Ricerca, cure e integrazione dei servizi dedicati a disturbi cognitivi e demenze

foto locandino convegno di Modena su ricerca, studi pilota e integrazione servizi

Inauguriamo il nuovo anno con la recensione del convegno organizzato dall’Università di Modena e dai suoi partner lo scorso novembre, a cui ha partecipato la nostra inviata speciale Simona Ferrari.

Come leggerete qui di seguito, il convegno è stato ricco di contenuti interessanti e importanti, a conferma del fatto che Modena continua a investire moltissimo non solo sulla ricerca, ma anche sui servizi riabilitativi e assistenziali integrati per le persone che convivono con un disturbo neurocognitivo o una demenza.

Ringraziamo Simona per aver partecipato anche a nome nostro al convegno, per averne sbobinato la video-registrazione che trovate qui e in fondo all’articolo, e aver dedicato le sue vacanze di Natale alla scrittura di questa dettagliatissima relazione che speriamo sia utile ai nostri lettori.

Buona lettura,

Eloisa

Ricerca, cure e integrazione dei servizi dedicati ai disturbi cognitivi e demenze

Questo è il riassunto del convegno “La ricerca scientifica su disturbi cognitivi e demenze: dialogo fra ricercatori e cittadinanza” che si è svolto a Modena l’anno scorso e che ho trovato molto interessante. Mi sono piaciuti soprattutto i temi affrontati (ad esempio la dieta Mind, Greenness e il progetto UNAWIRED). Mi sembrava utile condividerlo 🙂

P.S. grazie di cuore ad Eloisa per aver condiviso il video della conferenza che è stato di grande aiuto!! (i miei appunti erano limitati allo stretto necessario)

Simona Ferrari


Sabato 26 novembre sono stata a Modena al Policlinico per partecipare a una mattinata di informazione e restituzione della ricerca su disturbi cognitivi e demenze organizzata dall’Università degli Studi di di Modena e Reggio Emilia (Unimore), in collaborazione con il Servizio Sanitario Regionale dell’Emilia Romagna,  l’Unità Operativa Disturbi Cognitivi e Demenze dell’Azienda Unità Sanitaria Locale di Modena e l’Associazione Autonoma aderente alla SIN per le Demenze (SINDEM).

La Professoressa Giovanna Zamboni, Professore Associato di Neurologia Cognitiva Università di Modena e Reggio Emilia (Unimore) e consulente neurologa presso l’Azienda Ospedaliero Universitaria di Modena (AOU Modena), ha aperto la giornata ringraziando i partecipanti e ha illustrato il programma della mattinata. Dopodiché, il Magnifico Rettore dell’Università di Modena e Reggio, Carlo Adolfo Porro, ha ricordato ai presenti che Modena è un’eccellenza nello studio dei disturbi cognitivi e demenze e ha ringraziato i relatori per la disponibilità.

È poi intervenuto il Dottor Claudio Vagnini, Direttore Generale dell’Azienda Ospedaliera Universitaria, che ha ribadito l’importanza della comunicazione tra operatori sanitari, pazienti e caregiver In particolar modo, ha ricordato che la comunicazione e il dialogo sono fondamentali per il benessere di tutti; inoltre non solo è necessario mantenere saldo il dialogo tra istituzioni e volontariato, ma anche c’è bisogno di investimenti adeguati.

L’Assessore alle Politiche Sociali, Roberta Pinelli, si è congratulata con i promotori del Progetto Dementia Friendly, Dottor Andrea Fabbo e Dottoressa Annalisa Chiari, che stanno collaborando insieme per coinvolgere la società nella conoscenza di questo progetto. Il suo messaggio non poteva essere più chiaro: la cittadinanza sta invecchiando e bisogna sensibilizzare i cittadini.

Nella prima sessione, il Professor Simone Salemme, che insegna neurologia Cognitiva, Scuola di Specializzazione in Neurologia all’Unimore, ha parlato del rischio di peggioramento nel tempo delle persone con disturbo cognitivo lieve: il disturbo cognitivo lieve è un deficit di alcune funzioni ma non ancora così grave da interferire con l’autonomia della persona. Questa può essere una situazione in cui il paziente può rimanere stabile e non degenerare verso una qualche forma di demenza (Alzheimer, Frontotemporale, corpi di Lewy). La cosa importante, ha ribadito Salemme, è fare una diagnosi precoce e studiare le cause di questo disturbo attraverso un esame che si chiama rachicentesi e ricerca tramite biomarcatore la causa della perdita dei neuroni. Ad esempio, nella demenza di Alzheimer la perdita dei neuroni è causata da una difficoltà di comunicazione tra i neuroni che causano poi l’atrofia di alcune parti del cervello. Per capire questi cambiamenti, negli ultimi anni la ricerca si è concentrata nello studio del rapporto tra la proteina tau e la proteina beta amiloide nelle persone con o a rischio di Alzheimer.

Ad esempio, a Modena è stato effettuato uno studio su 111 pazienti che sono stati osservati dai due ai quattro anni. Lo studio ha rivelato che 70 pazienti sono rimasti stabili, mentre altri 41 hanno poi sviluppato una qualche forma di demenza. Mi sembra di aver capito che secondo i ricercatori, probabilmente, la differenza sta nella presenza o meno della proteina TDP43.

A questa ricerca si è collegata la Dottoressa Chiara Carbone, Dottoranda in Neuroscienze presso l’Unimore, che invece ha spiegato come difendersi dal decadimento cognitivo. In particolare,  ha studiato la plasticità cerebrale e i meccanismi di compensazione associati alla riserva cognitiva. La plasticità cerebrale è la capacità del cervello di modificarsi in base alla stimolazione ambientale.

La riserva cognitiva è invece la capacità del cervello di affrontare un danno ed è determinata dagli stimoli ricevuti durante la vita dell’individuo, dal livello di istruzione che ha ricevuto, dall’attività lavorativa svolta durante la vita, dalla vita sociale, dallo sport, ed anche dai suoi hobby. In pratica, dagli studi è emerso che tanto più le persone hanno avuto una vita sociale intensa, tanto più hanno possibilità di affrontare la malattia. Tuttavia, questa stimolazione costante deve continuare anche durante il decorso della malattia.La riserva cognitiva si misura con un test che di chiama CRIq.

Nella ricerca effettuata a Modena, le donne avevano un punteggio maggiore rispetto agli uomini in termini di riserva cognitiva, probabilmente perché abituate a prendersi cura dei figli o dei genitori, e ottenevano un punteggio più alto nel test Mini Mental .

L’altro aspetto interessante rivelato da queste ricerche è che nelle persone con Alzheimer alcune zone del cervello sono più attive nella fase della malattia.

Il Dottor Vinceti e la Dottoressa Balboni, della Sezione di Sanità Pubblica, Dipartimento di Scienze Biomediche, Metaboliche e Neuroscienze all’Unimore, sono intervenuti per spiegare l’importanza della prevenzione del decadimento cognitivo: purtroppo le persone non si ammalano per caso e raramente si ammalano per una predisposizione genetica. Ci sono dei fattori che influiscono l’esordio della malattia: la dieta, lo stile di vita, l’inquinamento dell’aria da particolato fine, l’utilizzo di pesticidi nell’ambiente e nei cibi. La dottoressa Balboni ha studiato in particolare come l’ippocampo si modifica con la malattia di Alzheimer L’ippocampo è un insieme di neuroni associati alla nostra memoria: l’ippocampo destro determina la memoria spaziale e l’ippocampo sinistro è sede della memoria verbale.
È stato studiato che, in caso di Alzheimer, l’ippocampo riduce il suo volume ogni anno del doppio rispetto a soggetti anziani sani.
Per contrastare questo calo di volume, i ricercatori suggeriscono di seguire la dieta Mind che privilegia pesce e verdure ricche di omega 3, frutta secca – ovvero a base di alimenti che aumentano il volume dell’ippocampo. Dall’altro lato, la dieta prevede la riduzione del consumo di carne rossa, alcool e zuccheri che invece riducono il volume dell’ippocampo.

È poi intervenuto il dottor Andrea Fabbo, Direttore dell’Unità operativa Geriatria e Disturbi cognitivi della Ausl di Modena, per parlare dei progetti in corso per la gestione delle demenze. Modena è un modello virtuoso in Italia perché si distingue per l’attenzione al paziente e per la rete d’interazione tra medicina generale, geriatra, servizi specialistici, terapisti occupazionali, infermieri e associazioni di famigliari caregiver locali.
Il Dott. Fabbo ha poi presentato i progetti in cui è coinvolto il suo gruppo di lavoro:

– Il Progetto RECAGE che è in fase conclusiva e si svolge in una SCU-B (struttura dove si gestiscono i cambiamenti comportamentali legati alla demenza di persone che non possono più essere seguite a casa). L’obiettivo è prendersi cura delle persone ricoverate in queste strutture venendo incontro ai loro bisogni, cercando il più possibile di limitare l’utilizzo di farmaci anti-psicotici e la contenzione fisica.

Questo progetto ha coinvolto 550 casi nella provincia di Modena di pazienti con età media di 78 anni dei quali 85% hanno demenza di Alzheimer ed il 15% con altri disturbi multipli.

Di questi casi il 18% è deceduto a causa del Covid, il 29% sono ricoverati in strutture e il 53% sono seguiti a domicilio con il supporto di terapisti occupazionali.

– Il progetto “Best Practice” anche questo si concluderà nel 2023. Si svolge su 4 strutture per anziani (2 su Milano e 2 su Modena) che hanno adottato un programma ideato in Scozia dall’Università di Stirling basato sull’assistenza personalizzata del paziente e su uno standard di cure elevato in modo da migliorare non solo le condizioni del paziente ma anche degli operatori sanitari opportunamente formati. Tutto questo è importante perché, come ha osservato il Dott. Fabbo, “ la cura del paziente con demenza non si improvvisa”.

La terapia occupazionale che prevede che il terapista vada a domicilio dal paziente con l’obiettivo di coinvolgere le persone e il suo familiare-caregiver, dando indicazioni utili al miglioramento del benessere di entrambi. Gli interventi dell’equipe di Modena si basano sul modello COTID, ideato in Olanda, e sul modello TAP ideato dalla dottoressa Laura Gitlin negli Stati Uniti di cui ho scritto l’anno scorso in questo articolo. Pare che questo approccio alla domiciliarità e riabilitazione occupazionale funzioni molto bene: io ne sono stata testimone diretta con mio padre, veramente un periodo felice per tutta la famiglia.

La Dottoressa Francesca Neviani, dell’Unità Operativa di Geriatria – AOU Modena, ha invece parlato della gestione del delirium e dei cambiamenti comportamentali in ospedale: la dottoressa ha spiegato che l’ospedalizzazione è la prima causa di perdita di autonomia per le personecon disturbi cognitivi e in generale gli anziani. Questo perché si instaura un circolo vizioso di stress caratterizzato da una serie di circostanze avverse: la persona ricoverata è fragile e fa fatica ad adattarsi all’ambiente ed alla condivisione degli spazi intimi con altre persone; a volte fa fatica ad esprimersi con gli operatori e a volte i bisogni insoddisfatti generano cambiamenti del comportamento. A loro volta, questi cambiamenti generano difficoltà di gestione da parte dell’operatore, alimentando ulteriore stress. Tutto questo porta spesso al delirium che è uno scompenso cerebrale e uno stato confusionale provvisorio. A volte il delirium viene curato con i farmaci; tuttavia, in questo ultimo anno, la strategia adottata dall’Unità di Geriatria di Modena è stata quella di cercare di avere un approccio gentle care per curare la persona con delirium. E’ un approccio che si è dimostrato utile per ridurre l’utilizzo di famaci e ridurre quindi anche lo stress degli operatori. Grazie a una serie di interventi di circa un’ora per 3-4 volte alla settimana,  i terapisti occupazionali, in collaborazione con gli operatori o i caregiver, danno un supporto per rispondere meglio ai bisogni delle alle persone, che riescono a migliorare anche dopo la dimissione e non perdono autonomia. La Dott.ssa Neviani ha portato l’esempio di un paziente che voleva prendere l’autobus per andare a casa e per aiutarla è stata costruita un’ambientazione simile alla fermata dell’autobus che ancora oggi viene utilizzata per altri pazienti. 

La Dottoressa Manuela Tondelli, che lavora presso l’Unità di Neurologia cognitiva – AOU Modena, ha parlato della Greenness, ovvero l’associazione tra spazi verdi e disturbi comportamentali.

In Giappone dal 1980 si studia il “Bagno nella foresta”: i giapponesi hanno studiato che il passare alcune ore nel verde, passeggiando o anche senza fare niente, ha una funzione immunitaria che abbassa il cortisolo, abbassa la pressione sanguinea e calma l’irritabilità.

La dottoressa Tondelli ha fatto una ricerca su 173 persone con cambiamenti comportamentali in fase moderata e acuta e ai loro familiari-caregiver. Li ha intervistati per misurare il loro livello di greenness (NDVI), ovvero la misura di radiazione del verde. Più la vegetazione e fitta più l’indice NDVI è alto. Questi studi confermano che  il contatto con la natura potrebbe essere una cura per il futuro, un approccio non farmacologico che potrebbe essere utilizzato per progettare aree dementia friendly.

La terza sessione della giornata riguardava gli sviluppi futuri. Il Professor Carlo Augusto Bortolotti, del Dipartimento di Scienze della Vita all’Unimore, ha parlato dei biosensori elettronici che possono aiutare nella diagnosi della malattia di Alzheimer.

Il biosensore è un dispositivo per riconoscere una molecola in soluzione tramite un analita che ne rileva la presenza, si collega alla molecola e traduce questo legame in segnale.

Il biosensore deve essere quindi selettivo, sensibile e deve avere un tempo di risposta di pochi minuti. Allo stesso tempo, deve anche essere portabile, facile da utilizzare e possibilmente a basso costo. Il Dottor Bortolotti sta studiando, insieme ai medici neurologi modenesi, un biosensore di elettronica organica flessibile per rilevare la presenza della proteina tau fosforilata all’interno del fluido cerebrospinale.

Il Dottor Eugenio Caperchione, del Dipartimento di Economia “Marco Biagi” all’Unimore, ha parlato di Lively Ageing illustrando un progetto di ristrutturazione di 4 strutture già esistenti nelle provincie di Modena, Reggio Emilia e Parma che saranno adibite ad abitazioni per anziani ancora prevalentemente autosufficienti. Le persone saranno supportate sia da operatori all’interno della struttura, che da servizi di telemedicina, domotica. Saranno anche predisposti modelli di servizio per migliorare le condizioni di salute delle persone anziane residenti in queste strutture.

Infine la Professoressa Zamboni ha chiuso la giornata illustrando il progetto  UNAWIRED che, tramite interviste a pazienti e familiari-caregiver, studierà il funzionamento del cervello in caso di anosognosia e deliri di persecuzione.

L’anosognosia consiste nell’incapacità di riconoscere e riferire di avere un deficit neurologico o cognitivo. In pratica la persona ha delle difficoltà, ad es. di memoria, ma non è consapevole dei suoi disturbi. Invece, nei casi dei deliri, la persona è convinta di essere perseguitata da altre persone oppure non riconosce il sogno dalla realtà (componente narrativa). Secondo gli studi più recenti, responsabile di queste difficoltà è una parte del cervello più vulnerabile associata alla dopamina. L’altra ipotesi è che siano causati da un malfunzionamento della corteccia prefrontale mediana. Tutto ciò è ancora da dimostrare con la ricerca.

Il convegno si è concluso con alcune domande dei caregiver sui progetti per le persone con demenza a esordio precoce. A tal proposito, la Dottoressa Chiari ha annunciato che a breve partiranno progetti anche per queste persone.