Il supporto ai coniugi: l’esperienza di “In Cammino”

foto supporto psicologico in cammino
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Come forse ricorderete, l’anno scorso abbiamo avuto il piacere e privilegio di inaugurare In Cammino, il nostro primo percorso post-diagnostico per coppie che affrontano il dopo-diagnosi di demenza. Il percorso include una settantina di ore di supporto (psicologico, psicosociale e di auto mutuo aiuto) e di formazione multi-disciplinare con esperti che si occupano di demenza e – più in generale – di disabilità acquisita.

A fine novembre abbiamo concluso la prima parte degli incontri di gruppo dedicati al supporto psicologico dei coniugi che hanno aderito a questa iniziativa. Questa parte del percoso è stata coordinata dalla nostra psicologa e psicoterapeuta, Dott.ssa Milena Barone, la quale ha saputo non solo cogliere i bisogni tecnici relativi alla gestione quotidiana della malattia, ma ha anche accompagnato i nove partecipanti (8 mogli e un marito di persone con varie forme di demenza) nell’indispensabile lavoro di elaborazione dei loro vissuti, a partire da quelli più difficili.

Ecco com’è andata nelle parole della Dott.ssa Barone.

come in un concerto sinfonico

Che lavoro fare con questo gruppo? Quali obiettivi pormi? Come strutturare un percorso che coinvolga i coniugi-caregiver, rendendoli più resilienti?

Questi sono solo alcuni degli interrogativi che mi sono posta quando ho iniziato a pensare agli incontri con il gruppo, all’interno del percorso In Cammino.

Non è stato facile rispondere a queste domande, anche perché, l’esperienza di supporto ai familiari-caregiver di persone con diagnosi di demenza, mi ha insegnato che spesso i protocolli hanno dei pro e dei contro. I pro riguardano il cercare di affrontare vari domini del caregiving con un approccio pratico e l’essere evidence-based; i contro riguardano il fatto che spesso le soluzioni date non sono abbastanza personalizzate e tendono a frustrare i familiari-caregiver che si sentono schiacciati da ciò che viene proposto, soprattutto se emotivamente non si sentono pronti ad affrontarlo. E’ proprio da questa esperienza che è nato un “ibrido” tra le proposte presenti in letteratura e una proposta intrinsecamente nuova. Una proposta in perfetta sintonia con la logica di In cammino, un percorso in co-design, cioè strutturato dai professionisti in collaborazione con i partecipanti del gruppo.

Il primo obiettivo è stato quello di coordinarsi con i partecipanti, facendo un’analisi dei loro bisogni e delle loro aspettative. Come in un concerto sinfonico ci sono uno o più solisti che si fondono con l’orchestra in una sinfonia, anche noi professionisti abbiamo messo da parte il nostro bisogno di insegnare qualcosa da “solisti”, coordinandoci in armonia con i bisogni dei coniugi-caregiver. Ed è per questo che la mia idea iniziale di come si sarebbe svolto il percorso si è modificata parlando con i partecipanti prima dell’inizio degli incontri di gruppo, ma anche durante. Il primo passo, pertanto, è stato quello di fare un’analisi dei loro bisogni, ascoltando le loro richieste.

Veniamo agli altri obiettivi di questo percorso. Potremmo individuare un obiettivo generale e cioè aumentare le possibilità d’azione e di scelta dei coniugi-caregiver, fornendo loro strumenti che nutrano le capacità di coping e aumentino quindi la resilienza.

Oltre agli obiettivi classici del lavoro di gruppo, gli altri obiettivi sono stati di varia natura: emotiva e pragmatica. Quelli legati alla sfera emotiva, hanno riguardato:

  • rendere i partecipanti consapevoli delle proprie emozioni
  • comprendere i principali fattori di stress legati al caregiving
  • conoscere, anche attraverso le esperienze dei partecipanti al gruppo, i principali cambiamenti nell’assetto familiare dopo l’arrivo di una diagnosi
  • comprendere le dinamiche emotive tipiche delle malattie neurodegenerative (es. lutto continuato, perdita ambigua, etc…)
  • apprendere nuovi modi per gestire lo stress (es. prendersi i propri spazi, tecniche di rilassamento etc…)
  • comprendere l’importanza della salute del coniuge-caregiver

Gli obiettivi legati agli aspetti pragmatici, invece, hanno riguardato la condivisione di strumenti per:

  • comprendere le caratteristiche delle varie forme di demenza
  • comprendere le difficoltà di comunicazione con il proprio coniuge e strategie per migliorare il dialogo
  • comprendere i cambiamenti comportamentali e le strategie per gestirli.

È stato quindi necessario dedicare la prima metà del percorso alla comprensione ed elaborazione delle emozioni legate ai vissuti più difficili, ad esempio quelli riguardanti la modifica dei propri progetti di vita, i ruoli in famiglia, il lutto della perdita ambigua, la fatica della cura.

Solo a metà del percorso ci si è dedicati alla “formazione tecnica” per la gestione delle difficoltà quotidiane.

La prima fase si è rivelata indispensabile e ha permesso ai partecipanti di sentire riconosciuti i propri bisogni ed i propri sforzi. Questo credo sia un punto nodale. Partire dagli aspetti più concreti e dalle difficoltà dei loro coniugi avrebbe implicato aggiungere sforzo allo sforzo: è proprio questo che spesso i familiari-caregiver lamentano. Quando chiedono un supporto, si tende, di solito, a dar loro soluzioni, strategie di gestione del proprio caro. Sebbene tutto ciò sia importantissimo per diminuire il carico, ciò che di solito succede è che aumenta il senso di inadeguatezza e impotenza; questo perché non solo si sentono già carichi e sollecitati, ma anche perché non hanno le forze di applicare tutte le strategie che vengono fornite loro. E si sentono in colpa e/o arrabbiati per questo. Appare evidente come, per riuscire a prendersi cura di un’altra persona, anche senza demenza, si debba star bene con se stessi. A maggior ragione questo è vero se la cura è molto impegnativa. In altre parole, per accettare le strategie proposte, ci deve essere terreno fertile. E il terreno è fertile se viene preparato. Proporre troppo presto certe soluzioni implica esporre a un ulteriore carico il familiare. Affinché venga utilizzato qualsiasi approccio, l’apprendimento di nuove strategie comporta un periodo in cui tali strategie vengano apprese e messe in pratica; ciò richiede tempo ed energie che spesso i familiari non hanno. Prima di chieder loro qualcosa di così impegnativo, credo sia una questione di rispetto nei loro confronti parlare di come stanno, fare il punto su quello che stanno passando e abbassare i livelli di ansia e stress. Questo può aiutarli a tollerare l’idea di doversi “equipaggiare” per affrontare diversamente la quotidianità.

Infine, aggiungo che è stato spesso necessario ridimensionare in itinere il lavoro a cui avevo pensato. Ad esempio, nel corso di un incontro in cui avevo pensato di affrontare aspetti concreti legati alle difficoltà di comunicazione, ho dovuto cambiare rotta perché mi sono accorta del bisogno dei coniugi-caregiver di comprendere meglio il significato dei referti e delle diagnosi dei loro coniugi.

Per concludere, credo che i punti di forza di questo percorso siano stati proprio la flessibilità e la sintonizzazione con i bisogni di chi vi ha partecipato. È stato un percorso gratificante a livello professionale e ricco di spunti per migliorare ulteriormente la proposta in gruppi futuri.

Dott.ssa Milena Barone