Vivere con la demenza: la testimonianza di Mike Donohue

Ho trovato la storia di Mike Donohue sul sito dell’Associazione Alzheimer’s Disease International, I can! I will!. Il sito raccoglie storie di persone che convivono con la malattia e consigli su come affrontarla dal punto di vista degli stessi malati, dei caregiver, e dei terapisti e medici che li assistono.

Mi ha colpito la storia di Mike per la sua onestà e consapevolezza. Le sue parole a volte possono sembrare drammatiche, quasi brutali, eppure riescono anche a restituire speranza a chi pensa che oltre la diagnosi esista solo il baratro.

Buona lettura!

Eloisa

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Vivere con la demenza: la testimonianza di Mike Donohue

Ho la demenza. Ce l’ho da quando, più di 6 anni fa, mi hanno comunicato la diagnosi. Penso davvero di vivere un mondo diverso. Per me è come vivere un cambiamento esistenziale che ha trasformato tutta la mia vita – vita per cui provo un sentimento di amore/odio.

Tutto ciò che ero non sono più. Tutto ciò che sono richiede adattamento e accettazione. Ma soprattutto richiede pazienza! Se una volta la mia vita aveva orizzonti vasti, ora è fatta di orbite strettamente vincolanti da cui non posso uscire.

Tutto ciò che sono, tutto ciò che incontro è limitato. Non posso più essere, non posso più andare, devo sempre fare attenzione a ogni passo per essere sicuro di non superare i miei limiti. Mai nel corso dei miei 69 anni di vita avrei potuto immaginare che una diagnosi del genere potesse capitare a me. Guardavo il mondo come un adolescente che pensa che certe cose possano succedere solo agli altri!

Ho bisogno di essere accettato per ciò che sono, per la persona che sono. Non posso essere ricordato per quello che ero. Perché quello che ero non c’è più.

Sono solo guai quando penso a com’ero prima o qualcuno mi ricorda della mia vita prima della diagnosi. Ho bisogno di essere accettato per la persona che sono adesso. Voglio essere conosciuto per chi sono oggi, accettato come tale ed essere aiutato in quanto tale. C’è ancora molto che posso dare di me stesso e che posso condividere con le persone che vogliono conoscermi.

Gli stereotipi che definiscono le persone con demenza sono disarmanti e avvilenti. Ci privano di quello che ancora abbiamo dentro di noi. E lo fanno sia isolandoci che facendo in modo che noi stessi ci isoliamo dal mondo per evitarci il dolore di vedere come appariamo agli altri.

Nessuno sa quanto potremmo essere utili se avessimo la possibilità stare insieme agli altri, e se i programmi di assistenza fossero sviluppati per stimolare socializzazione e coinvolgimento intellettuale. Non solo programmi del genere ci restituirebbero stimoli e vitalità, ma farebbero anche risparmiare tutta la comunità. Maggiore è il coinvolgimento e la stimolazione – e quindi migliore è la nostra qualità di vita – e maggiori sono le possibilità di prolungare le nostre funzionalità negli stadi iniziali della malattia, riducendo il carico di assistenza per chi ci sta vicino.

Penso sinceramente che con più cura e attenzione negli stadi iniziali della demenza si possa arrivare agli stadi finali della malattia in maniera più gestibile.

Evocare immagini apocalittiche o distruttive quando si parla di demenza e usarle per raccogliere fondi per la ricerca di cure è davvero controproducente per chi convive con questa malattia. Esiste un lato oscuro della demenza, ma esistono anche molti lati positivi, troppi per contarli tutti […].

Nella mia condizione di malato mi considero fortunato. A differenza di altre persone che continuano a lavorare e si tengono stretto ciò che erano e ciò che pensano di essere state, o di altri che non fanno nulla e si lamentano di essere diventati vecchi e malati, io ho accettato questa sventura impegnandomi a fare del mio meglio per godermi ciò che rimane della mia vita.

La mia fortuna si fonda sulle mie capacità cognitive e analitiche residue. Sono perfettamente consapevole di ciò che mi sta accadendo. Sono anche particolarmente consapevole di ciò che mi aspetta in questa malattia. Ciononostante, posso ancora leggere, scrivere e comprendere.

Questa consapevolezza è la stessa forza interiore che ho avuto quando, dopo 20 anni di alcolismo, decisi di rivolgermi agli Alcolisti Anonimi (AA). In quella situazione ho dovuto imparare ad affrontare l’astinenza e impormi sobrietà per tutta la vita. Per 30 anni ho ricostruito la mia vita grazie a ciò che ho imparato con gli Alcolisti Anonimi. A un certo punto mi sono ammalato di Alzheimer. Grazie alla mia prima esperienza [con AA], ho applicato gli stessi principi per affrontare la demenza. Ho usato gli stessi strumenti che ho imparato con gli Alcolisti Anonimi per aggrapparmi a ciò che di buono offre la situazione, cercando di fare del mio meglio.

Dedicandomi a questo obiettivo, sono riuscito a trovare più pace e serenità nella mia vita di quanto abbia mai sperato. Inoltre, grazie alle mie esperienze di vita, sono in grado di comprendere meglio perché soffro di questa malattia. La mia vita era ancora piuttosto incompiuta quando mi sono ammalato di demenza. Tuttavia, riflettendo sul modo in cui mi sono ammalato, so che posso fare qualcosa di buono di questa malattia, almeno fino a che ho ancora vita da vivere.

(fonte: Alzheimer’s Disease International, I can! I Will!, 5 Febbraio, 2012)

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