Definizione di stigma sociale secondo il vocabolario Treccani. Sigma (o stimma) s. m. [dal lat. stigma (-ătis) «marchio, macchia, punto», propriam. «puntura», gr. στίγμα -ατος, der. di στίζω «pungere, marcare»] (pl. -i). :
In psicologia sociale, attribuzione di qualità negative a una persona o a un gruppo di persone, soprattutto rivolta alla loro condizione sociale e reputazione: un individuo, un gruppo colpito da stigma psico-fisici, razziali, etnici, religiosi.
Lo stigma associato alla demenza è allo stesso tempo responsabile e conseguenza di pregiudizi e paure nei confronti di chi riceve questa diagnosi – sentimenti collettivi che purtroppo si traducono in vere e proprie barriere di accesso all’informazione, alla diagnosi, alle cure e all’assistenza (OMS 2017; ADI 2015).
Il pregiudizio nei confronti del declino cognitivo è non solo dilagante ma si manifesta con mille modalità quotidiane che vanno dalla discriminazione dentro e fuori casa all’ignoranza e all’abuso (tristemente diffusi anche nei luoghi di cura), fino al maltrattamento e in alcuni casi persino alla morte. In termini pratici, lo stigma può consistere nell’incapacità di riconoscere il diritto di vivere una vita dignitosa e soddisfacente delle persone malate, oppure nel non prestare sufficiente attenzione alle loro eventuali co-morbidità o disagi che possono presentarsi nel corso della malattia; oppure ancora nel rifiuto di dedicare risorse e fondi sufficienti per trovare una cura e allo stesso tempo garantire un’assistenza adeguata ai malati e alle loro famiglie.
La paura di diventare vittime del pregiudizio può anche provocare comportamenti che portano all’auto-esclusione da parte delle persone malate o dei loro familiari, come ad esempio il rifiuto di farsi diagnosticare, di pianificare il proprio futuro in seguito alla diagnosi, o di usufruire dei trattamenti disponibili per migliorare i sintomi o per rallentare il decorso della malattia.
Come osserva Jon Rouse, Direttore Generale dei servizi sociali del governo britannico, convivere con una demenza oggi significa non solo subirne i sintomi dovuto al declino cognitivo, ma vuol dire anche essere oggetti e soggetti di una serie di preconcetti mortificanti:
“Immaginate di sentirvi confusi, spaventati, frustrati, incapaci di riconoscere le persone intorno a voi e in difficoltà nello svolgere qualsiasi attività quotidiana. Adesso immaginate anche di sentirvi isolati e stigmatizzati dalla comunità in cui vivete – ad esempio immaginate che le persone che vi conoscono cambino marciapiede per evitarvi.” (Jon Rouse)
Essendo un fenomeno sistemico, lo stigma associato alle demenze di fatto impedisce alle persone di prendersi cura di se stesse nel momento di maggior bisogno. Ad esempio:
Impatto n. 1: Il ritardo nelle richieste di aiuto
Non solo chi convive con questa malattia è destinato a vivere il resto della sua vita isolato e incompreso anche dalle persone più care ma i suoi familiari vivono un tale livello di vergogna che spesso incide sui tempi di richiesta di aiuto in ogni fase della malattia. Oggi il tempo medio in Italia per arrivare ad una diagnosi dopo la comparsa dei primi sintomi continua a essere tra i più lunghi a livello europeo, anche se si è ridotto negli ultimi anni passando da 2,5 anni nel 1999 a 1,6 anni nel 2018 (Woods et al. 2018). Nonostante l’impegno di cura di una persona con demenza sia più faticoso rispetto ad altre tipologie di assistenza, nella maggior parte dei casi, gli interventi offerti sono indirizzati a soddisfare esclusivamente i bisogni della persona malata, ignorando quelli di chi se ne prende cura (Ocse 2018).
Impatto n. 2: la difficolta’ ad ottenere una diagnosi
Secondo un recente studio promosso dalla federazione Alzheimer Europe, prima di ottenere la diagnosi definitiva di demenza al 31,9% degli italiani viene diagnosticata un’altra malattia (Woods et al. 2018). Il che è abbastanza grave perché una diagnosi permette di accedere a servizi di cura e assistenza necessari a gestire la malattia in tutto il suo decorso. Senza una diagnosi definitiva, le persone non possono nemmeno accedere agli indennità (es. di accompagnamento, adattamento ambiente domestico, ecc.) che vengono riconosciute alle persone con le disabilità che conseguono alla demenza (Ocse 2018).
IMPATTO N. 3: IL SOTTODIMENSIONAMENTO CRONICO DEI SERVIZI TERRITORIALI
Uno dei problemi principali è che le persone semplicemente non sanno a chi rivolgersi per ottenere una diagnosi e, anche quando l’hanno ricevuta, non conoscono i servizi territoriali disponibili specializzati a dare informazione e supporto sia ai caregiver che alle persone con demenza. Spesso questo tipo di interventi vengono offerti da organizzazioni del terzo settore, magari scollegate dai piani di zona istituzionali, le cui risorse e posti disponibili sono decisamente insufficienti rispetto al bisogno delle famiglie, con conseguenti tempi di attesa infiniti (Ocse 2018).
Impatto n. 4: La mancata comunicazione della diagnosi
Ma forse l’aspetto più preoccupante è che secondo questo studio in Italia il 59,3% dei familiari-caregiver dichiara che la persona con demenza non è stata informata della malattia. Il fenomeno della mancata comunicazione della diagnosi non è un’esclusiva italiana, ma nel nostro Paese raggiunge il massimo picco rispetto invece ad esempio al 23,2% in Repubblica Ceca, all’8,2% nei Paesi Bassi, al 4,4% in Scozia e all’1,1% in Finlandia. Non solo, secondo lo stesso studio dopo la diagnosi solo la metà dei familiari richiede informazioni su come affrontare e convivere con la demenza e sui servizi disponibili sul territorio. E anche chi le richiede, si dichiara insoddisfatto sulle informazioniricevute(Woods et al. 2018).