L’articolo che segue è stato pubblicato dall’Associazione Alzheimer Riese Pio X° di Treviso e tratta un argomento che mi sta molto a cuore – la diagnosi della demenza quando ancora la malattia è a uno stadio prodomico (vale a dire quando i sintomi non sono ancora evidenti). Come indica questo recente studio inglese, fin dai colloqui iniziali, un’attenta lettura dei segnali verbali e non-verbali dei pazienti può non solo aiutare a comprendere meglio i loro bisogni terapeutici, ma permette anche di migliorare la diagnosi di demenza, con enormi benefici sia per gli stessi pazienti che per il personale medico.
L’aspetto più interessante è che, in questo caso, continuità e congruenza clinica sono facilitate da tecnologie multimediali audio e video.
Buona lettura!
Eloisa
Il potere del linguaggio usato per migliorare la diagnosi di demenza
Analizzando caratteristiche specifiche della conversazione e il modo in cui i pazienti descrivono la perdita di memoria, si può migliorare la diagnosi precoce di demenza, e rassicurare tempestivamente coloro che hanno preoccupazioni per la memoria non causate dalla demenza.
Ricercatori dei Sheffield Teaching Hospitals e dell’Università di Sheffield si sono accorti che solo la metà dei pazienti visitati dai neurologi delle cliniche della memoria del Royal Hospital Hallamshire soffrono di demenza.
Molti pazienti sono inviati alla «memory clinic» perché hanno preoccupazioni circa la loro memoria anche se non mostrano segni di demenza. Con un metodo di ricerca chiamato «analisi della conversazione» (che esamina attentamente audio e video degli incontri tra pazienti, caregiver e medici), il team di ricerca cerca le sottili differenze nell’uso del linguaggio che possono essere segni rivelatori di demenza precoce. La ricerca potrebbe aiutare i medici a distinguere tra le persone con demenza in fase iniziale e quelle con preoccupazioni per la memoria legate a problemi di umore o di ansia.
La ricerca è guidata dal professor Markus Reuber, consulente neurologo onorario al Sheffield Teaching Hospitals NHS Foundation Trust e Professore di Neurologia Clinica all’Università di Sheffield. I ricercatori di Sheffield sono i primi al mondo ad utilizzare l’«analisi della conversazione» come strumento diagnostico nella clinica della memoria.
Il Professor Reuber e il suo team, insieme con il professor Paul Drew della Loughborough University, avevano utilizzato una tecnica simile per dimostrare che il modo in cui i pazienti descrivono i loro sintomi può aiutare i medici a distinguere tra una descrizione di attacco epilettico e un attacco di tipo convulsivo causato da stress.
Circa 800.000 persone hanno una diagnosi di demenza nel Regno Unito, ma si ritiene che molti altri rimangono senza diagnosi, soprattutto nelle prime fasi. L’Alzheimer’s Society ha previsto che il numero di malati di demenza è destinato ad aumentare fino a 1 milione entro il 2021 e a 1,7 milioni nel 2051.
Il Dr Daniel Blackburn, consulente neurologo ai Sheffield Teaching Hospitals e Honorary Senior Lecturer all’Università di Sheffield, ha detto: “Questa ricerca è molto importante perché attualmente una gran parte delle persone inviate allo specialista di neurologia della clinica della memoria non rivela segni di demenza.
“Sei anni fa un paziente ogni cinque visitati nella clinica della memoria non aveva la demenza, ma di recente questo rapporto si è avvicinato a uno ogni due. L’aumento dell’invio di persone con preoccupazioni di memoria, ma senza demenza, può essere legato alle recenti iniziative del governo del Regno Unito per identificare più persone con demenza nella fase iniziale della loro malattia, quindi questi sono risultati abbastanza sorprendenti.
“Queste scoperte potrebbero non solo permettere a medici e altri operatori sanitari di assistenza primaria di identificare quali pazienti hanno bisogno di essere inviati allo specialista della clinica della memoria, ma potrebbero anche ridurre al minimo il disagio dei pazienti che non soffrono di demenza, quando cercano sostegno e rassicurazione per i problemi di memoria perchè si muovono in un sistema complesso”.
I pazienti che manifestano preoccupazioni di memoria che non hanno probabilità di diventare demenza spesso soffrono di cattivo umore, ansia e depressione che portano ad ulteriori problemi di memoria. Ma questi sono tutti curabili se identificati, e possono aiutare degli interventi semplici come rassicurare, parlare dei trattamenti o farmaci per l’ansia e la depressione.
Le registrazioni video sono eseguite nella visita iniziale del paziente alla clinica della memoria. L’analisi si concentra soprattutto sulla conversazione di apertura tra il neurologo e il paziente, e ogni famigliare o amico che li accompagna. L’esame approfondito delle registrazioni rivela che ci sono due profili di conversazione distinti per i pazienti con demenza e per quelli con problemi di memoria non collegati alla demenza.
Questi profili sono basati su caratteristiche tipo chi è più preoccupato per la memoria (paziente o familiare), sulla capacità dei pazienti di rispondere a domande complesse (cioè due domande in una), quanto elaborano le risposte, la ripetitività e la titubanza nel rispondere, e la frequenza con cui rispondono “non lo so”. Queste caratteristiche, per esempio la capacità del paziente di rispondere pienamente alle domande complesse (tutte le parti della domanda), possono mostrare al medico se il sistema di memoria del paziente funziona bene o no.
I risultati dello studio permettono ai medici di usare il loro colloquio con il paziente come una sorta di esame in cui si cercano i segni della malattia. Mentre un ictus può causare debolezza in una gamba, evidente all’esame fisico, la demenza può causare particolari difficoltà alla normale conversazione che i medici saranno ora in grado di cercare.
Il professor Paul Drew, dalla Facoltà di Scienze Sociali della Loughborough University, ha detto: “Abbiamo cercato di identificare le caratteristiche della conversazione di un paziente – spunti, se volete – che i medici potrebbero cercare, per aiutarli a decidere se il paziente ha bisogno di essere riferito ad una clinica della memoria.
“Abbiamo compilato una specie di «prontuario», alcuni segni semplici da cercare che suggeriscono che il paziente può avere la demenza, o se è improbabile che la possa avere, e quindi non ha bisogno di essere inviato alla clinica della memoria.
“Farà una differenza finanziaria significativa per il NHS, perché ogni visita in una clinica della memoria costa più di 1.300 Euro. Può rassicurare tempestivamente le persone sul funzionamento della loro memoria piuttosto che causare ansia che rischia di essere associata all’invio ad uno specialista in una clinica della memoria”.
Il team di ricerca che ha introdotto l’uso innovativo dell’analisi della conversazione nella clinica della memoria a Sheffield include il Professor Annalena Venneri, docente di Neuropsicologia, il dottor Blackburn e il dottor Harkness, specializzati nel trattamento dei disturbi della memoria.
(Fonte: Sito ufficiale dell’Associazione Alzheimer Riese Pio X°)