I falsi miti – e quindi i pregiudizi e gli stereotipi – sulle demenza sono talmente insiti nel nostro pensiero comune da essere quasi completamente invisibili perfino a chi lavora in questo ambito. Eppure sono proprio queste false convinzioni a trasformare la demenza in un tabù che alimenta disinformazione quotidiana, isolamento e alienazione.

Nel 2017, la Federazione Alzheimer Italia ha invitato al suo convegno annuale di Milano John Sandblom – all’epoca tesoriere e socio fondatore di Dementia Alzheimer International – la più grande associazione mondiale che rappresenta migliaia di persone con demenza in quasi ogni Paese e continente del nostro globo. John stesso convive con una diagnosi di Alzheimer da quando aveva 48 anni.

Durante la sua presentazione a Milano, John ha elencato i falsi luoghi comuni di cui si sente spesso parlare. Ve li riproponiamo qui di seguito con qualche riflessione scritta di nostro pugno:

FALSO MITO N. 1: Una diagnosi di demenza non ha utilità perché tanto non c’è nulla da fare (ovvero, non ci sono cure per guarire)

Una diagnosi tempestiva è utile per tanti motivi – ad esempio permette di identificare eventuali condizioni o patologie secondarie che provocano sintomi di demenza; permette di comprendere la natura, gli eventuali rischi e i fattori protettivi associati ai deficit emersi; è utile per identificare gli interventi riabilitativi e compensativi più idonei a mantenere una vita attiva e di qualità il più a lungo possibile.

FALSO MITO N. 2: La demenza fa parte del processo normale di invecchiamento

In realtà gli anziani che si ammalano di demenza sono una minoranza anche quando raggiungono un’età avanzata. Il deterioramento cognitivo patologico è l’eccezione non la regola. Non solo, la demenza colpisce anche persone ben al di sotto dei 65 anni – definire la demenza come una malattia “senile” è offensivo e discriminante nei confronti di chi ha una diagnosi di demenza a esordio precoce.

FALSO MITO N. 3: Le persone con demenza “tendono a scomparire” e “non sono del tutto presenti”

Anche se la demenza può compromettere alcune funzioni cognitive, le persone che si ammalano continuano a mantenere un senso di sé anche negli stadi più avanzati della malattia. Il loro modo diverso di esprimere la loro identità non è sinonimo di assenza; né è indicativo di totale inconsapevolezza di chi sono o chi sono state o dell’ambiente e persone che le circondano.

FALSO MITO N. 4: Se una persona non ha problemi di memoria non ha una demenza

Ci sono molte cause di demenza che non colpiscono la memoria in sé ma compromettono altre funzioni, quali ad esempio la capacità di giudizio, di programmazione, di comunicazione, di controllo delle inibizioni, ecc.

FALSO MITO N. 5: Non è possibile comunicare con le persone con demenza

La comunicazione con le persone con demenza è sempre possibile anche quando il linguaggio verbale non è più efficace. Il linguaggio non-verbale è alla base di tutte le comunicazioni tra esseri umani fin dai nostri primi giorni di vita ed ed è un una modalità di comunicazione fondamentale anche quando le nostre capacità cognitive sono compromesse. Come ha ricordato John, una persona con demenza può dimenticarsi cosa gli hai detto o fatto ma non si dimenticherà di come l’hai fatta sentire.

FALSO MITO N. 6: Le persone con demenza non sentono il dolore

E’ un pensiero così assurdo e senza alcuna base scientifica che non merita di essere commentato. Temo però che questo falso mito sia la causa di molti abusi nei confronti delle persone con demenza di cui si sente spesso parlare.

FALSO MITO N. 7: Se mangi “xxx” o fai “xxx” hai la certezza di prevenire o curare una demenza

Nonostante negli ultimi anni siano stati identificati numerosi fattori di rischio e fattori protettivi del disturbo neurocognitivo, la demenza rimane ancora una malattia incurabile e dovuta a cause che non sono ancora del tutto chiare alla scienza.

FALSO MITO N. 8: Se una persona con demenza è in grado di parlare in pubblico non può essere veramente malata

Questo è un luogo comune che permette tutta una serie di pratiche di esclusione e discriminazione di cui parlavo sopra. Per fortuna in tutto il mondo ci sono sempre più persone con demenza che parlano a conferenze e convegni importanti. Il fatto che questi supereroi del nostro tempo conservino la capacità di comunicare non significa che non abbiano una demenza ma indica che la loro malattia è in fase iniziale e ha intaccato alcune capacità e non altre. Se ancora non siamo abituati a vedere  italiani con demenza che parlano in pubblico non è perché non esistono persone come John (o Kate, o Wendy, o Ken, o George…), ma è perché lo stigma è così forte che loro stessi si vergognano di uscire allo scoperto. La cosa paradossale è che anche quando qualche capitano coraggioso si fa avanti, tendiamo a ignorarlo come se non avesse nulla di importante da dire.

FALSO MITO N. 9: Le persone con demenza non possono vivere una vita di senso

Vivere una vita di qualità e significato oltre la diagnosi è possibile, ma solo se diamo alle persone con demenza gli strumenti necessari ad affrontare le loro difficoltà quotidiane con dignità e giustizia. Tutte le persone con demenza che parlano apertamente della loro malattia concordano nel dire che vivere una vita di senso oltre la diagnosi significa essenzialmente due cose: 1) mantenere il più a lungo possibile il massimo livello di autonomia e qualità della vita; 2) essere inclusi nella vita di tutti i giorni della propria comunità di appartenenza non come spettatori passivi ma come cittadini a pieno titolo.