La demenza e le donne: la relazione di Alzheimer’s Disease International

women and dementia - ADI Report

Oggi voglio condividere qualche riflessione sul dossier pubblicato lo scorso giugno dalla federazione Alzheimer’s Disease International (ADI) e intitolato “Donne e demenza”. Si tratta di una relazione internazionale, elaborata da un gruppo multidisciplinare di medici e scienziati sociali con lo scopo di presentare alcuni aspetti della malattia che riguardano in particolar modo le donne.

Il primo dato importante del dossier è che in tutte le regioni del mondo la demenza colpisce soprattutto le donne, sia in termini di persone che si ammalano e sia in termini di persone che si occupano, in veste professionale o informale, di assistere chi si ammala.

Secondo la relazione, oltre a rappresentare la maggioranza dei casi di demenza nel mondo, le donne tendono anche a manifestare sintomi più gravi rispetto agli uomini. Sul fronte dell’assistenza informale, quasi due terzi dei caregiver familiari sono donne. In Italia questo fenomeno è addirittura amplificato; un recente studio stima infatti che l’80% degli italiani con demenza vive a casa, di questi il 70% sono assistiti da donne.

Le donne rappresentano anche la maggioranza del personale addetto all’assistenza, sia nelle strutture socio-sanitarie e residenziali che nei servizi dedicati alle cure domiciliari.

Come osserva Marc Wortmann, Direttore Esecutivo di Alzheimer’s Disease International, la demenza è un fenomeno prevalentemente femminile anche in termini di attivismo. La maggioranza delle associazioni alzheimer affiliate alla stessa ADI è guidata da donne, molte delle quali vivono la malattia in famiglia o rivestono ruoli di caregiver per i propri mariti o altri familiari.

Da quello che finora ho potuto osservare, anche gli attivisti con demenza che fanno parte dei vari working group in vari paesi del mondo sono per la maggior parte donne (vedi ad esempio il caso di Cristine Bryden, Kate Swaffer, Agnes Houston, Helga Rohra, Wendy Mitchell, ecc.).

Al di là dei dati demografici e epidemiologici, il dossier aiuta a capire quanto questa prevalenza femminile abbia conseguenze sulla vita quotidiana e professionale di milioni di donne in ogni parte del pianeta. Ecco dunque alcuni spunti a mio parere particolarmente significativi.

Assistere il proprio marito, padre o familiare

Dossier Donne e Demenza di ADINel rapporto emerge un quadro piuttosto problematico riguardante le donne che assumono il ruolo di caregiver informali. Un ruolo dato per scontato, poco riconosciuto dalla società – e a volte anche dagli stessi familiari o amici – e tuttavia pesantissimo per chi se ne fa carico per anni, se non decenni. Occuparsi dei propri mariti, genitori, o familiari con demenza è un impegno che spesso costringe a rinunciare a molti spazi personali, talvolta anche alla propria carriera. Quando poi la malattia raggiunge gli stadi più avanzati, l’assistenza diventa un’attività faticosissima e totalizzante che assorbe ogni momento della vita quotidiana. Le conseguenze di un tale carico nel lungo periodo sono pesanti sotto ogni punto di vista.

Il dossier pone particolarmente importanza non solo sul ruolo del caregiver in sé, ma anche sul modo in cui questo ruolo viene affidato e portato avanti: in estrema solitudine, con pochissimo supporto da parte della propria rete di amici e parenti, con scarsissima conoscenza della malattia, e – nei casi migliori – con un aiuto precario da parte delle istituzioni. A farne le spese sono la loro dignità e salute mentale. Non a caso, la maggior parte di loro soffre di ansia e depressione.

E’ interessante osservare che, secondo la relazione ADI, la situazione non è altrettanto tragica per gli uomini chiamati a svolgere lo stesso ruolo. Anche se non è del tutto chiaro il motivo, il dossier rileva che per gli uomini caregiver c’è una maggiore facilità nel trovare sostegno da parte di figli (spesso femmine), vicini di casa, amici o conoscenti che manifestano la loro solidarietà dando una mano. Il dossier attribuisce questa disparità di genere alla differenza di ruoli prescritti dalla società. L’aspettativa dell’accudire è nella maggior parte del mondo rivolta prevalentemente alle donne, le quali a loro volta, internalizzando tale ruolo, fanno più fatica a delegare i propri impegni di cura. D’altro canto, viviamo in una società che dà per scontato che una donna assuma più ruoli in famiglia a prescindere dal fatto che abbia un lavoro full-time e 2-3 figli da crescere.

Proprio perché si tende a dare il caregiving delle donne più scontato rispetto agli uomini, il rapporto evidenzia come questa aspettativa abbia un impatto anche sulla vita professionale di chi assistere un familiare con demenza. Molti studi dimostrano infatti che molte di queste donne sono costrette a ridurre le ore di lavoro o abbandonare completamente il loro impiego per fare fronte agli impegni di cura. Questi cambiamenti hanno conseguenze spesso molto serie, sia in termini economici (uno stipendio in meno o ridotto può fare un’enorme differenza sul budget familiare), e sia in termini professionali di opportunità lavorative future.

Come si fa a cambiare un condizionamento tanto forte? Se penso alle donne della mia famiglia, mi rendo conto che  “riflesso condizionato” di cui parla il dossier è ben cristallizzato anche in ognuna di noi: se qualcuno che sta male, c’è sempre una mamma, una figlia, una sorella, una zia che accorre al capezzale. Ma non è nemmeno giusto generalizzare in questo modo. Conosco infatti molti uomini che si prendono cura delle loro donne malate con tanta dedizione e affetto. Quello che voglio dire è che questa è un’area difficile da definire perché si rischia di banalizzare chi vive in prima persona circostanze davvero pesanti. Mi riprometto di ritornare prossimamente su questo tema, magari con qualche testimonianza di donne e uomini che si occupano dei propri cari con demenza. Penso che alla fine loro siano i veri esperti della situazione.

In ogni caso, nel prossimo futuro difficilmente si assisterà a una rivoluzione dei ruoli di caregiving. Quello che però potrebbe e dovrebbe cambiare è come i caregiver sono assistiti. Ad esempio, fornendo loro informazioni più accessibili e fruibili, affinché possano capire meglio la malattia e accedere a servizi di assistenza più consoni ai loro bisogni.

Sono tantissime le testimonianze anche nel nostro paese di donne (e uomini) che si perdono nei labirinti della burocrazia prima di arrivare allo sportello giusto per accedere a una diagnosi o a un supporto da parte delle istituzioni. Sono fatiche impensabili e inutili che si abbattono su persone già stravolte da una malattia che lascia tregua.

Quando ad ammalarsi è una donna

Il rapporto evidenzia anche numerosi aspetti riguardanti le donne affette da demenza. Proprio perché le donne sono solitamente più abituate a prendersi cura piuttosto che riceverne, accettare l’assistenza da parte di familiari è per loro particolarmente difficile. O, in apparenza, più difficile rispetto agli uomini nella loro condizione.

Il mantenere identità, dignità e indipendenza è per molte persone con demenza l’aspetto più importante per convivere al meglio possibile con la malattia. Ciononostante, uomini e donne possono vivere in maniera diversa il cambiamento di ruoli e di identità causato dal declino cognitivo. Le resistenze a tale cambiamento hanno un peso importante anche sul processo di accettazione della malattia stessa.

Ad esempio, il rapporto ADI accenna a uno studio che introduce il termine di “colpa riconoscente” per indicare le dinamiche relazionali ambivalenti tra madri con demenza e figlie: da un lato le madri temono di diventare un peso per le loro famiglie e rifiutano l’assistenza, dall’altro lato però sono anche grate per l’aiuto che ricevono dalle proprie figlie. Questo tipo di sentimenti contrastanti possono essere fonte di enormi conflitti in famiglia. Ecco perché l’assistenza da parte di professionisti o delle istituzioni dovrebbe tenere conto di tali dinamiche ed elaborare strategie che evitino di aumentare i sensi di colpa di chi è malato.

Ruoli professionali nelle demenze

La maggioranza dei professionisti addetti alla cura e all’assistenza delle persone con demenza e dei loro familiari sono donne. Soprattutto nell’ambito dell’assistenza domiciliare, lo status delle donne, sia in termini di riconoscimento economico che in termini di ceto sociale, è piuttosto basso. Nella maggioranza dei casi, gli assistenti familiari (nel nostro paese comunemente chiamati “badanti”) sono introdotti alla professione con pochissima preparazione e istruzione, lasciando al singolo individuo l’iniziativa e la capacità di affrontare situazioni (e dinamiche familiari) difficili da comprendere e gestire.

Anche nelle residenze o case di riposo il personale (prevalentemente femminile) spesso non riceve una preparazione adeguata alle aspettative di cura richieste da una malattia così complessa come la demenza. E anche in questo caso, lo stress e la frustrazione di vivere in un ambiente lavorativo che tende a esaurire le risorse personali, fisiche ed emotive, hanno ripercussioni importanti, se non a volte tragiche, non solo per le persone assistite e le loro famiglie, ma anche per il personale addetto che si ritrova ad affrontare una crisi dopo l’altra con poche risorse e sostegno.

Le raccomandazioni di ADI

Nonostante i dati presentati da questo rapporto, le politiche di sanità pubblica che tengono conto di tali criticità sono pressoché inesistenti. Molti dei piani locali o nazionali per assistere le persone con demenza prevedono infatti un approccio uniforme, a prescindere dal sesso (e spesso anche l’età) della persona malata o di quella che la assiste.

A fronte di queste disparità, la relazione raccomanda non solo un investimento maggiore sulle competenze professionali di assistenza, ma soprattutto invita tutti i paesi ad attuare politiche di genere che includano misure di sostegno per le donne affette da demenza o chiamate ad assistere persone malate. Tali misure dovrebbero essere finalizzate a fornire sia gli strumenti e il sostegno necessari a convivere meglio con la malattia e sia a portare avanti il lavoro di cura senza trascurare la propria dignità e la propria salute.

Il rapporto completo ADI è scaricabile (in lingua inglese) a questo link: http://www.alz.co.uk/women-and-dementia.

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