La comunicazione della diagnosi di demenza è uno degli aspetti più controversi di questa malattia. E’ controverso perché spesso i medici tendono a bypassare questa delicata ma importantissima fase del percorso diagnostico per motivi che spesso trovano poco riscontro nelle evidenze scientifiche.

Come si osserva nel recente documento pubblicato dalla Conferenza della Regioni e Province Autonome intitolato “Raccomandazioni per la governance e la clinica nel settore delle demenze”, nonostante gli indubbi vantaggi della comunicazione della diagnosi

spesso motivazioni etiche, riconducibili in buona parte al desiderio di non peggiorare le condizioni psicologiche della persona affetta o alimentare la falsa credenza che “non ci sia più nulla da fare”, impediscono a medici e familiari di comunicare la diagnosi in modo chiaro, con il conseguente mancato coinvolgimento in molte decisioni che la riguardano.

Dal punto di vista della persona con demenza, conoscere la propria diagnosi apre numerose opportunità che invece vengono inesorabilmente negate quando invece si tiene la persona all’oscuro di cosa sta succedendo alla sua salute e alla sua vita. Ad esempio, la conoscenza e comprensione della propria diagnosi:

  • Può restituire un senso a tanti cambiamenti nelle proprie capacità di orientarsi e funzionare nel mondo – senso che è stato compromesso dal momento in cui hanno cominciato a manifestarsi i primi sintomi.
  • Permette di cercare l’aiuto di cui si ha bisogno (di tipo clinico o medico, sociale, assistenziale, ma anche riguardo ad altri aspetti della vita di tutti i giorni) per sentirsi meno impotenti e soli di fronte alla malattia
  • Permette di poter prendere decisioni importanti riguardo al suo presente e futuro con cognizione di causa – ad esempio l’organizzazione delle proprie risorse finanziarie, il tipo di cura e assistenza che desidera ricevere in caso di non auto-sufficienza, la nomina di una persona di fiducia o un amministratore di sostegno per prendere le decisioni più difficili riguardo alla sua salute e assistenza.

Ma soprattutto, conoscere la propria diagnosi permette di imparare a convivere meglio con la propria malattia elaborando nuovi modi per prendersi cura di se stessi, del proprio benessere e del modo in cui si vuole continuare a vivere una vita di senso a tutto tondo.

Privare la persona con demenza dell’informazione necessaria a capire cosa sta succedendo non è solo un problema etico, contrario ai principi deontologici della pratica clinica contemporanea, ma è anche un problema enorme per gli stessi familiari che per tutto il decorso della malattia devono continuare a prendersi cura di qualcosa di enorme, che fa danni ovunque, ma di cui non ne possono parlare.

Poiché la diagnosi rimane tabù in casa, i motivi di tante decisioni che limitano la libertà della persona con demenza rimangono irrisolti. Il risultato di questa omertà è un eccesso di stress e angoscia sia da parte dei familiari, costretti a ricorrere a tutta una serie di sotterfugi pur di evitare il discorso e allo stesso tempo giustificare i loro comportamenti, e sia da parte delle persone con demenza le quali, non capendo cosa sta succedendo, vivono in un contesto domestico che appare opprimente, se non addirittura ostile.

Negli anni scorsi abbiamo affrontato spesso questo argomento da vari punti di vista per incoraggiare un dialogo più aperto con operatori e familiari. Purtroppo da allora la situazione non è cambiata moltissimo – alla maggior parte delle persone diagnosticate in Italia non viene comunicata o spiegata la malattia. Nella speranza che le recenti linee guida incoraggino a cambiare questa quanto mai problematica realtà, rimandiamo i lettori agli approfondimenti qui sotto.