Oltre la diagnosi, l’amore. Irene racconta…

Nella foto, Irene e Luigi all’inizio della loro storia d’amore

Oggi continuiamo con la nostra raccolta di testimonianze con la storia di Irene, moglie, madre, amica, impiegata… e pioniera doc del nostro primo gruppo di auto mutuo aiuto online.

Conosco Irene da oltre tre anni. All’epoca della nostra prima chiacchierata al telefono, suo marito Luigi era già stato diagnosticato da diversi anni di demenza frontotemporale con variante comportamentale. Durante questo periodo l’ho vista vivere l’evoluzione della sua storia di amore e malattia con una forza d’animo e una luce dentro il cuore semplicemente straordinari.

Come tante persone nella sua situazione, negli anni Irene ne ha passate tante. Ma la sua non è la storia di una vittima, quanto piuttosto la testimonianza di una guerriera che si è sempre battuta per difendere la sua dignità e quella di suo marito.

Anche adesso che Luigi è ricoverato in una struttura specializzata, Irene continua ad assisterlo, ritrovandolo in quei piccoli gesti quotidiani che le ricordano che lui c’è… che la malattia non si è portata via ciò che per loro è più prezioso: la loro umanità.

Buona lettura.

Eloisa

La mia storia

di Irene

Voglio raccontarvi una storia d’amore. Cercherò di essere breve, non sarà facile. Le emozioni che ho vissuto e che vivo anche oggi sono troppe e troppo intense. E le parole sono povere.

Ventisei anni fa ho conosciuto un uomo.  La prima volta che mi propose di uscire con lui, che era sposato, gli dissi che non volevo storie difficili, mi rispose che voleva solo conoscermi. Dopo un mese già viveva in casa mia e aveva chiesto la separazione, dopo due mesi già mi aveva fatto conoscere i suoi due figli. Dopo quattro anni è nato nostro figlio e dopo cinque ci siamo sposati.

Ci siamo amati intensamente, con passione, anche in mezzo alle difficoltà. Due persone molto diverse tra loro ma forse proprio per questo complementari. Ho un carattere difficile, sono molto indipendente ed introversa, tendente al silenzio e all’introspezione, un orso. Lui era molto ciarliero e solare, socievole e divertente… quanto ho riso con lui… di cuore, fino alle lacrime. Un artista, tanto che la mia casa è tappezzata dai suoi quadri. Un’anima buona e sensibile. Un uomo delicato e rispettoso, pieno di vita, forse anche iperattivo. Sì l’ho amato con passione, anche quando ha iniziato ad avere strani comportamenti, quando ha iniziato ad arrabbiarsi per delle stupidaggini, quando ha iniziato a gridare contro nostro figlio per delle sciocchezze, quando uscivamo per una gita tutti contenti e tornavamo a casa tristi e angosciati, quando sperperava i nostri soldi in cose inutili, quando cercava di fare affari con persone inaffidabili che regolarmente lo usavano ed ingannavano. Ho sempre continuato a vedere in lui l’uomo di cui mi ero innamorata, l’uomo che forse conoscevo solo io e che gli altri non sempre riuscivano ad intravedere.

Tra una lite e l’altra, una novità nel nostro rapporto, questo mio amore, questa mia fiducia in lui mi ha messo subito in allarme: mio marito doveva essere malato… stava accadendogli qualcosa. Ho pensato alla stanchezza, poi ho cercato di psicanalizzarlo, poi ho cercato di parlarci. In alcuni momenti sembrava capire e mi chiedeva scusa… dopo dieci minuti gridava come un folle perché mio figlio, adolescente, suonava la chitarra o sbatteva una porta per chiuderla.

C’è stato un momento in cui mi sono messa in discussione io, ho pensato di essere un po’ esaurita… ma una voce mi ripeteva: non è lui quello che vedi, non è lui.

Sono riuscita a parlarne con il dottore, non quello della mutua che ha sempre minimizzato, ma un medico omeopata che aveva in cura mio figlio ed era molto tenuto in considerazione da mio marito perché persona dolce ed empatica.

Riuscì a fargli fare una risonanza magnetica e a mandarlo dal neurologo. La diagnosi fu “mild cognitive impairment”, un inizio di deterioramento delle capacità cognitive.

Ho preso atto della situazione ed ho deciso che avrei continuato a vivere il più normalmente possibile, anche nella consapevolezza che sarei andata incontro ad un peggioramento e ad una malattia incurabile.

Ero quasi contenta di aver avuto riscontro del fatto che il mio uomo non era un cattivo uomo, ma solo un uomo malato. Gli sarei stata vicina e lo avrei aiutato. Più facile a dirsi che a farsi visto che all’inizio lui rifiutava il mio aiuto e si arrabbiava moltissimo quando cercavo di decidere per lui. In alcuni momenti mi sentivo presa in giro, abbandonata a me stessa e a quelle che mi sembravano mie paranoie ed incapacità.

Gli altri lo vedevano “normale”, io in alcuni momenti lo avrei cacciato di casa. Altre volte lo ritrovavo e la tenerezza per la sua condizione mi squarciava il cuore.

Ha cominciato ad avere difficoltà al lavoro ed inizialmente, grazie ad alcuni colleghi molto comprensivi ed umani, siamo riusciti a nascondere la sua incipiente malattia. Ma ho dovuto prendere la situazione totalmente nelle mie mani ed iniziare tutta la trafila burocratica per il riconoscimento dell’invalidità, dell’inabilità al lavoro, della legge 104 e via di seguito, sballottata tra l’INPS e la Asl, in balia di burocrati privi di coscienza e di conoscenza, completamente soffocata dalla mia ignoranza e dalla mancanza di aiuto professionale riguardo agli iter da seguire. Devo dire che “necessità fa virtù” e, come tutti coloro che vivono la mia stessa esperienza, sono diventata bravissima nel districarmi nella burocrazia e nella disumanità. Ma a quale prezzo… mio marito intanto peggiorava e diventava sempre meno autonomo. Ed io nel frattempo ero diventata totalmente responsabile della sua vita. Il mio amore coniugale si era trasformato giorno dopo giorno in amore materno e questo mi destabilizzava. Mi sono trovata a casa un marito che era diventato mio figlio e che aveva bisogno di me tutto il giorno, notte compresa. Se ero legata a lui prima, ora ero diventata il suo cervello, la sua coscienza… intanto io stavo perdendo il mio cervello e la mia coscienza. Il mio spazio vitale diventava sempre più piccolo. Soffocavo, ma tenevo duro. Io potevo farcela, il mio amore poteva farcela. Avevo tutto sotto controllo, non mollavo l’attenzione. Perversamente gratificata dall’importanza che avevo in questa storia e dal ruolo predominante che mi competeva.

Qui è arrivato il più grande insegnamento di questa esperienza. E’ arrivato quando ho realizzato che per mantenere tutto sotto controllo, stavo perdendo il controllo di me stessa, delle mie reazioni sempre più eccessive, del mio sonno sempre più leggero, delle mie emozioni sempre più negative. Ho sentito che mi stavo ammalando anche io. Il mio sistema nervoso non reggeva più lo stress e il mio cuore… il mio cuore non elaborava il lutto e il dolore perché non avevo neppure il tempo per soffermarmici, gravata com’ero da tutte le incombenze quotidiane. Le mie energie erano tutte concentrate sulla malattia e sul malato e sulla necessità di imparare a gestire una situazione più grande di me che nessuno riusciva a spiegarmi. Ho dovuto imparare tutto da sola, leggendo, osservando, sperimentando.

Paradossalmente la demenza mi apriva la mente, ma mi stava prendendo la vita. Così, ho superato l’orgoglio e ho preso atto che non potevo farcela, non ero in grado di controllare tutto. Avevo bisogno di un aiuto. Mio marito aveva bisogno di un aiuto che non fossi io, mio figlio aveva bisogno di un aiuto per ritrovare una madre per lui quasi inesistente perché assorbita dal padre.

Umilmente, ho dovuto riconoscere che c’è un momento, in questo triste percorso, in cui bisogna lasciare andare, bisogna mollare la presa, bisogna avere il coraggio di guardare i nostri limiti umani ed accettare che non bastiamo più, non basta la nostra buona volontà, la nostra intelligenza, la nostra fede, il nostro amore.  Il nostro caro deve essere lasciato nelle mani di altri e noi dobbiamo divenire consapevoli che l’esclusività del nostro ruolo deve finire, se vogliamo rimanere sani mentalmente e fisicamente. Dobbiamo cedere il testimone: al badante prima e ad una struttura qualificata dopo. Siamo costretti a dividere con altri la “nostra creatura”.

E’ una decisione devastante. Il nostro io subisce una scossa che sembra superare la sua capacità di sopportazione. Perché non si tratta solamente di affrontare il dolore della separazione da chi è stato oggetto del nostro amore e della nostra dedizione, ma di affrontare il nostro amor proprio e la nostra presunzione.

Mio marito è malato da sei anni, è approdato alla fase molto severa della malattia. Non cammina più, non si regge in piedi, non riesce ad esprimersi con le parole, ha allucinazioni, è completamente incontinente.

Dopo aver avuto in casa per due anni un badante che lo accudiva mentre ero a lavoro, ho dovuto ricoverarlo in una RSA, e non sto a raccontare la difficoltà che ho incontrato per trovarne una decente e il più possibile vicino casa.

Nel periodo precedente al ricovero ci sono stati momenti in cui ho creduto di odiarlo, in cui non riuscivo più ad accarezzarlo e ad abbracciarlo. La mia voce era stridula e rancorosa. Odiavo me stessa per questo e ho deciso che io non mi sarei persa, che non era affatto giusto che io mi ammalassi con lui e che dovevo trovare una soluzione per salvaguardare la sua dignità e la mia vita… e quella di mio figlio che viveva con noi.

Non è stato facile, nessuno mi ha sostenuta. Ancora non esisteva il gruppo di auto mutuo aiuto, i Pionieri erano solo un desiderio, un sogno, un’idea. Ho elaborato da sola tutte le contraddizioni, accorgendomi di quanto la società e la sanità siano carenti di sostegno e soluzioni. Credo di aver fatto la scelta giusta. Perché è stata la mia scelta e la mia soluzione e mi ha permesso di riappropriarmi del mio equilibrio e della mia vita. Di contro mio marito è accudito e ha trovato la sua collocazione in un ambiente più adatto alle sue esigenze. Vado a trovarlo tutti i giorni e sono riuscita a ritrovare la gioia di accarezzarlo e di sussurrargli, tra mille bacini, tutto il mio amore. Qualche volta mi osserva sorridente e beato, qualche volta grida o si assenta perso nelle sue visioni. Le nostre anime hanno imparato a dialogare in silenzio ed ora che la mente non c’è più, il nostro sentimento, libero dalla razionalità, si è dilatato.

Forse non ho ancora elaborato il lutto, ma ho imparato ad accettare la Vita e quello che mi ha proposto, ringraziandola per tutto il bene ed anche per il male, che mia ha reso consapevole del bene.

E ho deciso di condividere la mia storia, perché nonostante tutto è una bella storia e vale la pena averla vissuta e continuare a viverla.

Irene