Il post di oggi è dedicato a tutti coloro che si stanno prendendo cura di qualcuno durante l’emergenza COVID-19, a partire da chi sta affrontando le difficoltà di questo isolamento forzato insieme a una persona con demenza. Il loro impegno a tenere duro, assumendosi tutta la responsabilità del benessere e della sicurezza dei loro cari più vulnerabili, non può e non deve essere dato per scontato. Non è scontato in tempi meno tormentati di questo, tantomeno lo può essere quando siamo/sono alle prese con una pandemia.
Come hanno già scritto in tanti in questi giorni, il binomio COVID-19-demenza per molte famiglie si è già trasformato in un cocktail micidiale di ansie e paure che esasperano le difficoltà nella gestione quotidiana della malattia.
Da una parte ci sono le persone con demenza che con le loro difficoltà cognitive possono essere poco consapevoli della pandemia e rischiano di esporsi ed esporre altri al pericolo di contagio; oppure possono reagire con ansia e frustrazione alle restrizioni imposte in queste settimane. D’altro canto ci sono anche tantissime persone con demenza che sono perfettamente in grado di capire cosa sta succedendo e vivono con grande apprensione la paura del contagio e si sentono ancora più vulnerabili e soli. Anche loro stanno cercando di fare la loro parte per contribuire positivamente alla situazione, ma hanno comunque bisogno del nostro aiuto e della nostra resilienza per andare avanti. Il loro livello di dipendenza da ognuno di noi non è mai stato così alto come in questo momento.
Dall’altra parte ci sono familiari come Lidia, di cui leggete qui sotto e di cui avete già letto qui. Anche loro sono rimasti soli e privati di tutti quei servizi territoriali e risorse sociali – quali ad esempio i centri diurni, l’assistenza domiciliare, le attività riabilitative e socializzanti, ma anche gli stessi sportelli sanitari e socio-assistenzali – che permettono di mantenere un minimo (quando va bene) di equilibrio per contrastare l’impatto della malattia.
Anche se molti famgliari in questi giorni si stanno rivolgendo a psicologi e associazioni per ricevere supporto morale e psicologico, il loro bisogno è anche quello di un supporto pratico che alleggerisca l’enorme carico di responsabilità che si sono dovuti assumere a causa del COVID-19. Il loro è un carico che può essere sopportato solo per un periodo limitato, dopodiché si rischia che la situazione evolva in qualcos’altro.
E allora che fare? Per ora non ci resta che contribuire attivamente al contenimento del virus rimanendo nelle nostre case, magari facendoci ispirare da qualche risorsa messa a disposizione da professionisti e associazioni. Lo so che è difficile, a volte perfino impossibile. Tuttavia il nostro questo enorme sacrificio è vitale, nel vero senso della parola.
Ad ogni modo, portare pazienza non significa accettare che la situazione attuale si protragga all’infinito; né tantomeno significa aspettarsi che le cose si risolveranno da sole. Il pericolo di contagio, soprattutto per chi è più vulnerabile per motivi di salute o di età, non sparirà magicamente dopo Pasqua.
Anche se adesso facciamo fatica a immaginarci alternative, è fondamentale cominciare a pensare come riformulare i servizi e le risorse diretti alle famiglie per sopperire ai servizi che sono stati sospesi. Leggo sui giornali che governo e Regioni stanno lavorando a un progressivo piano di rientro per ripristinare servizi e risorse alle loro comunità. Se siamo tutti responsabili nel contenere il contagio, la famosa “fase 2” arriverà prima possibile. La mia speranza è che con la progressiva riattivazione di imprese, sportelli, negozi troveremo anche un modo (o, ancora meglio, tanti modi) per restituire prima possibile un po’ di risorse a chi vive l’impatto di una demenza.
Anche questa è una questione vitale.
Un abbraccio enorme,
Eloisa
La testimonianza di Lidia:
“Questa emergenza è una sfida”
Buongiorno a tutti. Io sono Lidia, una biologa di 57 anni ancora appassionata del proprio lavoro. Vivo e lavoro a Torino ed abito in una casetta con un piccolo giardino con mio marito ed un cane. Eravamo molto felici prima della malattia e ci piaceva soprattutto viaggiare e contemplare la natura in tutte le sue forme.
Mio marito, Fernando, era una persona molto positiva, famosa per il suo bellissimo sorriso. Amava molto stare in compagnia e gli piaceva suonare con gli amici la chitarra e il pianoforte. A volte cantavamo un po’ insieme nel tempo libero. Lui aveva un’intelligenza particolarmente brillante, per questo si è molto tardato ad arrivare alla diagnosi di demenza frontotemporale. In pratica, laddove il suo cervello si stava opacizzando, lui sopperiva con quella che chiamano “la riserva cognitiva” e mascherava un po’ i sintomi. Ma non a me, che lo conoscevo bene.
Dalla comparsa dei primi sintomi nel 2014 ad oggi, sono purtroppo cambiate molte cose. Ormai Fernando non ha più interessi, non parla quasi più, non riesce a seguire un film né a leggere un libro, non ricorda i suoi amici, nemmeno i più cari. Non sa che ora è, che giorno è e nemmeno in che stagione siamo.
Alterna fasi di totale abulia con fasi di irrequietezza in cui è impossibile tenerlo fermo. E quindi è molto difficile spiegargli che non può uscire. Per lui era importante uscire la mattina. Faceva una passeggiata col badante, andavano a prendere il caffè e giocavano a biliardo. Spesso andavano a trovare il suo anziano padre. Ora che tutto questo non si può più fare è diventato difficile inventare le giornate. Si gioca un po’ a carte e poi sempre davanti alla TV. La TV ormai è un “luogo”, un posto dove stare.
Per il resto del tempo, lui cammina per la casa continuamente, contando forte i suoi passi. Uno, due, tre…
Devo ammettere che a volte mi innervosisce, anche perché mi rivolge mille e mille volte le stesse domande. Non c’è più un momento di pausa o di silenzio. Qualche volta ho dovuto lasciarlo uscire, suscitando la preoccupazione dei parenti. Mi dicono: devi tenerlo in casa, come tutti noi….
E io dico: provateci voi!
Per fortuna abbiamo un badante molto bravo e paziente, ma da quando è iniziata la quarantena è andato in burn out anche lui. Vivere un’emergenza come questa insieme a un malato di demenza è una vera sfida.
Da tempo sto cercando di contattare i sevizi sociali per avere un po’ di assistenza, ma non sono ancora riuscita. Ecco è quanto avrei bisogno: una persona formata che sappia stare con mio marito e dia un po’ di sollievo al badante e a me. Noi facciamo i turni, ma anche così è molto faticoso e stressante.
Che finisca la quarantena, che venga la primavera, è tutto quello che desidero, ormai….