dice che non è quello il posto per lui… che lì son tutti matti… Nel frattempo però comincia anche ad avere allucinazioni, racconta di “diavoli” che lo perseguitano… si ferisce una tempia sbattendo la testa e attribuendo questo suo gesto ad un tentato suicidio.

Proprio in questi giorni Livio festeggia il suo 52° compleanno.

I nuovi medici che se ne fanno carico mi ripetono le parole tranquillizzanti del collega: bisogna dare tempo che i farmaci facciano effetto… la patologia è curabile, soprattutto in un paziente come Livio che non ha mai avuto precedenti… se il farmaco non dovesse funzionare possiamo cambiare terapia, esiste una varia gamma di farmaci e via di seguito…

Livio rimane ricoverato 3 mesi e mezzo: ogni giorno percorrevo quei 100 km per andare a trovarlo non sapendo mai come lo avrei trovato: alcuni giorni agitato, altri intontito dai farmaci, altri giorni stava benino. In quel periodo, sono stati prescritti diversi farmaci, ma ogni volta, dopo qualche giorno di terapia, arrivava un qualche evento, a detta dei medici, avverso… a far annullare tutto e ricominciare…

Una volta rientrato a casa, Livio è in uno stato pietoso: dorme tutto il giorno, ha tremori diffusi a causa dei farmaci che assume in dosi da cavallo… Lo  psichiatra di riferimento ricomincia ad apporre modifiche alla terapia scalando alcuni farmaci e introducendo un nuovo antidepressivo: dopo 10 giorni dal rientro a casa e dopo una settimana dall’introduzione di nuova terapia, compare un episodio di intensa agitazione motoria e mutismo e tendenza alla fuga. Sono costretta a chiamare il 118, la cui equipe a fatica riusce a portarlo in pronto soccorso… dove ovviamente è di nuovo sedato e quindi ricoverato in psichiatria (questa volta il posto c’era).

Preso in carico da altri medici, Livio ricomincia il balletto dei farmaci…

In questo periodo peraltro sono io a festeggiare il compleanno, compio 50anni. I ragazzi, insieme agli amici che mai ci hanno lasciato soli, organizzano una festa a sorpresa perfettamente riuscita che ha “radunato” davvero tanta gente, alcuni arrivati anche da lontano… un gesto di affetto davvero commovente. Il mio pensiero però, pur in un momento di gioia e festa, è sempre con Livio, ricoverato in psichiatria e ancora lontano da una ripresa.

Dopo un mese e mezzo di ricovero e due settimane di day hospital, finalmente arriva la dimissione.

Ormai eravamo a metà luglio e faceva un gran caldo, per cui decido di trasferirci in un campeggio in montagna, a 20 km da casa, in una vallata che conosciamo bene e frequentiamo spesso. L’idea era quella di toglierci dall’afa della città ed eventualmente fare passeggiate cercando di recuperare, stando all’aria aperta, i tanti mesi di ospedalizzazione. Premetto che, prima della malattia di Livio, abbiamo sempre fatto vita di campeggio e abbiamo girato mezza Europa con una caravan al traino; siamo sempre stati amanti sia della montagna che del trekking.

Bene, dopo appena 24 ore di “vacanza”, tornando dai servizi pubblici Livio, invece di far ritorno in piazzola dove c’era la nostra roulotte, esce dal campeggio ed inizia a camminare senza meta e senza chiedere aiuto a nessuno. Era una domenica, c’era molta gente, comprese forze dell’ordine e protezione civile, anche in virtù di una gara ciclistica che si svolgeva proprio in quella zona. Ciononostante di lui si perdono le tracce… sembra svanito nel nulla. Dopo le prime ricerche, con l’aiuto di amici subito allertati, facciamo una denuncia ai carabinieri che fanno scattare i soccorsi: vigili del fuoco, soccorso alpino, elicottero…. Livio viene poi ritrovato a tarda sera, in stato confusionale, ma per fortuna è sano e salvo: aveva camminato tutto il giorno senza meta.

Ovviamente viene nuovamente ricoverato, a sole 48 ore dalla precedente dimissione ospedaliera.

In quest’ultimo ricovero, gli psichiatri cominciano a dar voce ai dubbi (che ogni tanto, nei mesi precedenti erano già emersi) sulla diagnosi fatta e sull’accanimento terapeutico portato avanti per curare una depressione che forse nella fase iniziale della malattia era anche presente… I sintomi a questo punto erano una importante apatia con memoria quasi integra e una capacità a fare semplici ragionamenti conservata. Chiediamo un consulto a uno psichiatra molto noto che ha un ambulatorio a 300 km da casa nostra. E’ lui il primo medico che, in modo chiaro e netto, comincia a parlare di demenza.

Vengono eseguiti esami più “mirati”, oltre alla risonanza magnetica nucleare, viene fatta che una puntura lombare e una SPECT (tomografia ad emissione di fotone singolo) con isotopi radioattivi. Gli esami danno tutti risultati negativi ad eccezione della SPECT. Una volta presi contatti con il neurologo, gli psichiatri si arrendono e iniziano a scalare i farmaci antipsicotici e antidepressivi. Livio migliora e viene dimesso: tra un ricovero e l‘altro, salvo pochissimi giorni a casa, è stato ricoverato per quasi 9 mesi. Siamo a fine agosto 2015.

Sospendendo le terapie antipsicotiche, la sintomatologia migliora soprattutto rispetto all’intontimento, all’agitazione e alla confusione delle settimane precedenti. Livio è più presente, orientato, non ha più comportamenti strani o bizzarri, non ha più allucinazioni, non tenta più di farsi del male… o di scappare. Tuttavia emerge in tutto e per tutto l’apatia: non è più interessato a nulla – affetti, hobby, lavoro… nulla gli importa. Sembra diventato autistico, incapace di comunicare e di rapportarsi con gli altri. Ha qualche disturbo di memoria a breve termine, ma è del tutto gestibile, anche perché mette in atto compensativi, ad esempio utilizza post-it e bigliettini piazzati ovunque e promemoria sul cellulare per ricordarsi di qualsiasi cosa. Invece i ricordi prima della malattia sono conservati. La sintomatologia migliora appena con l’introduzione della memantina.

Dopo un periodo di convalescenza, riprende anche il lavoro, che dovrà poi lasciare dopo qualche settimana perché non è più in grado di portarlo avanti: la capacità organizzativa e di pianificazione sono tra le più’ compromesse, oltre ai ragionamenti complessi.

Il resto è demenza fronto-temporale. Ci scontriamo con una realtà medico-scientifica completamente disarmata non avendo a disposizione alcuna terapia e lottiamo per il riconoscimento dei diritti associati a una malattia invalidante e degenerativa. A tratti sembra la lotta di Don Chisciotte contro i mulini a vento, tanta è l’ignoranza e l’indifferenza anche nelle istituzioni che dovrebbero difendere e tutelare le persone malate, e proprio per questo più deboli.

Oggi viviamo la progressione inesorabile della malattia anche se, nel caso di Livio, per fortuna e almeno per ora, è una progressione lenta che ci permette di condurre una parvenza di vita normale. Tuttavia di normale, se prendiamo come riferimento 3 anni fa, non c’è più nulla… non per lui, non per me, non per i ragazzi i quali, se pur grandi, si trovano a far scelte e passi importanti nella loro vita dovendo fare a meno del supporto e dei consigli del loro papà.

Non posso lamentarmi dei medici che lo hanno avuto in cura… seri e competenti… a ripensarci ora. A tutti coloro che lo hanno avuto in cura o visitato è venuto il dubbio che non si trattasse solo di depressione, ma poi le hanno provate tutte… al limite appunto di un accanimento, quasi non volessero essi stessi arrendersi ad una diagnosi di demenza.

Ora, quando racconto queste cose o qualche medico viene a conoscenza della sintomatologia di Livio, c’è sempre qualcuno che riporta a galla il dubbio di una diagnosi corretta – anche perché è luogo comune, anche tra i medici, pensare che una persona con demenza abbia soprattutto problemi di memoria. Ho imparato sulla mia pelle che non è sempre così, soprattutto nella demenza frontotemporale con variante comportamentale… e in particolare nelle fasce di età più giovani.

Livio è sicuramente un’altra persona rispetto al marito e al compagno che avevo 3 anni fa. Non c’è quasi più come padre e/o amico… parla poco, sorride appena, non ha più nessun interesse… e ne aveva tanti: dalla musica, alla lettura, all’impegno civile e politico, ai viaggi… per non parlare della famiglia, quei 3 figli ormai grandi che aveva tanto desiderato avendo patito la sua infanzia da figlio unico… o del suo lavoro di impiegato in banca!

Non ha più legami con amici e colleghi – e non per colpa loro… A me, a noi, rimangono i ricordi di ciò che era, il suo sorriso solare e contagioso, la sua positività in qualsiasi occasione, l’intelligenza ironica, il suo affetto per noi che, a volte, forse illudendoci, ci sembra di intravedere ancora in qualche suo atteggiamento.

A volte, invece che malato di demenza, vorrei che avesse un’altra malattia terminale… avremmo poco tempo a disposizione, ma almeno sarebbe ancora lui, potrei ancora raccontargli e soprattutto farmi raccontare tante cose e vivere intensamente gli ultimi momenti insieme. Invece, pur condividendo la quotidianità, Livio è lontano anni luce da ciò che era e quindi da noi. A volte, non mi vergogno a dirlo, lo vorrei addirittura morto… lo piangerei, tantissimo, ma avrei la possibilità di provare ad elaborare il lutto e magari tentare di ricominciare… invece, mi ritrovo in un limbo in cui devo ripartire da sola, con la sua assenza-presenza… anche se, poi, la maggior parte delle volte, finisco per ringraziare per quello che stiamo vivendo, pur consapevole che noi no… non “potremmo ritornare”…

Cristina

Tanto lo so che con nessuno avrai più riso e pianto come con me
E lo so io ma anche te….

…E ricordiamoglielo al mondo chi eravamo e che potremmo ritornare…

….Musica più forte che sfidi la morte
Accarezza questa mia ferita
Che sfido la vita…