Settimana scorsa in questo blog ho parlato di pregiudizio associato alla demenza. Per spiegare meglio cosa significhi vivere lo stigma in prima persona, oggi condivido la storia di Paul, un signore britannico che nel 2012 dovette abbandonare la sua carriera di consulente informatico-finanziario quando gli fu diagnosticata un’atrofia corticale posteriore (PCA), una rara forma di demenza giovanile che solitamente si manifesta con difficoltà visive. All’epoca aveva 53 anni.
Nonostante la malattia gli impedisca di svolgere diverse attività quotidiane e gli abbia fatto perdere un bel po’ di amici, oggi Paul continua a vivere una vita attiva e di senso dedicandosi alla pittura, facendo jogging insieme ai suoi nuovi amici podisti, ascoltando musica e tenendosi aggiornato su cosa succede nel mondo.
Come altre storie condivise qui, l’esperienza di Paul ci restituisce dignità oltre il pregiudizio e la malattia.
Buona lettura!
Eloisa
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La storia di Paul
Quando cominciarono i sintomi, non capivo cosa mi stava succedendo. A quel tempo lavoravo a tempo pieno come consulente di servizi informatico-finanziari ma avevo sempre più difficoltà a leggere e distinguere i dettagli a distanza. Un giorno in ufficio, dopo aver parlato con un collega, mi girai e non riuscii più a riconoscere dove fossi o cosa stessi facendo. Lavoravo in quell’ufficio da molto tempo e conoscevo bene la planimetria del luogo, eppure tutto ad un tratto non ero più in grado di riconoscere nulla. Fu un’esperienza spaventosa. Era come se i miei occhiali fossero stati spalmati di vasellina. Date le circostanze, mi feci visitare diverse volte dall’oculista.
Nonostante cercassi di nascondere il mio problema al lavoro, inevitabilmente cominciai a commettere degli errori, il che rese la situazione ancora più penosa. Il mio datore di lavoro fu molto comprensivo ma attribuì il mio problema allo stress e mi suggerì di prendermi un periodo di vacanza. Mi procurò anche delle sedute di counseling.
Mia moglie Alison pensò che stessi avendo un collasso nervoso e mi persuase ad andare dal medico. Inizialmente anche il mio medico attribuì i sintomi allo stress e mi prescrisse dei farmaci per calmarmi. Poiché le cose non cambiavano, dopo due settimane mi prescrisse alcuni test neurologici. La diagnosi fu di atrofia corticale posteriore (PCA).
Anche se fu uno shock, mi sentii sollevato nel sapere cosa mi stava succedendo. Cercai di essere trasparente e aperto nell’informare i miei amici. Ciononostante ho perso per strada molti di loro. Cosa che mi ha deluso molto. Immagino che sia perché non ne capiscono molto di Alzheimer, proprio come io non ne sapevo nulla prima della diagnosi. Penso che sia [dovuto alla] paura di essere messi di fronte alla malattia e del fatto che non sanno come comportarsi o cosa dire di fronte a una notizia del genere. Anche alcuni membri della mia famiglia non si sono più fatti vedere. E’ pur vero che in altri casi la malattia ha rinforzato le relazioni.
All’inizio quando mi trovavo in pubblico riscontravo che la gente poteva essere molto impaziente. Mi spingevano da parte per passare se ero un po’ lento o goffo nei movimenti. Oggi invece vado in giro con un bastone bianco per indicare che ho problemi con la vista.
Nonostante abbia dovuto lasciare il mio lavoro, abbia smesso di guidare e abbia bisogno di aiuto per svolgere molte attività quotidiane, preferisco concentrarmi su quello che posso fare piuttosto che il contrario. Posso ancora correre con l’aiuto del gruppo di podisti nella mia comunità, posso ancora godermi la mia collezione di dischi e ho scoperto di avere talento per la pittura. Mi piace anche tenermi aggiornato con le notizie e discutere di quello che accade nel mondo. Nonostante non mi vengano sempre in mente le parole giuste, Alison e le mie figlie mi aiutano a colmare i vuoti di memoria.
La mia diagnosi ha chiuso molte porte ma, per mia fortuna, ne ha aperte delle altre. Per esempio, il mio club locale di podisti mi è stato molto vicino e adesso ho molti amici tra di loro. E’ stato un dono divino perché mi aiutano molto durante il tempo libero a mia disposizione.
C’è bisogno di più supporto e attività per le persone che hanno una demenza a esordio precoce – tutti i servizi al momento sono calibrati sulle esigenze di generazioni più anziane di me.
Vorrei che ci fosse una maggiore informazione sulla malattia di Alzheimer e degli altri tipi di demenza. Vorrei anche che le persone fossero più consapevoli del fatto che queste malattie non colpiscono solo gli anziani. Vorrei che ci fosse più informazione nei luoghi di lavoro. Sarebbe stato impossibile per me continuare a lavorare ma in alcuni casi le persone possono essere in grado di mantenere il lavoro con mansioni differenti. […]
Fonti:
- Alzheimer’s Research UK – September 2014
- A compendium of essays: New perspectives and approaches to understanding dementia and stigma, edited by Sally-Marie Bamford, George Holley-Moore, and Jessica Watson