Demenza e caregiving: la recensione del libro “Una giornata di 36 ore” a cura di Lidia Fubini

Una giornata di 36 ore

Oggi ho il piacere di condividere la recensione di uno dei libri più venduti in ambito demenze intitolato “Una giornata di 36 ore. Prendersi cura della persona con demenza” scritto dai medici Nancy L. Mace e Peter V. Rabins ed edito da Edizioni Centro Studi Erickson. La recensione è stata scritta dalla nostra novilunica Lidia che avete già avuto modo di conoscere un paio di mesi fa con la sua testimonianza di moglie e caregiver.

In questa recensione Lidia da un lato coglie l’utilità delle indicazioni contenute nel libro per comprendere meglio, e quindi aiutare, chi si ammala di demenza, ma dall’altro lato si interroga sulla necessità di anticipare i tempi  preparandosi a un peggio che verrà con l’aggravarsi della malattia. Come dire: informarsi fa bene ma ha i suoi rischi – come ad esempio, aumentare la paura del domani rischiando di non godersi ciò che di positivo offre l’oggi.

Senza nulla togliere al valore di queste pubblicazioni – preziose e necessarie – c’è però un altro aspetto che vorrei puntualizzare rispetto ai libri sul mestiere di caregiver informale. Come mi ricordano spesso i partecipanti dei nostri gruppi di auto mutuo aiuto, un conto è conoscere la teoria del “come fare” per risolvere i problemi quotidiani causati dalla malattia, tutta un’altra faccenda è invece il riuscire ad adattarsi alla nuova “normalità”. Anche di fronte a emergenze molto gravi che possono insorgere nel corso di una demenza, il capire cosa fare (quello che oggi viene chiamato “problem solving”) viene solo dopo l’aver accettato che è necessario agire per risolvere la questione. Tra il dire e il fare insomma c’è di mezzo tutta una costellazione di resistenze, emozioni e incertezze che devono essere elaborate prima di riuscire ad arrivare alla soluzione giusta secondo le circostanze che stiamo vivendo. Questo concatenarsi di emozioni e azioni complica molto le cose anche perché, se fosse così semplice mettere in pratica le “istruzioni per l’uso” per affrontare le difficoltà della malattia, non ci sarebbe così tanta disperazione, ignoranza, e paura.

Il processo di infinito adattamento a cui ogni familiare caregiver è sottoposto insieme alla persona di cui si prende cura richiede non solo fatica e pazienza, ma anche (o forse soprattutto) tanta auto-compassione. Ogni soluzione al problema genera due reazioni opposte: sollievo e lutto. Sollievo per aver trovato quel bandolo della matassa che permette di affrontare meglio l’oggi; lutto perché ogni soluzione da adottare implica un piccolo-grande addio nella nostra realtà come l’abbiamo conosciuta fino a quel momento.

Parlo di quella stessa realtà che delimita il nostro posto nel mondo in cui la persona con demenza è nostro marito o nostra moglie, oppure è un nostro genitore, e come tale ci appare inconcepibile fare cose che minano la sua dignità – ad esempio, togliergli le chiavi dell’auto, impedirgli di mangiare quel che vuole o uscire a fare una passeggiata come ha sempre fatto.

In molti casi, il cambiamento richiesto al familiare caregiver è soprattutto un cambiamento di ruolo e di relazioni. Altre volte la difficoltà nell’adottare le soluzioni proposte dagli esperti nasce da un inquietante presentimento che una volta accettato (anche) questo cambiamento si apre la porta ad altre perdite ancora più grandi e dolorose.

La posta in gioco non è quindi tanto sul piano pratico ma riguarda anche l’aspetto più profondo della nostra esistenza che ha a che vedere con le cose che danno un senso e una direzione ai nostri giorni.

Ecco perché capisco Lidia quando dice di “pensare al futuro come una porta socchiusa dalla quale non si vede bene che cosa succede fuori…”. Una porta spalancata, quando la posta in gioco è la tua stessa vita e quella della persona che ami, è una porta aperta su un ignoto che minaccia di inghiottire tutte le speranze di cui siamo capaci.

D’altra parte il non sapere come comportarsi di fronte ai problemi che possono emergere nella vita di chi ha una demenza lascia spazio ad angosce e pericoli ancora più grandi – pericoli che spesso hanno un impatto pesante sia in chi si ammala che in chi se ne prende cura. Anche di questo se ne parla molto nei nostri gruppi: il costo dell’ignoranza alimenta l’enorme e crudele senso di colpa del “senno di poi”.

Ben vengano perciò i libri per aiutare a svolgere meglio il difficile compito del prendersi cura. Credo sia però altrettanto importante ricordarsi sempre che ogni istruzione per l’uso va adottata con molta gentilezza e comprensione per le nostre fragilità e per quelle di chi si è ammalato.

Buona lettura,

Eloisa

Una giornata di 36 ore

a cura di Lidia Emanuela Fubini

Il titolo dice già tutto: quando ci si prende cura di una persona con demenza, la giornata sembra non finire mai. Cioè, in effetti, non finisce proprio mai. Anche quando si raggiunge finalmente il letto, può ancora succedere qualsiasi cosa. Il girovagare notturno, anche chiamato più romanticamente “sindrome del tramonto” aggiunge un carico inquietante e toglie il senso al riposo.

Questo manuale vuole essere una guida per chi convive con un malato di demenza. I diversi capitoli, scritti da due psichiatri americani, prendono in considerazione ogni aspetto del problema: il punto di vista psicologico, quello medico e comportamentale. Vi si trovano consigli utili e avvertimenti importanti. Aiutano a prendere coscienza di quanti cambiamenti bisogna affrontare: dalla messa in sicurezza della propria abitazione alla nuova gestione della vita quotidiana. E dico “nuova gestione” perché la persona che abbiamo davanti non è più la stessa di prima, e si apre una fase completamente diversa della vita.

Sono descritti anche alcuni casi dai quali si possono trarre spunti di riflessione, se non addirittura prendere esempio per eventuali soluzioni. Come quello della signora il cui marito si ostinava a stare tutta la notte sul divano indossando un cappello. Dopo innumerevoli notti non dormite per cercare di convincere il marito ad andare a letto, la signora si rassegnò. Si accertò che il marito fosse al sicuro, e se ne andò a dormire lasciandolo sul divano con il cappello. Facile no? Perché continuare a cercare normalità dove normalità non è più possibile?

Un’altra cosa importante che viene rilevata è l’esigenza di prevedere e prevenire i problemi. Nel senso di preparare una sorta di piano di emergenza utile per chi si prende cura del malato. Compreso il controllo della salute psicofisica della persona convivente, che sopporta il carico maggiore.

E’ di certo una lettura utile, anche se rivolta principalmente ai figli di persone affette da demenze senili, e prende meno in considerazione le demenze a esordio precoce. Inoltre è un po’ inquietante, perché, anche se in modo elegante, insegna a prepararsi al peggio. Io preferisco pensare al futuro come una porta socchiusa dalla quale non si vede bene che cosa succede fuori… (cit. Alix K. Shulman).

Lidia Emanuela Fubini

Fonte: Una giornata di 36 ore. Prendersi cura della persona con demenza. Nancy L. Mace, Peter V. Rabins. Traduttore: L. Gasperi, I. Erickson Collana: Assistere gli anziani Anno edizione: 2013