What Dementia Is To Me from Kreativity on Vimeo.
Oggi condivido la testimonianza di una persona con demenza un po’ speciale. Si tratta dalla Dott.ssa Jennifer Bute, ex medico di base inglese che si è ammalata di Alzheimer quando aveva poco più di 57 anni ed è stata diagnosticata quando ne aveva 63.
L’articolo è tradotto dal sito di una famosa blogger inglese, Pippa Kelly, che da tempo scrive di demenza, in veste di attivista e figlia di una persona ammalata di Alzheimer. In questo articolo, Pippa recensisce l’intervista che la Dott.ssa Bute ha recentemente rilasciato alla stazione radiofonica inglese BBB Radio 4 raccontando la sua esperienza e il suo impegno costante nel far conoscere la malattia al grande pubblico.
Il video che vedete qui sopra ritrae la Dott.ssa Bute mentre parla della sua esperienza con l’Alzheimer e propone alcuni suggerimenti per convivere meglio con la malattia e comprendere il punto di vista di chi si ammala. Purtroppo il video è disponibile solo in lingua inglese, ma lo propongo ugualmente perché trasmette in pochi minuti la straordinaria umanità di questa indomita signora…
Ne approfitto anche per segnalare un altro articolo pubblicato recentemente sul quotidiano The Guardian sulla Dott.ssa Bute, tradotto dall’Associazione Alzheimer Riese Pio X. L’articolo lo potete trovare cliccando qui.
Buona lettura!
Eloisa
——————-
La dottoressa della demenza
di Pippa Kelly
Se googlate “Dott.ssa Jennifer Bute”, il primo risultato della ricerca che otterrete è l’indirizzo del suo sito internet. Il titolo del sito è “Opportunità Gloriosa”. Per molti aspetti, il sito vi dirà tutto quello che c’è da sapere riguardo a questa donna eccezionale.
Ex medico associato operante in una grossa clinica del Southampton [nel Regno Unito], la dottoressa Bute fu diagnosticata di Alzheimer a esordio precoce all’età di 63 anni. Non parla della sua condizione usando i soliti termini negativi cui siamo abituati, ma la descrive come un “dono inaspettato”.
Immaginerete quindi il motivo per cui ero molto interessata nel sentirla parlare alla trasmissione radiofonica della BBC Radio 4 questa settimana. Nonostante le mie attese fossero alte, sono state superate.
Nel corso di una conversazione di mezzora, chiara e spesso spiritosa, priva di sottofondi musicali esagerati o di scaltre tecniche radiofoniche, la Dott.ssa Bute ha rivelato cosa vuol dire convivere con una delle malattie più dibattute del momento, parlandone in modo appropriato, utile e informato. Tutto ciò è successo durante la trasmissione “The Doctor’s Dementia”, che raccomando a tutti di ascoltare [ndt. la trasmissione è disponibile solo in lingua inglese].
La trasmissione è iniziata con uno squillo insistente del telefono accompagnato dalla descrizione della Dott.ssa Bute di come, agli inizi della sua malattia, avesse tentato per 40 minuti di far smettere al telefono di squillare per poi rendersi conto che si trattava di un’allucinazione uditiva. Ed è così che noi ascoltatori siamo stati immediatamente catapultati nel difficile, confuso e, molti potrebbero anche definire, spaventoso mondo della demenza. La Dott.sa Bute racconta inoltre di sentire una cacofonia di macchine da scrivere e di bambini piangere (suoni che vengono riprodotti durante la trasmissione). Il tutto è parte di quella che lei chiama la sua storia, di quello che sta imparando mentre sta vivendo l’esperienza della demenza.
Ed è proprio questo conoscere la demenza sia “da dentro” che dall’esterno, come medico, che conferisce alla Dott.ssa Bute una prospettiva rara della malattia. Tanto da considerarlo “un privilegio”. Non sono sicura se altri al posto della Dott.ssa Bute condividerebbero tale atteggiamento, ma sicuramente il suo è uno sguardo che la trasforma in un’ambasciatrice formidabile, determinata a sensibilizzare l’opinione pubblica e migliorare gli atteggiamenti nei confronti dei malati.
Il suo modo di parlare è chiaro, forbito delle tipiche strutture linguistiche ben definite della professione medica, e rivela – a dieci anni da quando ha sviluppato l’Alzheimer – un cervello sorprendentemente lucido.
Dopo aver descritto come iniziò per lei la malattia – dapprima perdendo la strada mentre era in visita presso i suoi pazienti, poi dimenticandosi gli interventi chirurgici e infine scordandosi la sua stessa casa – durante la trasmissione, la Dott.ssa Bute racconta cosa ha fatto una volta ricevuta la diagnosi. La sua decisione è semplice, ovvia (come lei stessa ha osservato), e allo stesso tempo molto efficace – esattamente come lo sono molte attività finalizzate a rendere la malattia più “friendly” o accettabile.
Ebbene, la prima cosa che ha fatto è stato produrre dei volantini per i suoi 3 figli sposati in modo che comprendessero cosa le stava succedendo. Ha distribuito gli stessi volantini anche ai suoi amici e conoscenti perché si rese conto che quando le persone scoprivano che aveva la demenza la evitavano.
“Non è che non vogliono parlare con me, è che non sanno cosa dire o come comportarsi”.
Come ho già detto in passato, lo stigma nasce da una combinazione tossica di ignoranza e paura: informando le persone, le loro paure si dissolvono. La Dott.ssa Bute comprende questo meccanismo. Tuttavia, dice anche che si vergogna di ammettere di quanto poco ne sapesse di demenza quando era medico praticante. “Non sapevo di non sapere”.
Adesso è un’attivista molto preparata, con una vera passione nell’aiutare gli altri a comprendere meglio questa malattia tanto fraintesa. Nel suo sito internet, gestito da suo figlio che vive in Ucraina, oltre a un video in cui descrive la sua esperienza personale, ci sono diversi materiali informativi da consultare e scaricare (tra cui risorse per i bambini, i caregiver, e sul fine vita), moduli didattici e informazioni affascinanti sulle attività a sostegno della memoria organizzate in Giappone, paese in cui il rispetto per le persone anziane è molto alto.
In pochi minuti, questa donna con i piedi per terra ci racconta nel suo video [ndt. vedi video sopra] – con un fare pratico e senza fronzoli, usando aneddoti e storie personali – cos’è veramente la demenza, aggiungendo a ogni informazione delle foto che chiariscono i concetti (ad esempio, raffiguranti i diversi colori delle porte di entrata delle case del villaggio “dementia-friendly” dove vive insieme al marito, commentando che poiché non è più in grado di distinguere i colori, ha dovuto mettere una statuetta a lei familiare per riconoscere la porta di casa sua). Per ogni aspetto che descrive, aggiunge informazioni sull’impatto della malattia, sia sulle persone che sui loro familiari, e dà qualche suggerimento su come aiutarli.
Sceglie le sue parole accuratamente, spiegando che quando si ha una demenza si assiste a uno “schiudersi emotivo” man mano che i sentimenti diventano più intensi. Spiega che questo processo è per lei particolarmente difficile da gestire perché come medico è sempre stata abituata ad essere in controllo delle situazioni. Aggiunge che per affrontare queste difficoltà cerca di rassicurarsi da sola ascoltando della musica che la aiuta a “raccogliere i suoi pensieri” – un’espressione che preferisce al termine “calmarsi” che trova invece condiscendente.
Come molte altre persone con (e senza) demenza, pensa che sia molto importante utilizzare le parole giuste per parlare della malattia. “Una persona convive con una demenza, non ne soffre; non siamo vittime, siamo persone a cui è capitata questa situazione e le persone che ci assistono non sono i nostri “caregiver” ma sono ancora le nostre mogli, i nostri mariti, figlie e figli”.
Vale davvero la pena di ascoltare le parole della Dott.ssa Jennifer Bute.