Donne e demenza: è ancora lunga la strada per il riconoscimento dei diritti

Nella foto le relatrici del seminario GADAA. Da destra: Professoressa Dawn Brooker, Association for Dementia Studies, University of Worcester; Professoressa Tania Dussey-Cavassini, Swiss Federal Office of Public Health; Dottoressa Anne Margriet Pot, Organizzazione Mondiale della Sanità; Faraneh Farin Kaboli, Iran Alzheimer Association; Kate Swaffer, Dementia Alliance International. Ospite d’onore e moderatrice, la Baronessa Sally Greengross.

Settimana scorsa l’associazione londinese Global Alzheimer’s and Dementia Action Alliance (GADAA) ha organizzato un bellissimo seminario (trasmesso anche online) intitolato “Donne e Demenza: Una sfida Globale” (“Women and Dementia: A Global Challenge”). Il seminario aveva l’obiettivo di presentare il nuovo rapporto GADAA dedicato all’impatto della demenza sulle donne a livello mondiale, in tutti gli ambiti della malattia. Il link per scaricare il rapporto (purtroppo al momento disponibile solo in inglese) è questo: https://www.gadaalliance.org/news/women-carry-weight-of-global-dementia-crisis/

L’iniziativa prende spunto dalla relazione della federazione mondiale Alzheimer’s Disease International (ADI) pubblicata nel 2015 dedicata proprio a questo argomento (vedi nostra recensione-sommario a questo link: http://wp.me/p4jsA7-pL)

Rispetto al rapporto ADI di due anni fa, il documento GADAA mette l’accento sulle seguenti criticità:

  • La demenza è considerata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come una delle prime dieci cause di decesso delle donne in tutto il mondo. Attualmente è la prima causa di morte nel Regno Unito.
  • In tutto il mondo, la prevalenza del numero di donne con demenza è più alta rispetto agli uomini.
  • Nella loro esperienza di malattia, le donne affrontano ostacoli direttamente imputabili al loro genere e/o sesso (per un approfondimento su questo tema, vi consiglio l’articolo sul precedente rapporto ADI)
  • Le donne forniscono in media due terzi dell’assistenza o caregiving formale e informale ai quasi 50 milioni di persone con demenza in tutto il mondo. Nei paesi a basso e medio reddito, le donne-caregiver assorbono il 70% del carico di assistenza.
  • Lo stigma associato alla demenza è purtroppo universale. Le forme più estreme di discriminazione nei confronti delle donne con demenza si manifestano con gravi forme di abuso e maltrattamento.
  • Le donne con demenza più anziane sono esposte a tre tipologie di pregiudizio (triple jeopardy) – il pregiudizio legato alla loro età, al loro sesso o genere, e alla loro malattia.
  • Uno studio recente condotto nel Regno Unito ha rilevato che le donne con demenza sono prescritti più farmaci psicotropi o psicofarmaci rispetto agli uomini, aumentando il rischio di conseguenze negative sulla loro salute fisica.
  • Negli Stati Uniti il 20% delle donne caregiver hanno dovuto ridurre l’orario di lavoro da full-time a part-time per prendersi cura dei propri coniugi o partner. In contrasto, solo il 3% degli uomini-caregiver sposati o conviventi con una persona con demenza ha fatto la stessa scelta. Sempre negli Stati Uniti, il 19% delle donne mogli o partner di una persona con demenza hanno hanno lasciato il loro impiego per assistere i loro cari.
  • Nonostante le palesi discriminazioni nei confronti delle donne che convivono con la malattia, solo 12 dei 29 piani nazionali per le demenze presentati dai diversi paesi nel mondo includono politiche di genere mirate a superare queste criticità (ndr l‘Italia è purtroppo tra i paesi che ignorano il problema). Al momento non esiste un metodo sistematico di raccolta dati in grado di disaggregare i dati relativi alla diagnosi e all’impatto della demenza sulle donne.

Rispetto a quest’ultimo punto, la dottoressa Anne Margriet Pot dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e relatrice all’incontro GADAA, ha spiegato che il nuovo Piano di Azione Globale delle Demenze, attualmente in fase di approvazione, dovrebbe fornire nuove linee guida per l’implementazione di politiche di genere internazionali volte a superare queste discriminazioni.

In attesa che il nuovo Piano Demenze diventi realtà, l’esperienza delle donne che vivono la malattia sulla propria pelle rimane tragica. Ne sa qualcosa Kate Swaffer, presidente e co-fondatrice di Dementia Alliance International, la quale, durante l’incontro, ha descritto la sua storia di malattia insistendo sul fatto che la prospettiva delle donne più giovani (e dei loro figli) che convivono con una demenza è sostanzialmente ignorata dalle istituzioni. Eppure, il  punto di vista di chi si ammala in età lavorativa si differenzia molto rispetto a chi è già in pensione.

In questo senso, l’esperienza di Kate è sintomatica: quando ha ricevuto la diagnosi di demenza aveva 49 anni, nel bel mezzo della sua vita lavorativa e familiare; all’epoca i suoi due figli erano adolescenti, Kate studiava e lavorava per mandare avanti il budget familiare insieme al marito, e aveva tanti progetti aperti di crescita personale e professionale. Se avesse seguito la “prescrizione di tirare i remi in barca”, solitamente suggerita a chiunque riceva una diagnosi di demenza, Kate avrebbe dovuto rinunciare a tutti i suoi impegni e progetti di vita per lasciare posto all’accettazione passiva della malattia e alla completa dipendenza dagli altri.

Per fortuna Kate si è ribellata a questa visione limitata di sé stessa oltre la diagnosi. Essendo una donna forte, istruita ed emancipata, ha invece imboccato la via opposta, quella della resilienza e dell’attivismo.

Non tutte le donne però hanno la fortuna di avere il supporto di uomini (famiglie, comunità, paesi) che le incoraggiano a reagire e a lottare per la loro stessa vita; né vivono in paesi come l’Australia che prevedono interventi di supporto per le persone con una diagnosi ufficiale.

Al contrario di Kate, nella maggior parte dei paesi del mondo (l’Italia purtroppo non fa eccezione), le donne con demenza sono invisibili, mute e impotenti. Purtroppo, il loro silenzio è l’alibi perfetto per perpetuare queste forme di discriminazione all’infinito.

Che fare? Il rapporto GADAA incoraggia un cambio di direzione partendo dall’adozione di nuove buone pratiche sia da parte della società civile e dalle associazioni alzheimer o demenza e sia da parte dei governi di tutto il mondo. L’obiettivo comune proposto da GADAA è quello di unire le forze per affrontare con chiarezza e determinazione tutte quelle discriminazioni di genere che affliggono milioni di donne in tutto il mondo.

La loro condizione non può e non deve rimanere ignorata. Non è solo una questione di uguaglianza di diritti, ma è anche una questione di umanità. Stiamo parlando delle nostre mamme, nonne, figlie, amiche…

Passate parola, oggi è un giorno importante.

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