Letture che fanno bene: la perdita ambigua

Nella testimonianza che proponiamo oggi, tratta dal nostro libro “Perso e ritrovato: Storie di familiari che affrontano la demenza”, Valeria racconta quanto sia stato difficile e doloroso abituarsi a una mamma che “c’è ancora e non c’è più” a causa della sua diagnosi di demenza frontotemporale. Nel 2009 la Dott.ssa Pauline Boss ha dato un nome a questo vissuto: perdita ambigua. E’ un termine che si riferisce a un lutto che sfugge, confonde e rimane irrisolto quando una persona cara non è più presente nel modo in cui l’abbiamo sempre conosciuta. Chi vive una perdita ambigua è costretto a fare i conti con l’incertezza degli affetti che cambia­no forma e ragione d’essere. Nulla può essere più dato per scontato: Mi vorrà ancora bene? Sa che io sono sua figlia/figlio/moglie/marito? Come posso raggiungerla soprattutto adesso che sembra così fragile e distante? Queste sono le domande che si pongono i familiari che si ritrovano nei nostri gruppi. Sono domande che trovano risposte parziali e in continuo divenire – ma non per questo meno importanti.
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Letture che fanno bene

La malattia di mia madre è l’esperienza più difficile e do­lorosa di fronte alla quale la vita mi abbia messa davanti. La diagnosi definitiva di demenza frontotemporale, dopo un lungo periodo di esami e visite neurologiche, è arrivat­a nell’aprile del 2017, quando lei aveva appena com­piuto sessantasette anni e io trentuno.

Non mi è stato subito chiaro a cosa sarei andata incon­tro, ma so che per me, mio padre e mio fratello il fatto di parlare di lei al passato è arrivato abbastanza presto, e non certo perché l’abbia­mo dimenticata o abbiamo smes­so di batterci per il suo benessere. Il fatto è che questa condizione assurda e in­comprensibile per cui la mia mamma allo stesso tempo c’è ancora e non c’è più è emersa quasi subito e credo sia ciò che contraddi­stingue le malattie come la sua.

La mia mamma c’è perché il suo corpo è ancora qui, per­ché se le prendo la mano lei stringe la mia, perché ci sono momen­ti in cui apre gli occhi, dice qualche parola, nel suo sguar­do leggo affetto; e se io e i miei familiari riuscia­mo a farla ridere, nella sua risata trovo la sua per­sona.

La mia mam­ma non c’è più perché quella che era la sua personalità – i gesti tipici, il carattere, le espressioni del viso, le reazioni – sono stati cancellati quasi total­mente e noi abbiamo vi­sto tutte queste parti di lei andarsene una dopo l’altra, in­sieme alla capacità di cam­minare, di espri­mersi, di deglut­ire. La mia mamma non c’è più perché le persone che le stanno più vicine, le badanti che si pren­dono cura di lei, sono persone che lei non conosce, che non l’hanno mai vista per come era.

Una psicologa americana, Pauline Boss, ha scritto un li­bro (Ambiguous Loss. Learning to Live with Unresolved Grief, ovvero “la perdita ambigua: imparare a vivere con il lutto irrisolto”, purtroppo dispo­nibile solo in inglese) su quello che lei ha chiamato “lutto ambiguo”, ovvero questa para­dossale condizione di pre­senza/assenza della persona amata. Vivono un lutto am­biguo i familiari dei malati di demenza, appunto, ma an­che, per esempio, quelli di per­sone disperse la cui morte non viene mai accertata: si tratta insomma di un lutto “stagnante” (così lo definisce l’autrice), perché non viene superato, non ha una risolu­zione e ciò ne impedisce l’ela­borazione.

Ritrovare in queste pagine tantissimo della mia espe­rienza degli ul­timi tre anni mi ha fatto una gran­de im­pressione. Non è stata una lettura semplice – tanto che più volte l’ho ab­bandonata prima di riuscire a finirla –, ma arrivata alla conclusione posso dire che vedere ciò che io e la mia famiglia stiamo attraversando descritto con tanta preci­sione, acutezza e umanità mi ha fatto sen­tire meno sola. Pauline Boss spiega ai suoi lettori che è nor­male cadere in forme di depressione più o meno forte o sentirsi immobi­lizzati e soffocati dalla condizione di am­biguità.

È com­prensibile che si faccia fatica a dedicarsi ai propri pro­getti di vita, può succedere che gli amici spari­scano o smettano di dare supporto di fronte al perdura­re negli anni della condizione di difficoltà. Può darsi infi­ne il caso di reazioni di rifiuto, quelle cioè di chi prova a di­fendersi dal dolore cercando di fare finta che nulla sia cambiato.

In me stessa o nelle persone che mi stanno ac­canto ho visto in atto tutti questi, e molti altri, modi di reagire. Pauline Boss, però, non si limita a descrivere, ma illustra come si può quantomeno provare a convivere con una si­tuazione tanto angosciante: gli equilibri familiari si pos­sono modificare, ci si può dare reciproco supporto e, se si accetta il cambiamento, è possibile imparare a riconosce­re e valorizzare quanto ancora c’è – ed è molto – del­la persona alla quale si vuole bene.

Non me ne sono resa conto mentre accadeva, ma in questi anni ho provato sempre, insieme ai miei familiari, a rispondere alla malat­tia di mia mamma adattandomi a ciò che essa richiedeva, imparandolo di giorno in giorno con fatica e un’infinità di sbagli: ho cantato con lei in un coro per malati di de­menze quando aveva bisogno di svolgere un’attività, l’ho imboccata quando ha perso la capacità di mangiare da sola, ho letto ad alta voce per lei cercando di stimolarla, l’ho accompagnata alle visite mediche e le ho fatto com­pagnia quando era ricoverata in ospedale.

Oggi la sfida è stuzzicarla finché non apre gli occhi e mi guarda, e se suc­cede sento che ho raggiunto un traguardo, per quanto amaro. Provo a tradurre le parole dell’autrice, sicuramen­te più illuminanti delle mie:

“La vita familiare, allo stesso modo di quella organica, dipende dal continuo cambia­mento. Non si tratta di ave­re la risposta giusta: a dirla tutta, con il lutto ambiguo può non essercene una. In mancanza di una soluzione perfetta, dobbiamo assum­erci il rischio di creare la rispo­sta migliore possibile di mo­mento in momento e di esse­re consapevoli del fatto che il processo di revisione delle nostre risposte non fini­rà mai e durerà finché vivremo. Questi lutti complessi possono apparire insuperabili e irrisolvibili, ma la possi­bilità di cambiare non potrà mai esserci negata.”

Pauline boss, Ambiguous Loss: Learning to Live with Unresolved Grief. Harvard University Press (2009)

– Valeria