Demenza a esordio precoce: la storia di Kate Swaffer

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Kate Swaffer

Da ormai diversi mesi seguo il blog di Kate Swaffer, una signora australiana con un curriculum accademico e professionale d’eccezione, che all’età di neanche 50 anni ha ricevuto una diagnosi di demenza a esordio precoce.

Dopo lo choc iniziale, Kate ha deciso di seguire le orme della sua connazionale Christine Bryden (vedi articolo di un paio di settimane fa), diventando un’attivista di fama internazionale a sostegno dei diritti delle persone con demenza.

Grazie alla sua straordinaria determinazione, all’inizio di quest’anno Kate ha dato vita insieme ad altri colleghi l’associazione Dementia Alliance International, un’organizzazione composta esclusivamente da persone con demenza per la condivisione di esperienze e risorse per convivere al meglio con la malattia.

Anche in Australia Kate è da sempre molto attiva. Proprio in queste settimane, l’associazione Alzheimer’s Australia le ha affidato il ruolo di portavoce per la campagna di sensibilizzazione “Australian Dementia-Friendly”.

L’articolo che riporto qui di seguito è stato scritto dalla stessa Kate per la rivista FarmOnline, ed è stato tradotto dall’Associazione Alzheimer Onlus Riese Pio X di Treviso.

A proposito della traduzione del testo, vorrei fare solo un piccolo appunto. Mi sono permessa di modificare leggermente il testo originale perché tradurre il termine “dementia-friendly” con “amichevole con la demenza” può essere fuorviante. Quando in inglese si aggiunge il termine “friendly” a un concetto o un contesto è perché si vuole promuovere un’idea di accettazione, integrazione e inclusione, coinvolgimento ed empatia. Con il termine “dementia-friendly”, più che di amicizia si parla di solidarietà e responsabilità sociale condivisa.

Buona lettura!

Eloisa

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Una vita di qualità, oltre la diagnosi di demenza

La mia infanzia l’ho passata in una fattoria sulla penisola di Eyre. Da allora, e fino all’età adulta, la vita non ha mai smesso di essere occupata.

Verso i 45 anni mi stavo destreggiando tra i ruoli di moglie, madre, donna in carriera, e studente di età matura. Avevo lavorato come infermiera per l’assistenza agli anziani e alla demenza, infermiera di sala operatoria, e cuoca. Stavo abbracciando la vita e tutto quello che aveva da offrire.

La diagnosi di demenza a esordio precoce

A 49 anni mi è stata diagnosticata una rara forma di demenza fronto-temporale. Dire che questo è stato uno shock è l’eufemismo del secolo. Ho pianto quasi ininterrottamente per più di sei settimane, fino a quando ho iniziato a scriverne e a parlarne. Ho parlato della diagnosi a parenti ed amici, ed è stato come quello che immagino fosse dire di essere gay 30 anni fa. Molte persone sono scomparse silenziosamente dalla mia vita, alcuni dicendo che preferivano non impegnarsi nel mio “viaggio nella demenza”, in quanto sarebbe stato troppo triste per loro.

Conosco molti altri che hanno avuto questa esperienza, anche se c’è stato un enorme cambiamento nell’atteggiamento sulla demenza fin dall’inizio del secolo. Le campagne di sensibilizzazione globale su come accogliere [n.d.r. essere “dementia-friendly”] la demenza hanno iniziato ad avere un impatto sul livello di comprensione della demenza nelle nostre comunità. Ora capiamo che si tratta di una malattia cronica come tutte le altre e non semplicemente il risultato dell’invecchiamento.

Ma queste nuove intuizioni devono ancora ridurre lo stigma e l’isolamento sociale che una diagnosi di demenza spesso comporta. Avendo vissuto con una demenza ad esordio precoce per sei anni ad Adelaide, e vivendo tutt’ora a casa mia, posso senza dubbio dire che io non considero la mia comunità come accogliente nei confronti della demenza. Le conseguenze di vivere in una comunità che non accoglie la demenza sono l’esclusione, lo stigma e la discriminazione che aggrava la vergogna, e non essendo rispettata abbastanza per parlare di me stessa.

Il giorno in cui ho avuto la diagnosi, mi è stato consigliato di andare a casa, rinunciare al lavoro, rinunciare allo studio e vivere per il tempo che mi restava. Questo invito a “tirare i remi in barca” era in contrasto con la mia visione del vivere bene, così ho scelto invece di rivendicare il mio modo di vivere pre-diagnosi e ho letteralmente lottato per la mia vita.

Come affronto la malattia

Ho praticato – e ancora lo faccio ogni giorno – interventi psicosociali non farmacologici e positivi ogni giorno, alcuni più di una volta al giorno, come se fosse l’allenamento per le Olimpiadi della mia vita. Tra questi lo studio, la fenomenologia, l’auto-etnografia, la neuroplasticità del cervello e l’allenamento del corpo, facendo esercizio sei giorni alla settimana, la riabilitazione dalle lesioni cerebrali, la poesia (in particolare haiku), il blogging, l’alimentazione sana, gli integratori, la musicoterapia, l’idroterapia e la mappa mentale. Altri interventi positivi che attuo comprendono l’attivismo sociale, il volontariato, le risate, la salute spirituale, l’amore, la lettura, il tempo in famiglia, le amicizie e la scrittura creativa.

La miglior cura è una buona qualità della vita

Può non esserci una cura, ma queste attività hanno migliorato la qualità della mia vita, il mio senso generale di benessere e, credo, hanno rallentato la progressione di questa malattia insidiosa. Una parte significativa dello sviluppo di comunità che accolgono la demenza è capire e aiutare le persone con demenza a raggiungere il benessere e la qualità della vita, e a mantenerle il più a lungo possibile.

Un continuo impegno veramente positivo e significativo per l’individuo, senza pregiudizio e discriminazione, e con la piena inclusione, è quello che significa accogliere la demenza. E’ positivo e dà potere, e permette alle persone con demenza di continuare a vivere la loro vita pre-diagnosi. Riduce l’isolamento, lo stigma, la discriminazione, la depressione e la solitudine. Aiuta a mantenere un senso di identità per le persone affette da demenza, sia attraverso il sostegno che restando occupati, o fornendo loro le opportunità di volontariato. Aiuta le persone con demenza a reclamare la loro vita dalla demenza.

L’ascolto e la comprensione delle storie personali, e delle esperienze delle persone che vivono con demenza, hanno il potere di realizzare il più grande cambiamento. Spero che parlandone, io possa abbattere alcuni dei miti, stereotipi e stigma sulla diagnosi di demenza.

Le persone affette da demenza non stanno più vivendo, né sono disposte a vivere, una vita vuota. Come persona che vive con la demenza, con l’accento sul “vivere”, il mio futuro è ora definito dalle possibilità della demenza. Alzheimer’s Disease International ha una obiettivo costitutivo globale: «posso vivere bene con la demenza». Sono impegnati su questo, e lo sono anch’io.

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