Un approfondimento per comprendere, prevenire e affrontare i disturbi del sonno

Félix_Vallotton, 1899 - Femme couchée dormant
Félix Vallotton, 1899 – Femme couchée dormant

In occasione della Giornata Mondiale del Sonno che si celebra ogni anno il secondo venerdì del mese di marzo, ho il piacere di condividere un articolo scientifico scritto dal medico neurologo e specialista del sonno, Dott.ssa Michela Marcon del Centro Declino Cognitivo dell’Ospedale San Bortolo di Vicenza.

Ma al di là della celebrazione odierna, l’idea di questo articolo nasce soprattutto da un dato di fatto piuttosto significativo: tra tutti gli articoli che abbiamo pubblicato negli scorsi anni, gli approfondimenti dedicati a “sonno e demenze” (li potete leggere qui, qui e qui) rimangono ad oggi quelli più letti sul nostro blog con una media giornaliera di lettori che varia da 90 a 150 persone a seconda del periodo. Che non è cosa da poco per un piccolo blog come il nostro. Posso solo immaginare la portata degli accessi di fonti ben più autorevoli o popolari come ad esempio Associazione Alzheimer Svizzera che ha realizzato un’apposita scheda da scaricare, l’articolo di Alzheimer Riese che include un bel po’ di spunti utili per i familiari, o il recente articolo di Scaglione et al dal titolo “La gestione dell’insonnia nel paziente anziano: dalla farmacologia alla depressione sottosoglia” pubblicato sulla Rivista di Pischiatria e dedicato alle evidenze scientifiche sull’uso dei farmaci ipnotici e delle benzodiazepine, nonché dei farmaci prescritti per gestire i cambiamenti della sfera comportamentale delle persone con deterioramento cognitivo.

Alla luce di quanto sopra, abbiamo ritenuto cosa buona e giusta rinnovare le nostre conoscenze con un articolo che orienta allo stato dell’arte nella scienza del sonno, prestando particolare attenzione ai fattori protettivi e di rischio che incidono sulla salute del nostro cervello.

Essendo un articolo medico-scientifico, troverete un po’ di termini tecnici per addetti ai lavori che spero non vi scoraggino troppo dal cogliere alcuni aspetti importanti – quali ad esempio il ruolo della melatonina, delle apnee notturne e degli stili di vita – che possono aiutare a migliorare la qualità del sonno anche in presenza di una demenza.

Buona lettura.

eloisa

I disturbi del sonno nelle patologie degenerative:
Fascino della semplicità nella complessità non prevista

Dott.ssa Michela Marcon

Medico Esperto in Medicina del Sonno
U.O. Neurologia | Centro Declino Cognitivo
Ospedale Civile San Bortolo di Vicenza

L’invecchiamento cerebrale, immaginato anche come una modificazione della flessibilità delle connessioni interneuronali, è probabilmente parte di una riconfigurazione di multipli sistemi di funzionamento, secondaria ad eventi “fisiologici” o ad una sommatoria di noxae patogene (ndr. ovvero di danni patogeni) di diversa natura, per cui ogni soggetto subisce cambiamenti più o meno drastici delle proprie abilità, innate e/o acquisite. Non ci stupisce quindi, per esempio, che declino cognitivo e disturbi del sonno siano condizioni molto comuni nell’età medio-avanzata.

Grazie a numerosi studi di questi ultimi anni, sappiamo che il sonno, in particolare quello ad onde lente, è necessario per il buon funzionamento del cervello e per  il consolidamento della memoria (1,2). Durante la veglia i neuroni, per riorganizzare le loro interazioni in risposta a stimoli intrinseci od estrinseci e per mantenere un circuito neuronale funzionale, devono aumentare la forza sinaptica e questo richiede importanti costi energetici a livello cellulare, con incremento dello stress metabolico (tradotto, in termini ipnologici, come processo S).  L’ aumento della forza sinaptica riduce anche la selettività delle risposte neuronali e satura la capacità di imparare. Funzione fondamentale del sonno è il ripristino della omeostasi sinaptica (3); rinormalizzando la forza delle connessioni, si riduce il peso sinaptico del cervello con conseguente effetto positivo sulle funzioni neurali e sul consolidamento ed integrazione dei ricordi.

Un altro modello per spiegare la plasticità sinaptica è quello descritto da Diekelmann e Born (1) , in cui si ipotizza che l’ippocampo durante il sonno ripristini dei circuiti con la neocorteccia, rinforzando delle connessioni selettive, solo a livello neocorticale. Secondo entrambe queste visioni, il sonno, quindi, avrebbe un ruolo fondamentale nel selezionare le informazioni da cancellare o da salvare, in modo da recuperare una capacità cerebrale funzionale sufficiente per il giorno successivo.

Una alterazione dei meccanismi del sonno potrebbe quindi interferire con la funzione di diverse vie neuronali, in particolare quelle GABAergiche, con conseguente  compromissione della plasticità sinaptica (4). Numerosi studi sperimentali ed evidenze  epidemiologiche suggeriscono una associazione tra accumulo di β amiloide e alterazione dei ritmi  sonno-sveglia (5).

Si è dimostrato che in sonno vi è un incremento di più del 60 % dello spazio interstiziale corticale con conseguente aumento dei flussi convettivi del liquido interstiziale (via glinfatica) e secondaria maggiore clearance di β-amiloide e degli altri prodotti di degradazione dell’attività neurale che si sono accumulati durante la veglia (6) . La privazione e/o una ridotta qualità di sonno sono associate ad  aumentato accumulo β- amiloide.

E’ stato, anche, dimostrato che con l’invecchiamento si riducono i neuroni che secernono orexina (7), ormone prodotto a livello ipotalamico (aree LHA e PH) fondamentale nel promuovere e nel mantenere la veglia, e che questa sua diminuzione sia da mettere in relazione con un patologico accumulo di β-amiloide (8).

Anche altri neurotrasmettitori (acetilcolina, adenosina, istamina, serotonina, noradrenalina e dopamina) subiscono delle modificazioni nel corso delle varie fasi del sonno e nel passaggio sonno veglia oltre ad essere implicati in diversi meccanismi cognitivi (9). La perdita dei neuroni colinergici, per esempio, durante l’invecchiamento e nella malattia di Alzheimer potrebbe contribuire al declino cognitivo alterando sia i processi di sonno che di memoria.

Un necessario riferimento va fatto anche nei confronti della melatonina, ormone prodotto dalla pineale e associato alla regolazione dei ritmi sonno-sveglia, che sembra essere coinvolta anche nel declino cognitivo (10). La normale riduzione della melatonina con l’età, potrebbe spiegare l’alterazione dei ritmi circadiani che osserviamo con la senescenza ma anche in condizioni patologiche come la Malattia di Alzheimer. Si è dimostrato che la melatonina potrebbe avere effetti neuroprotettivi e che le sue concentrazioni si riducono prima dell’insorgenza dei disturbi cognitivi nell’AD (11); potrebbe pertanto essere utilizzato come potenziale marcatore precoce di rischio di malattia (12).

ANALISI DEL SONNO
Per ottenere una accurata valutazione del profilo ipnico di un soggetto, si dovrebbe utilizzare la polisonnografia che prevede la registrazione dell’attività corticale con l’elettroencefalogramma (EEG), nonché l’analisi dei movimenti oculari, del tono muscolare e dell’attività cardiorespiratoria.

Il sonno è organizzato in differenti stadi, cicli e fenomeni transitori, che si ripetono durante la notte in modo ordinato e che variano costantemente, secondo precisi e differenti ritmi armonizzati tra di loro. Considerando la macro struttura del sonno, si riconoscono due differenti stati neurofisiologici, il NREM e il REM che si alternano ciclicamente fra loro. Il sonno NREM è caratterizzato da sincronizzazione EEG e viene ulteriormente suddiviso in tre fasi; N1 (precedentemente stadio 1), N2 (stadio 2) e N3 (stadi 3 e 4) che corrispondono a modificazioni EEG correlate all’aumento della profondità del sonno; il sonno REM invece è contraddistinto da desincronizzazione EEG, simile all’attività di veglia, presenza di rapidi movimenti oculari (Rapid Eyes Movements), ipotonia muscolare e irregolarità nell’attività cardio-respiratoria, da sottostante attivazione simpatica (14).

ARCHITETTURA DEL SONNO ED ETA’
Come per molti altri processi fisiologici, l’architettura del sonno si modifica con l’avanzare dell’età: l’efficienza ed il tempo totale di sonno si riducono, si incrementano latenza e frammentazione del sonno, diminuiscono il sonno ad onde lente (SWS) ed il sonno REM (15, 16). Anche se alcuni di questi cambiamenti sembrano essere funzione di una normale senescenza (17), altri invece potrebbero derivare da sottostanti e differenti noxae patogene che compromettono l’integrità delle aree cerebrali e dei sistemi neurotrasmettitoriali ed ormonali che regolano i ritmi sonno veglia. Grazie una meta-analisi allargata su 65 diversi studi in adulti sani, si è osservata una maggiore alterazione del sonno secondaria all’invecchiamento negli uomini rispetto alle donne. In questa analisi, gli uomini hanno mostrato un ridotto tempo totale di sonno, una diminuita percentuale di sonno N3 del REM e dei WASO (risvegli dopo l’insorgenza del sonno) rispetto alle donne che invece esibivano, per contro, un aumento del tempo di addormentamento rispetto agli uomini (18). Questi risultati sono di particolare interesse dato che le donne spesso denunciano maggiori problemi di sonno rispetto agli uomini e fanno soprattutto maggior ricorso ai farmaci ipnotici. Analoghi risultati sono stati confermati dallo Sleep Heart Health Study (esteso su 2685 partecipanti). Non è chiaro se questa differenza di genere nell’architettura del sonno dipenda da cambiamenti ormonali o da fattori ambientali.

Durata del sonno: Più di un terzo degli adulti con età superiore ai 55 anni segnala abitualmente un tempo totale di sonno diverso, sia superiore che inferiore, dal pattern tipico di 7-9 ore/die (19) . Diversi lavori scientifici hanno dimostrato che esiste una correlazione diretta tra durata del sonno (generalmente più lunga durata) e presenza di alterazioni delle funzioni cognitive (20,21,22).

Eccessiva sonnolenza diurna (ESD): Viene riferita nel 20-30% della popolazione anziana (23) e può avere molte cause tra cui i disturbi respiratori in sonno, errata igiene del sonno, obesità, malattie cardiovascolari e depressione, tutte condizioni  che potrebbero aumentare il rischio di compromissione cognitiva. Tuttavia, diversi studi hanno mostrato una relazione indipendente tra ESD e declino cognitivo (24).

I DISTURBI DEL SONNO IN ETA’ AVANZATA
Gli anziani sono a rischio di sviluppare disturbi del sonno, con una prevalenza che oscilla tra il 9,1 ed il 61%.
L’insonnia è un disturbo caratterizzato difficoltà nell’inizio o nel mantenimento del sonno o da sensazione di sonno non ristoratore, presenti da almeno un mese. I principali sintomi dell’insonnia sono: inizio di sonno ritardato, sonno interrotto, risvegli precoci al mattino, scarsa qualità del sonno con associate conseguenze negative diurne. Si stima che circa il 25% delle persone oltre i 55 anni lamenti  insonnia ma non risulta ancora chiaro se ciò determini un maggior rischio di sviluppare declino cognitivo, anche legato all’uso ed abuso di psicofarmaci (25).
Studi di immagine hanno cercato di correlare, in maniere non conclusiva, la presenza di atrofia ippocampale e della sostanza grigia orbitofrontale e parietale alla presenza di insonnia (26,27).

Apnee ostruttive del sonno (OSAS)
Per apnee ostruttive del sonno (obstructive sleep apnea syndrome, OSAS) si intende un disturbo caratterizzato da un ricorrente collasso delle vie aeree superiori che producono una completa o parziale interruzione del respiro. Negli adulti molto spesso questi eventi respiratori terminano con dei veri e propri arousal.
L’invecchiamento è noto per essere un fattore importante che contribuisce al rischio di OSAS, con un aumento della prevalenza di tale disturbo associato all’età. Alcuni studi hanno stimato che il 17% circa degli uomini e il 9% delle donne di età compresa tra i 50 ei 70 anni presentavano una sindrome delle apnee ostruttive di entità moderata-grave (con AHI ≥15) (28); mentre il 60% del gruppo considerato presentava una OSAS lieve (AHI tra 5-14) (29).
E’ probabile che l’invecchiamento possa essere associato a importanti cambiamenti in una o in più combinazione di fattori che possono contribuire a sviluppare una OSAS. Tra queste vi sono la modificazione dell’anatomia delle prime vie aeree superiori, la ridotta capacità dei muscoli dilatatori del faringe a rispondere agli stimoli chimici e meccanici, una variazioni nel volume polmonare e nel controllo respiratorio centrale (30).
L’ipossia intermittente associata all’OSAS  è un fattore coinvolto nella accelerazione della formazione delle placche di β- amiloide modulando la trasformazione della proteina precursore amiloide (APP) (31). L’ipossia cronica e la restrizione del sonno possono anche variare il metabolismo della proteina tau (32,33), aumentare l’apoptosi e l’atrofia ippocampale (34,35). Studi di neuroimaging hanno riportato una riduzione dello spessore della sostanza grigia corticale nelle regioni cerebrali (lobo frontale e temporale) correlate alla disfunzione cognitiva nei pazienti con OSAS (36).
Le conseguenze di OSAS cadono ampiamente in due domini: disfunzione neurocognitiva (attenzione, funzioni esecutive e memoria) e disfunzione metabolica e malattia cardiovascolari (tra cui l’aterosclerosi, ictus, infarto miocardico, ipertensione e CHF), che sono probabilmente il risultato dell’ipossia intermittente e della stimolazione simpatica durante l’apnea (37,38).
La CPAP (ndr. per C-PAP si intende laventilazione meccanica a pressione positiva continua) rimane il trattamento di scelta, ma non è sempre ben tollerato, soprattutto negli anziani.  La gestione conservativa di OSAS è possibile attraverso altre soluzioni come perdita di peso, limitazione del consumo di alcol e l’evitamento della posizione supina durante il sonno oltre all’uso di alcuni ipnotici miorilassanti (39,40,41,42).

Ritmi circadiani
I ritmi circadiani sono dei ritmi endogeni che dimostrano una periodicità di circa 24 ore. Questi ritmi sono sincronizzati con l’ambiente esterno, tramite attività sociali,  ritmi di lavoro e di studio e da vari stimoli fotici e non. Disturbi del ritmo circadiano aumentano con l’età e sono molto comuni nei pazienti con malattie neurodegenerative, tra cui malattia di Alzheimer, tendendo ad aumentare con l’aggravarsi della demenza (43,44). Due importanti strumenti per verificare la concordanza di fase si ottengono dalla valutazione dell’andamento della temperatura corporea e della concentrazione della melatonina (45).  Generalmente le persone anziane dimostrano una anticipazione di fase, quindi tendono ad addormentarsi e a svegliarsi prima del tempo solitamente previsto.
Inoltre gli anziani istituzionalizzati, in particolare quelli affetti da malattie neurodegenerative come l’Alzheimer, presentano un sonno estremamente irregolare e frammentato (46), probabilmente da porre in relazione alla scarsa esposizione alla luce, fatto che può notevolmente esacerbare i disordini del sonno. Interventi mirati tra cui la Bright Light Therapy (BLT) e l’utilizzo della melatonina si sono stati dimostrati efficaci in alcuni casi, nel migliorare queste situazioni (47,48).

Restless leg syndrome (RLS)
La sindrome delle gambe senza riposo (in inglese restless leg syndrome o RLS) si manifesta con un incontrollabile bisogno di muovere le gambe associato a sensazione di fastidio, riferito come irrequietezza o dolore, agli arti inferiori. I disturbi si manifestano di solito la sera e di notte, con il riposo e soprattutto al momento di andare a dormire. Il sollievo si ottiene con l’attività motoria cioè muovendo le gambe, alzandosi o camminando.

La prevalenza della RLS aumenta con l’età e si associa ad insonnia (con difficoltà di addormentamento e frammentazione del sonno) e ad ESD. Alcuni studi hanno esplorato le relazioni tra incidenza di demenza e RLS, ma i risultati non sono stati conclusivi e concordanti (in due studi era esclusa l’associazione tra RLS e demenza, (49,50); mentre in un altro, i pazienti con RLS presentavano un rischio di sviluppare demenza 4 volte maggiore rispetto agli individui senza RLS (51, 52, 53)). Questa discrepanza potrebbe essere attribuibile alle eterogeneità delle popolazioni prese in esame o del diverso grado di malattia.

CONCLUSIONE
Dati di letteratura, poco confortanti, indicano che, nei paesi industrializzati, i casi di demenza potrebbero triplicarsi nei prossimi 30 anni senza avere ancora a disposizione terapie efficaci nel modificare la storia naturale di questa patologia.
Molteplici ricerche epidemiologiche hanno individuato sette fattori di rischio, potenzialmente modificabili, correlati alla insorgenza di demenza di Alzheimer (diabete, ipertensione ed obesità in età avanzata, fumo, depressione, bassa scolarizzazione e sedentarietà). Anche l’alterazione dei meccanismi del sonno  può  contribuire alla neurodegenerazione promuovendo la neuroinfiammazione e inibendo la neurogenesi, soprattutto nelle aree ippocampali, regione neuroanatomica chiave per l’apprendimento e la memoria.  I disturbi del sonno, in precedenza trattati come un sintomo, dovrebbero essere unanimemente riconosciuti come un fattore di rischio per demenza, potenzialmente modificabile, se diagnosticato e correttamente trattato. Le alterazioni del sonno, inoltre, potendo precedere di molti anni l’insorgenza di svariate patologie neurodegenerative, possono rappresentare un biomarker clinico, utile alla diagnosi precoce.
Diventa quindi importante diffondere la cultura del sonno come possibile arma preventiva nei confronti delle patologie neurodegenerative.

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Progetto realizzato  con il supporto di Italfarmaco S.p.A.

Padova, 30.11.2015