Kate Swaffer: Abbiamo bisogno di un nuovo modello post-diagnostico per le demenze

Nella foto Kate Swaffer, Co-fondatrice e CEO di Dementia Alliance International. Kate ha ricevuto la sua diagnosi di demenza nel 2008. All’epoca aveva poco meno di 50 anni.

Oggi ho l’onore di condividere il discorso integrale di Kate Swaffer presentato a Milano lo scorso settembre nel corso del convegno annuale della Federazione Alzheimer Italia. E’ un discorso importante a cui purtroppo non è stata data molta rilevanza sulla stampa italiana – come sempre più interessata a spettacolizzare la malattia piuttosto che valorizzare il punto di vista di chi la vive sulla propria pelle e sta cercando di restituire un po’ di senso e sensibilità.

Ma polemiche a parte, il messaggio di Kate in sintesi è questo:

Con l’approvazione del Piano Globale delle demenze del 2017, i diritti delle persone con demenza sono ora equiparati ai diritti delle persone con disabilità e in quanto tali tutte le misure di cura e assistenza che vengono predisposte devono essere riflettere i principi e le disposizioni della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità.
Essendo l’Italia uno dei Paesi che ha ratificato tale Convenzione nel 2009, siamo tenuti ad adeguare i piani demenza nazionali e regionali alle disposizioni previste da questi documenti.

Equiparare la demenza a una forma di disabilità acquisita è per molti versi un cambiamento epocale nel modo in cui concepiamo e affrontiamo questa malattia. Ad esempio, significa passare da una mentalità che costringe le persone diagnosticate a una condizione passiva di malati a una condizione attiva di cittadini che hanno diritto a una qualità di vita attiva e indipendente, al lavoro, alla partecipazione sociale, alla riabilitazione, e tante altre cose trascurate dal nostro attuale Piano nazionale demenze. Ma la cosa ancora più sconcertante è che – a distanza di quasi due anni dall’approvazione del Piano Globale – finora non ho visto molti segnali da parte delle nostre istituzioni nazionali e regionali ad adattarsi al sostanziale cambio di marcia descritto nel documento.

Nemmeno i recenti Piani diagnostici terapeutici regionali fanno cenno a questo approccio che concepisce la demenza come una serie di disabilità acquisite. E’ come se vivessimo in un mondo tutto nostro, dissociati dal resto della comunità internazionale. In questo mi associo a Kate quando dice che non basta definirsi dementia-friendly per sentirsi inclusivi o “al passo con i tempi” – servono servizi e risposte concrete e pertinenti ai reali bisogni di chi convive con le disabilità e i disagi causati da una demenza durante tutto il decorso della sua malattia. L’approccio biomedico a cui siamo abituati non basta. Nemmeno quello biopsicosociale è sufficiente perché non garantisce il diritto di chi si ammala di ricevere tutta una serie di servizi di supporto in quanto cittadino a pieno titolo che vive una condizione di enorme svantaggio rispetto agli altri. Ecco perché si è arrivati a riconoscere la demenza come una disabilità: solo in questo modo tutti i servizi di cura, supporto e assistenza che al momento vengono riconosciuti come qualcosa di auspicabile diventano invece diritti imprescindibili da garantire a chiunque riceva una diagnosi. Il che non è cosa da poco.

E mentre leggo su Vita.it che invece di andare avanti torniamo indietro anche nell’assistenza e cura di altre malattie neurodegenerative, continuo a chiedermi perché per alcune malattie o condizioni di salute sono previsti interventi importanti anche a costo di trasformarli in accanimento terapeutico, mentre per la demenza l’approccio “tiriamo i remi in barca” inizia addirittura prima della diagnosi. No dai, in realtà dopo 5 anni di Novilunio mi sono fatta un’idea del perché di queste disparità di trattamento. E’ solo che non me ne faccio una ragione. E voi?

Buona lettura,
Eloisa

In risposta al Piano Globale sulla Demenza dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)

Presentazione di Kate Swaffer al Convegno annuale della Federazione Alzheimer Italia dello scorso 14 settembre 2018

Buongiorno. Vorrei innanzitutto ringraziare i nostri ospiti distinti, Pierfrancesco Majorino – Assessore Politiche Sociali, Salute e Diritti del Comune di Milano, Giulio Gallera – Assessore al Welfare della Regione Lombardia, e Gabriella Salvini Porro – Presidente della Federazione Alzheimer Italia, e tutti gli altri ospiti, relatori e delegati che hanno scelto di dedicare parte del loro tempo per essere qui con noi.

Ringrazio in modo particolare Mario Possenti e la Federazione Alzheimer Italia per avermi generosamente invitato nella bella città di Milano in occasione di questa conferenza. Ringrazio anche tutto il suo staff per aver messo a punto un programma di interventi così interessante. E’ un onore e un privilegio essere qui e condividere con voi questa giornata.

Nonostante sia un membro del Consiglio di Amministrazione di Alzheimer’s Disease International (ADI) e del World Dementia Council, oggi sono qui soprattutto a titolo di co-fondatrice, Presidente e CEO di Dementia Alliance International, un’organizzazione globale costituita da e per persone con demenza, fondata il 1° gennaio 2014 da otto membri di tre Paesi diversi. Oggi Dementia Alliance International ha membri in 49 Paesi.

La visione di DAI è quella di un mondo che valorizza e include le persone con demenza.

La nostra missione è dare supporto, empowerment e visibilità alle persone con demenza di tutto il mondo che difendono in prima persona i loro diritti. Inoltre sensibilizziamo a livello internazionale le comunità che si occupano di demenza affinché riconoscano i nostri diritti in quanto persone a pieno titolo. A tale scopo, siamo impegnati a difendere i diritti umani delle persone con demenza presso l’ONU, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e in tutti i Paesi che visitiamo.

Ho fondato DAI insieme ai miei colleghi per fare in modo che altre persone con demenza potessero esprimersi liberamente e fosse data loro la possibilità di convivere in maniera più positiva con la malattia. Chiediamo sia a livello collettivo che individuale un approccio alla demenza basato sui diritti umani che ci permetta di accedere alla Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità (CRPD) alla pari di chiunque abbia una disabilità.

Secondo le stime dell’OMS, nel mondo viene diagnosticato un nuovo caso di demenza ogni tre secondi; attualmente le persone con demenza sono 50 milioni a livello globale. Tuttavia, secondo l’ADI, le persone che non hanno ancora ricevuto una diagnosi sono almeno 35 milioni il tutto il mondo.

Io stessa sono tra i 50 milioni di persone che ha ricevuto una diagnosi di demenza e, in quanto tale, sono diventata una sostenitrice del mio diritto di ricevere una diagnosi precoce e un supporto post-diagnostico migliore. Le persone con demenza chiedono a livello globale il riconoscimento dei loro diritti umani, sia a livello collettivo che individuale.

In passato ho svolto il lavoro di infermiera presso strutture per anziani specializzate in demenze e ho successivamente lavorato in sala operatoria. Nonostante la mia esperienza in ambito sanitario, non mi sarei mai aspettata di ricevere una diagnosi di una rara forma di demenza all’età di 49 anni. Non sapevo che anche le persone più giovani potessero avere una demenza. Ero convinta che fosse una malattia che riguardava solo le persone anziane.

Negli anni ’70, quando lavoravo nell’ambito della demenza, la maggior parte delle persone riceveva la diagnosi quando erano già in fase avanzata della malattia. I loro sintomi erano perciò molto gravi ed evidenti. Tuttavia, fare una diagnosi è molto complicato a qualsiasi età. Proprio ieri qualcuno mi ha detto che ancora oggi in Italia le persone evitano di sottoporsi agli iter diagnostici fino a quando raggiungono le fasi più avanzate della malattia. In qualche modo questo accade anche in altri Paesi, ma credo sia dovuto allo stigma e alla discriminazione che vivono le persone dopo la diagnosi, oltre alla falsa convinzione che la demenza sia una normale conseguenza dell’invecchiamento e che sia qualcosa di cui vergognarsi.

Nonostante la comunità medica e scientifica promuova l’importanza di una diagnosi precoce, di fatto continua ad adottare un approccio alla gestione della malattia basato sulle sue ultime fasi.

Immagino che tra i presenti a questa conferenza di oggi ci siano diverse persone che si stanno chiedendo se ho veramente una demenza. Comunque sia, da quando ho ricevuto la diagnosi, sono stata periodicamente sottoposta a diversi esami strumentali – dalla risonanza magnetica alla SPECT e alla PET – e test neuropsicologici. Ho anche cercato altri pareri e conferme rispetto alla mia diagnosi. Per ora, la maggior parte delle mie disabilità cognitive e sensoriali dovute alla demenza sono invisibili; solo i miei amici più cari e i miei familiari sono in grado di cogliere i cambiamenti che vivo. In ogni caso, è difficile capire se una persona ha una demenza esattamente com’è difficile identificare in questa sala chi soffre di malattie cardiache, di diabete o di qualsiasi malattia cronica. Tanto più che non è nemmeno etico fare una diagnosi in pubblico.

Negli ultimi anni, il fenomeno delle persone che dubitano le diagnosi di persone con demenza è diventato così frequente da indurre molti a chiedersi per quale motivo gli attivisti con demenza vengano accusati di identificarsi con malattie che non hanno.

Queste dinamiche sono probabilmente dovute al fatto che molti partono dal falso presupposto che le persone con demenza siano tutte uguali. E’ un presupposto che non considera che molti di noi ricevono la diagnosi in fasi molto più precoci rispetto alle persone più anziane, le quali – proprio per paura dello stigma associato alla demenza – tendono a chiedere una diagnostici solo quando succede qualcosa di grave. In molti non la chiedono mai.

Nel loro studio sullo stigma in ambito demenza, Gove e i suoi colleghi[1] hanno concluso che gli strumenti per coinvolgere i medici di medicina generale dovrebbero includere momenti formativi e opportunità per esplorare come loro stessi percepiscono la demenza, nonché strumenti di supporto per far fronte alle discriminazioni strutturali.

L’approccio stigmatizzante alla demenza sembra inoltre suggerire che siamo tutti uguali nel modo in cui si presenta la malattia a prescindere dall’età in cui riceviamo la diagnosi. Si tratta di un approccio centrato su una visione medicalizzata dei nostri deficit che ignora i fattori esterni e individuali che possono incidere sul mondo in cui viene vissuta la diagnosi – quali ad esempio la nostra personalità, la nostra storia di vita, la nostra intelligenza emotiva e il nostro livello di resilienza. E’ un approccio che non sembra tenere conto anche delle varie tipologie di demenza e della diversità dei sintomi che le caratterizzano. Ma soprattutto vorrei precisare che nessuno passa improvvisamente dalla fase della diagnosi alle fasi più avanzate di una demenza – specialmente quando si tratta di una diagnosi effettuata in una fase precoce della malattia.

Secondo la Mayo Clinic[2], la demenza non è una malattia specifica. Per demenza si intende invece un gruppo di sintomi che hanno un impatto tale sulla memoria, sulle capacità di pensiero e sulle abilità sociali da interferire nelle funzioni quotidiane. Nonostante la demenza generalmente causi perdite di memoria, nella realtà tali perdite possono essere avere diverse cause. Ragion per cui la perdita di memoria in sé non significa che una persona abbia la demenza. 

La demenza di Alzheimer è la causa più comune di una demenza progressiva negli adulti. Tuttavia esistono diverse altre cause. A seconda delle cause, alcuni sintomi possono essere reversibili.

Personalmente preferisco definire la demenza come una condizione causata da disabilità cognitive e sensoriali acquisite e progressive. Grazie a un supporto centrato sulle loro risorse e sulla ri-abilitazione, le persone con demenza possono mantenere la loro indipendenza più a lungo.


Il Dott. Al Power, professore di psichiatria negli Stati Uniti, nonché Direttore del Schlegel Villages in Canada, definisce la demenza semplicemente come “un cambiamento nel modo in cui la persona vive il mondo che la circonda”. Questi modi meno medicalizzati di guardare alla demenza aiutano a migliorare il livello di cura e assistenza.

L’OMS inoltre definisce la demenza come una delle maggiori cause di disabilità e dipendenza nelle persone anziane in tutto il mondo; in quanto tale ritiene indispensabile implementare strategie e piani nazionali che includono servizi e politiche basate sui diritti umani e sugli articoli della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità. Tale priorità rende necessario allineare il supporto post-diagnostico al supporto previsto per le persone con disabilità, allontanandoci perciò da una visione della demenza esclusivamente medicalizzata che guarda ai sintomi unicamente come parte di un processo progressivo verso la morte.

La Convenzione ONU-CRPD adotta un modello sociale della disabilità e nel suo preambolo riconosce che “… la disabilità è un concetto in evoluzione che risulta dall’interazione tra persone con compromissioni e barriere attitudinali e ambientali che limitano la loro piena ed effettiva partecipazione nella società in base ai principi di uguaglianza con altre persone”.

Il Piano di Azione globale sulla risposta della sanità pubblica alla demenza 2017-2025 dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) è stato pubblicato e adottato all’Assemblea Mondiale della Sanità che si è tenuta a Ginevra nel maggio del 2017. All’epoca, 29 governi su 194 Stati Parti dell’OMS avevano un piano o delle politiche nazionali in grado di fare fronte specificamente all’impatto della demenza nei loro Paesi. Il piano attualmente impegna gli Stati Parti dell’OMS ad adottare misure concrete per sensibilizzare, ridurre, fare ricerca, diagnosticare e fornire servizi di supporto per le persone con demenza e i care partner entro il 2025.

La Convenzione sui diritti delle persone con disabilità (CRPD) e il suo Protocollo Opzionale furono adottati il 13 dicembre 2006 presso la sede dell’ONU di New York. Ad oggi, la Convenzione è stata ratificata da 194 Paesi.

Tuttavia, il cammino per il riconoscimento dei diritti umani non è iniziato con la Convenzione CRPD. La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani fu adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948. Questo documento aveva (e ancora ha) lo scopo di proteggere ogni singolo membro della società civile nel mondo – incluse le persone che hanno una diagnosi di una qualsiasi forma di demenza e che hanno disabilità causate dai suoi sintomi.

Anche se per noi persone con demenza e per le nostre famiglie non è una sorpresa, purtroppo, a 67 anni dalla pubblicazione della Dichiarazione, la relazione “Addressing Dementia: the OECD Response” pubblicata nel 2015 dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo (OECD) ha stabilito che ad oggi “nei Paesi sviluppati  la demenza riceve i peggiori livelli di cura”.

Per quanto sconvolgente, la conclusione dell’OECD chiarisce ulteriormente quanto sia necessario garantire che i diritti umani, la Convezione CRPD e tutte le altre Convezioni che tutelano i diritti umani trovino riscontro in tutti i piani demenza nazionali. La relazione dell’OECD inoltre conferma il motivo per cui è stato necessario chiedere il rispetto dei nostri diritti umani alla Conferenza dell’OMS del 2015; tale richiesta riguardava l’adozione di un approccio che permette pieno accesso alla Convenzione CRPD e quindi a tutti i servizi di riabilitazione previsti per le persone con disabilità.

Ad esempio, l’Articolo 26 della Convenzione CRPD stabilisce che “Gli Stati aderenti prenderanno misure efficaci e appropriate, tra cui il sostegno tra pari, per permettere alle persone con disabilità di ottenere e conservare la massima autonomia, la piena abilità fisica, mentale, sociale e professionale, e di giungere alla piena inclusione e partecipazione in tutti gli ambiti della vita.”

La Convenzione CRPD svolge la funzione di strumento per i diritti umani con una dimensione esplicita di sviluppo sociale. A tal fine, adotta un’ampia classificazione delle persone con disabilità e afferma che tutte le persone con tutti i tipi di disabilità devono poter essere in grado di godere di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali. Inoltre chiarisce e definisce come tutte le categorie dei diritti si applichino alle persone con disabilità e identifica le aree in cui devono essere fatti adattamenti affinché le persone con disabilità possano effettivamente esercitare i loro diritti, nonché le aree in cui i diritti vengono violati e in cui la protezione dei diritti dev’essere rafforzata.

Secondo la Convenzione CRPD, chiunque abbia una demenza è un detentore di diritti e tutti gli Stati aderenti che hanno firmato la CRPD si sono impegnati conformemente al diritto internazionale a includere le persone con demenza nell’implementazione della Convenzione.

Tuttavia, vi sono riscontri molti limitati rispetto al conseguimento di questo obiettivo. Ad oggi, molte persone con demenza affrontano ancora diverse violazioni e abusi dei loro diritti fondamentali che possono variare dalla mancanza di accesso a servizi sanitari alla cultura di discriminazione e persino a veri e propri atti di violenza. In qualsiasi Paese, le persone con demenza devono essere supportate affinché possano affermare i loro diritti in quanto esseri umani con disabilità. Siamo ancora segregati in unità protette e istituzioni.

Credo inoltre che includendo nei piani nazionali per la demenza quanto sancito dalla Convenzione CRPD e da tutte le altre convenzioni che proteggono i diritti umani, potremo aumentare l’indipendenza delle persone e allo stesso saremo in grado di ridurre i costi della demenza sostenuti dai governi e dalla società.

Ad esempio, il “Piano d’Azione Globale per la Disabilità dell’OMS 2014-2021: Migliorare la salute per tutte le persone con disabilità”dovrebbe essere applicato alle persone con demenza. La “visione, il fine, gli obiettivi, i principi guida e gli approcci” di questo Piano includono (pag. 3):

  • Un mondo in cui tutte le persone con disabilità e le loro famiglie vivono con dignità, godono di pari diritti e hanno pari opportunità, e possono sviluppare pienamente il loro potenziale.
  • L’obiettivo generale è quello di contribuire a raggiunge livelli ottimali di salute, funzionalità, benessere e diritti umani per tutte le persone con disabilità.
  • Il piano di azione ha i seguenti tre obiettivi:
    • Eliminare le barriere e migliorare l’accesso ai servizi e ai programmi sanitari.
    • Rafforzare ed estendere i servizi di riabilitazione e abilitazione, le tecnologie assistive, l’assistenza, i servizi di supporto e i servizi territoriali per la riabilitazione.
    • Potenziare la raccolta di dati pertinenti e comparabili a livello internazionale relativi alla disabilità e alla ricerca di supporto sulla disabilità e i servizi ad essa associati.

Gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals – SDGs nell’acronimo inglese) adottati dalle Nazioni Unite nel 2015 sono altrettanto importanti nell’elaborazione dei piani demenza nazionali e regionali.

L’Obiettivo di Sviluppo numero 3, “Assicurare la salute e il benessere per tutti e per tutte le età”, è pertinente al Piano d’Azione Globale sulla Demenza dell’OMS, così come lo sono molti altri Obiettivi di Sviluppo Sostenibile.

Il Global Charter di Alzheimer’s Disease International, “Posso vivere bene con la demenza”, sviluppato nel 2012, non è realizzabile senza la garanzia di salute e benessere. Il benessere delle persone con demenza continuerà ad essere negato finché non saranno garantiti sia un supporto per le disabilità causate dalla demenza che includa la riabilitazione fisica e cognitiva e sia un percorso post-diagnostico che salvaguardi la loro indipendenza il più a lungo possibile.

Attualmente, il supporto post-diagnostico per le persone con demenza non promuove un atteggiamento positivo alla loro vita.

Nel Piano d’Azione Globale sulla Demenza dell’OMS, i diritti umani, l’empowerment e la responsabilità sono identificati come “principi trasversali”.

Se ho ben inteso il contenuto Piano, solo nei confronti di 3 dei 7 principi elencati viene richiesta una applicazione piena,  perciò è tassativo che i governi e le società civili ne siano consapevoli.

Mentre le sette azioni che costituiscono la struttura del Piano d’Azione Globale sulla Demenza sono importanti, i principi trasversali sono gli strumenti fondamentali che contribuiranno a garantire un cambiamento reale:

  1. Diritti umani delle persone con demenza. Le politiche, i piani, la legislazione, i programmi, gli interventi e la azioni devono rispondere ai bisogni, alle aspettative e ai diritti umani delle persone con demenza, in conformità alla Convenzione sui diritti delle persone con disabilità e ad altri strumenti internazionali e regionali in materia di diritti umani.
  2. Empowerment e coinvolgimento delle persone con demenza e delle persone che le assistono (carer). Le persone con demenza, i loro carer e le organizzazioni che li rappresentano devono essere sostenuti e coinvolti in tutte le iniziative riguardanti la demenza, incluse quelle che riguardano la difesa dei loro diritti, la ricerca, le politiche istituzionali, la pianificazione socio-sanitaria, l’elaborazione di disposizioni legislative, l’offerta di servizi, nonché del loro monitoraggio.
  3. Pratiche evidence-based relative alla riduzione del rischio e agli interventi di cura. Sulla base di evidenze scientifiche e/o best practice, è importante sviluppare strategie e interventi per la riduzione del rischio e per interventi di cura centrati sulla persona che siano efficaci, accessibili e sostenibili in termini di costi, nel rispetto dei principi di sanità pubblica e di aspetti culturali.
  4. Collaborazione multisettoriale per l’elaborazione di una risposta di salute pubblica alla demenza. Una risposta globale e coordinata alla demenza richiede la collaborazione di tutti gli stakeholder  al fine di migliorare i livelli di prevenzione, riduzione del rischio, diagnosi, trattamento e cura. Per realizzare questo tipo di collaborazione è necessario coinvolgere a livello governativo tutti i settori pubblici pertinenti – vale a dire: sanità (inclusi tutti gli sforzi in atto per allineare le iniziative relative a malattie non-trasmissibili, salute mentale e invecchiamento), servizi sociali, istruzione, lavoro, giustizia, edilizia abitativa – e in generale tutte le collaborazioni tra società civile e settore privato pertinenti a questi ambiti.
  5. Assistenza sanitaria e sociale universale per le demenze. La progettazione e l’implementazione di programmi sanitari per garantire la copertura sanitaria universale deve includere il rischio di protezione finanziaria e deve inoltre garantire accesso equo a tutta la varietà di servizi finalizzati alla promozione, prevenzione, diagnosi e cura (incluse le cure palliative, i servizi di riabilitazione e il supporto sociale) per tutte le persone con demenza e i familiari che li assistono.
  6. Uguaglianza. Tutti gli sforzi per implementare le risposte di salute pubblica che riguardano la demenza devono garantire la parità tra i generi e adottare un approccio sensibile alle problematiche di genere nel rispetto delle vulnerabilità esistenti nel proprio contesto nazionale e in conformità a quanto stabilito nell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile che riconosce l’importanza di sostenere l’autodeterminazione delle persone vulnerabili, incluse le persone con disabilità, le persone anziane e i migranti.
  7. Attenzione appropriata alla prevenzione, alla cura e all’assistenza delle demenze. I passaggi per realizzare questo obiettivo includono da un lato l’utilizzo di conoscenze ed esperienze preesistenti per migliorare la prevenzione, la riduzione del rischio, la cura e il supporto delle persone con demenza e delle persone che le assistono e dall’altro la sviluppo di nuove conoscenze finalizzate alla ricerca di una cura o trattamenti che modificano il corso della malattia, nonché di interventi mirati alla riduzione del rischio e modelli di cura innovativi.

I diritti umani, l’empowerment e la responsabilità vengono definite nell’ambito di questi sette principi trasversali.

Anche i programmi territoriali di riabilitazione (Community Based Rehabilitation CBR) devono essere considerati nell’implementazione di politiche di recepimento del Piano d’Azione Globale sulla Demenza. Lo scopo di tali programmi è quello di aiutare le persone con disabilità implementando programmi locali volti a favorire l’integrazione sociale, le pari opportunità e i programmi riabilitativi di fisioterapia per le persone con qualsiasi tipo di disabilità. Si tratta di un programma importante nel contesto del Piano di Azione Globale sulla Demenza e ai fini dell’elaborazione di politiche nazionali.

Affinché le nostre comunità supportino le persone con demenza secondo un approccio basato sui diritti umani e sul riconoscimento della demenza come una disabilità, è necessario istituire un nuovo percorso di sostegno psicosociale e alla disabilità che permetta di convivere con la demenza in modo positivo e indipendente il più a lungo possibile.

La visione di Dementia Alliance International prevede una diagnosi precoce, seguita da un percorso diagnostico che includa i seguenti elementi:

  • Enfasi sulla qualità della vita e sulle risorse della persona – e non sui suoi deficit.
  • Accesso a servizi riabilitativi territoriali.
  • Riabilitazione post-diagnostica prevista per le persone con cerebrolesioni acquisite. Questo tipo di riabilitazione include esercizi e altri cambiamenti nello stile di vita equiparabili agli interventi previsti per altre malattie croniche e disturbi del linguaggio, e caratterizzati da un approccio basato sulla neuroplasticità, la terapia occupazionale e la neurofisioterapia.
  • La valutazione e il supporto delle disabilità devono essere resi disponibili immediatamente dopo la diagnosi.
  • Servizi di counseling per l’elaborazione del dolore e dei lutti creati dalla demenza – in contrasto alla mera erogazione di informazioni sul fine vita e sull’assistenza per le persone anziane.
  • Gruppi di auto mutuo aiuto per le persone con demenza e per i familiari che li assistono; per le persone con demenza a esordio precoce dovrebbero essere disponibili anche gruppi di auto mutuo aiuto per i genitori anziani e per i figli.
  • Supporto per dare continuità al nostro stile di vita pre-diagnosi.
  • Per le persone con demenza a esordio precoce, supporto per continuare a lavorare, a patto che lo desiderino.
  • Supporto per continuare a svolgere le proprie attività quotidiane – ad esempio, supporto per coltivare le proprie relazioni sociali, fare sport, svolgere attività creative, mantenere gli impegni nella propria comunità e attività di volontariato.
  • Accesso a cure palliative.
  • Comunità inclusive e accessibilidiverse dalle semplici comunità dementia-friendly in quanto questo tipo di iniziative di sensibilizzazione spesso tendono a valorizzare i nostri deficit.

La demenza non deve essere vista solo come una condizione che causa disabilità cognitive acquisite, come un ictus o una lesione cerebrale, bensì come una condizione a cui sono riconosciuti i diritti umani fondamentali di avere accesso alla riabilitazione e al supporto necessario per compensare le nostre disabilità a partire dal momento della diagnosi. Ora che il Piano d’Azione Globale sulla demenza è stato adottato, i diritti umani devono essere inclusi in tutti i servizi destinati alle persone con demenza, oltre che nei programmi e nelle strategie socio-sanitarie nazionali.

La demenza ha bisogno di un nuovo modello post-diagnostico di cura e assistenza che supporti le disabilità acquisite che inevitabilmente emergono a causa di una demenza e allo stesso tempo permetta alle persone di rimanere indipendenti più a lungo. L’eliminazione graduale dell’assistenza istituzionalizzata, e quindi di tutte le forme di restrizione chimica e fisica, inclusi i nuclei Alzheimer protetti o le unità demenza nelle residenze per anziani, è altrettanto essenziale per proteggere i diritti umani dei 50 milioni di persone che attualmente hanno una diagnosi di demenza e che nel 2056 sono stimate diventare 152  milioni se il problema attuale continuerà ad essere ignorato.

Sappiamo tutti che la demenza è una malattia cronica, progressiva e terminale e che non esiste ancora una cura, né esistono farmaci in grado di modificare il decorso della malattia come ne esistono per il diabete. Pertanto è indispensabile che i Paesi si concentrino sulla riduzione del rischio e sulla prevenzione delle demenze, alla stregua di altre malattie non-trasmissibili. Sappiamo che ciò che fa bene al cuore fa bene anche al cervello!

Che la demenza sia ora una priorità di salute pubblica è encomiabile – se lo è, è grazie all’impegno e al duro lavoro di molte persone, incluse le persone con demenza che hanno iniziato a impegnarsi nel marzo del 2015.
La sfida ora è quella di rendere questa priorità una realtà.

Nonostante l’Organizzazione Mondiale della Sanità non possa obbligare i governi ad agire, rimane un potente agente di cambiamento.

Anche le persone con demenza sono diventate potenti agenti di cambiamento e chiedono ai professionisti che operano in ambiti sanitari e ai governi di agire.

Ora abbiamo bisogno che i governi, i legislatori e i professionisti sanitari lavorino insieme, in collaborazione con le persone con demenza e le loro famiglie, per assicurare che la priorità del Piano OMS diventi una realtà.

Aspetto con ansia il giorno in cui non dovremo più definire le persone in base alle loro disabilità o malattie, ma verremo tutti trattati allo stesso modo.

Infine, vi imploro tutti: guardate la persona, non la demenza.

Grazie

Kate Swaffer
President and CEO
Dementia Alliance International


[1] Articolo “Stigma and GPs’ perceptions of dementia” pubblicato sulla rivista scientifica Ageing and Mental Health, Vol. 20:4, 2016

[2] La Mayo Clinic è organizzazione non-profit statunitense che si occupa di ricerca medica e cure di varie patologie.