Oggi proponiamo un articolo pubblicato dall’Associazione Alzheimer Riese Pio X sull’arte-terapia. L’articolo è stato tradotto dall’inglese e originariamente pubblicato sul sito della University of Technology di Sydney, Australia.
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Arte terapia: ridurre l’isolamento dell’Alzheimer
Un piccolo gruppo di appassionati d’arte è seduto di fronte al dipinto di Frederick McCubbin ‘On the Wallaby Track’, alla Art Gallery of New South Wales di Sydney.
La discussione si dipana liberamente mentre gli spettatori riflettono sui dettagli del dipinto ad olio del 1896: la donna seduta a terra appoggiata ad un albero, l’uomo che sta attizzando un piccolo fuoco per far bollire un pentolino, il bambino paffuto che giace sul grembo di sua madre.
Visto che una volontaria specializzata guida gli spettatori, i piccoli dettagli fanno nascere conversazioni che risalgono nel tempo e provocano vividi ricordi. Il gruppo è composto da sei persone con demenza e un caregiver provenienti da un centro diurno del sud-ovest di Sydney, che prendono parte al programma della galleria ‘Arte e Demenza’.
Il tema è ‘Avventure nel Paesaggio Australiano’. Oltre al dipinto di McCubbin, il gruppo vede The Coming Home (1904) di Hans Heysen e Waterfall, Strath Creek (1862) di Eugene von Guérard. Ad ogni opera, la guida confeziona i temi di discussione, sottolinea alcuni elementi e pone domande: gli odori del bosco, l’ora del giorno, il bambino paffuto, e il modo in cui sono arrivati senza carrozzina.
Danielle Gullotta, coordinatrice di accesso della galleria, ha eseguito il programma per la prima volta nel 2010 come studio pilota, prendendo spunto dal «Meet Me at MoMA», che si è svolto per diversi anni al Museo di Arte Moderna di New York per le persone nella fase iniziale della demenza e i loro caregivers.
“E’ stato un momento in cui] c’era una crescente consapevolezza intorno all’arte e alla salute in Australia”, dice la Gullotta. “La domanda della comunità stava crescendo, dai terapeuti occupazionali, agli arte-terapeuti, ai caregivers che lavoravano nei centri sociali e nelle case di riposo”.
Quest’anno, la galleria ha annunciato un ampliamento del programma, con un finanziamento dal partner principale State Street. Oltre a ospitare le visite alla galleria, la Art Gallery of New South Wales porterà il programma alle strutture comunitarie con persone affette da demenza che non sono in grado di viaggiare.
Mentre il bus parte con l’ultimo gruppo, la Gullotta dice che i vantaggi del programma possono essere: inclusione sociale, stimoli intellettuali ed emotivi, esperienze suggestive per le persone affette da demenza, nuovi spunti di discussione per i caregivers, e un esame formale del programma è ora in corso.
La Dott.ssa Gail Kenning, della Facoltà di Arti e Scienze Sociali della University of Technology di Sydney (UTS), è stata ingaggiata dalla galleria per valutare l’impegno artistico per le persone affette da demenza. Lei esamina il numero e la frequenza dei visitatori, ma anche l’individuo e la sua risposta all’arte.
La Kenning dice che si apprezzano sempre di più gli approcci non-medici alla salute, e il programma di arte e demenza si presta perfettamente allo studio in quell’area. I suoi dati attingeranno da esperti clinici e medici nella demenza, così come dalle persone affette da demenza e dalle loro famiglie, amici e caregivers.
“Chiunque è coinvolto nelle arti ne conosce l’importanza nella vita quotidiana. I lavori artistici si sperimentano”, dice. “Spesso quando guardiamo le persone con diverse abilità, o che invecchiano, o con problemi di salute, non appena si mette l’arte nell’equazione, si comincia a pensare in termini di arte-terapia … quello a cui stiamo cercando di pensare è che non tutta l’arte è arte-terapia. A volte è solo esperienza di vita. Ciò permette alle persone di conversare sull’opera d’arte, pensare a cose che vengono stimolate dall’opera d’arte”.
John Watkins, l’amministratore delegato di Alzheimer’s Australia NSW, dice che i programmi come quello della galleria sono “tutti atti ad assicurare che le persone affette da demenza siano in grado di rimanere connessi e inclusi nella loro comunità”.
Di certo quella è stata l’esperienza del MoMA. La ricerca condotta dalla New York University, in collaborazione con la galleria, ha trovato che il programma «Meet Me at MoMA» ha fornito un ambiente accogliente e stimolante che ha aiutato il senso di inclusione tra i partecipanti. Watkins dice:
“Troppo spesso si sente dire che una volta che una persona riceve una diagnosi di demenza, si sente isolata e incapace di continuare a vivere la vita come prima, a causa della mancanza di consapevolezza generale e dello stigma che circonda la condizione”.
La Dott.ssa Kenning dice che la conversazione sulla demenza spesso riguarda “carenze, perdite, limitazioni … siamo parte della ricerca sul potenziale che possono avere l’invecchiamento, la demenza, la disabilità o l’handicap percepito … per cambiare la percezione. Non vogliamo curare persone affette da demenza. Non miglioreremo le persone. Quello in cui siamo davvero interessati, come pure la galleria, è nella gioia del momento, nel piacere del momento … cose che tutti noi sperimentiamo“.
Fonti:
- Versione italiana – Alzheimer Riese Pio X
- Versione originale in inglese – University of Technology, Sydney