La storia di Irene e Carmelo: dopo la diagnosi, il nulla

Irene con sua figlia e suo marito Carmelo che convive con una diagnosi di demenza
Nella foto, Irene al centro con sua figlia Melania e suo marito Carmelo, 54 anni.
Dal 2018 Carmelo convive con una diagnosi di demenza frontotemporale.

Dopo la lunga pausa estiva, ritorniamo oggi con un’intervista. Questa volta è il turno di Irene, membro attivo del nostro gruppo di auto mutuo aiuto dedicato ai coniugi di persone con una diagnosi di demenza giovanile (o a esordio precoce). Irene vive in Sardegna, una Regione che ad oggi appare particolarmente sguarnita di strutture e professionisti in grado di aiutare chi è più giovane e ha una demenza più rara come la demenza frontotemporale.

In realtà, la sua situazione è abbastanza simile a quella di migliaia di famiglie in tutta Italia che costrette ad affrontare le mille complessità del dopo-diagnosi di forme di demenza che non si chiamano Alzhemer senza il benché minimo aiuto dalle istituzioni. Nella cultura italiana della demenza, tutto infatti continua a chiamarsi “Alzheimer” (progetto Alzheimer, associazione Alzheimer, ecc.), è pensato esclusivamente per chi ha già superato da un bel po’ i grandi “anta” e sta vivendo le fasi più avanzate della malattia. Lo ricordo per l’ennesima volta a costo di sembrare pedante: le statistiche ufficiali dicono che nel nostro Paese vivono oltre 1,2 milioni di italiani con una diagnosi di demenza – di questi circa il 60 percento ha una diagnosi di Alzheimer, gli altri hanno ricevuto diagnosi diverse, che corrispondono a sintomi e bisogni diversi. Continuare a parlare solo di una delle tante forme di demenza costituisce una pratica istituzionalizzata di esclusione e discriminazione. Lo stigma inizia anche da qui.

Ma se proprio non vogliamo parlare di giustizia sociale, parliamo allora dei danni pesanti generati da questa cultura: come minimo rimanda la diagnosi a tempi biblici perché gli stessi medici di base non riconoscono i sintomi iniziali, convinti che tutte le persone con demenza abbiano difficoltà di memoria e che la malattia colpisca solo gli anziani (un altro motivo per smettere di chiamare le demenze “senili” e “pre-senili”). Lo stesso Carmelo ha aspettato diversi anni prima di incontrare un medico che riconoscesse i sintomi della demenza frontotemporale. In questi anni di attesa, sua moglie Irene e i suoi famigliari hanno vissuto situazioni ben oltre il limite del sostenibile che hanno prosciugato le loro risorse da ogni punto di vista. Con il senno di poi, si ritrovano ormai stremati ad affrontare una malattia che sta evolvendo sempre più velocemente senza alcun supporto da parte della loro comunità.

Ripeto, la loro non è l’eccezione ma è la regola vissuta sistematicamente da chi riceve nel nostro Paese la diagnosi in età non sospetta… Ecco perché il nostro appello è particolarmente rivolto a chi ha qualche potere decisionale sulle politiche sanitarie e socio-sanitarie: è ora di mettere fine a questo vuoto istituzionale. I casi di demenza giovanile stanno aumentando e la sensibilizzazione non basta – servono investimenti e misure concrete. La fine dello stigma e della discriminazione non può che iniziare da qui.

Buona lettura,

Eloisa

L’intervista a Irene:
Abbiamo bisogno di comprensione
e servizi per le persone con demenza più giovani

Ciao Irene, ci puoi dire qualcosa di te per presentarti?
Sono sempre stata una ragazza indipendente e testarda e questo mi ha aiutato tantissimo a superare tante avversità, compresa la malattia di Carmelo, mio marito. Ho sempre amato viaggiare, ho sempre adorato la natura e mi piace immortalare con le mie foto ciò che mi colpisce. Ero un ufficiale della marina mercantile, lo dico con orgoglio e ne sono fiera. E’ stato un lavoro che mi ha aiutato a forgiare il mio carattere e a superare la mia innata timidezza.
Anche mio marito era un ufficiale della marina mercantile. Ci siamo conosciuti a bordo di una nave.
Di lui mi hanno colpito la sua gentilezza, la sua generosità, il suo difendere le donne, il suo ascoltarti, la sua allegria con tutti e gli occhi che sorridevano sempre. Era una persona molto empatica. Riuscivamo a parlare di tutto insieme, mi fidavo ciecamente di lui e lo reputavo un ottimo ufficiale e un uomo d’altri tempi.

Quando ti sei accorta che c’era qualcosa che non andava?
L’inizio della malattia è stato subdolo, silente e ingannatore.
Già dopo pochi anni dal matrimonio sono emersi i primi comportamenti “strani” che facevano pensare a un cambiamento nel suo carattere. Anche l’atteggiamento nei miei confronti è gradualmente cambiato: Carmelo alternava periodi in cui non si fidava di me, mi trattava male e usava violenza psicologica, verbale e fisica. Con il passare del tempo dimostrava sempre meno empatia e affetto anche nei confronti di nostra figlia, allora ancora bimba. Negli anni mi sono sentita sempre più combattuta e confusa – mi chiedevo, ma se mi vuole bene perché si comporta così? Perché alterna queste fasi?
Nel frattempo i problemi cominciavano a occupare sempre più aspetti della vita quotidiana: tutto lo infastidiva e lo irritava e le relazioni con gli altri diventavano sempre più conflittuali. Di pari passo aumentavano anche le difficoltà economiche, legali e sul lavoro. Carmelo era diventato non solo sempre più pericoloso per sé e per gli altri ma era anche sempre più logorroico e ansioso e pronto alla lite.

Ed è così che hai cominciato a correre ai ripari…
Sì, mi sono rivolta a una psicologa la quale, dopo diverse sedute di terapia di coppia, mi indirizzò a un centro antiviolenza mentre inviò Carmelo da uno psichiatra che fece una prima diagnosi: bipolarismo con disturbo di personalità. Poiché Carmelo non voleva o non riusciva a riconoscere le sue difficoltà, si rifiutava di assumere i farmaci ma nel frattempo i problemi e i conflitti si ingigantivano sempre di più. Ormai avevo l’impressione di essere sposata a uno sconosciuto. Carmelo trovava ogni pretesto per maltrattarmi e ricattarmi.
La spirale di violenza e di comportamenti anomali precipitò al punto da costringermi a chiedere aiuto al maresciallo dei carabinieri, a cui seguì il primo ricovero nel reparto di psichiatria di un ospedale locale. Diagnosi in uscita: disturbo di personalità non altrimenti specificato.

Da notare che fino a questo punto, nessuno dei medici che lo aveva in cura aveva pensato di effettuare altri accertamenti che avrebbero potuto rilevare patologie neurologiche o deficit cognitivi.
Eppure, dopo la dimissione dall’ospedale psichiatrico, Carmelo era ancora più strano di prima. Vista la situazione, chiesi al suo psichiatra di effettuare una risonanza magnetica che rivelò una gliosi (ndr. la “gliosi” è un processo reattivo cellulare caratterizzato dalla formazione di una cicatrice da parte degli astrociti, in seguito ad un danno nel sistema nervoso centrale). Secondo il medico tale anomalia indicava l’inizio di un progressivo decadimento cognitivo. La cosa più grave era che secondo lui non c’era altro da fare se non aspettare la sua evoluzione. Come si può aspettare impassibili l’evoluzione di un decadimento cognitivo in un uomo di 50 anni che ha un lavoro di grande responsabilità e che non riesce più a svolgere? La situazione era ormai così grave che la compromissione delle funzioni esecutive, soprattutto al lavoro, era sempre più evidente – per non parlare della tendenza all’apatia che lo rende sempre meno attivo.

Nonostante l’incoraggiamento a tirare i remi in barca però non ti sei arresa, giusto?
Assolutamente no! Da qui in poi mi sono data da fare per sottoporre Carmelo a vari consulti con neurologi e geriatri i quali, dopo avere non essere riusciti a rilevare granché dai Mini Mental Test, mi dissero che mio marito non aveva la malattia di Alzheimer né un’altra forma di demenza.  Addirittura, un neurologo di Cagliari mi disse che non se la sentiva di emettere una simile sentenza ad una persona così giovane – al che ho risposto: io però questa sentenza la vivo ogni giorno!

Intanto Carmelo aveva cominciato a sviluppare anche dei tremori preoccupanti in alcune parti del corpo. Per avere qualche aiuto, provai anche a rivolgermi a diversi pronto soccorso di zona, ma l’unica risposta che ci davano era che, trattandosi di un problema psichiatrico, non potevano fare nulla.

Avete incontrato un bel po’ di porte chiuse…
Sì ma per fortuna non mi sono arresa. A un certo punto sono riuscita a mettermi in contatto con la Dottoressa Piras di Sassari la quale, dopo aver somministrato a Carmelo diversi test neuropsicologici ed esami strumentali (PET, Datscan, ecc.), ha identificato la vera natura del problema: Carmelo ha la demenza frontotemporale con variante comportamentale e parkinsonismo.
Poiché la dottoressa Piras ha collaborato per diversi anni con la Dott.ssa Amalia Cecilia Bruni del Centro di Neurogenetica di Lamezia Terme, ci consiglia di avere un consulto di approfondimento diagnostico e genetico a Lamezia – consulto che a sua volta conferma la diagnosi di demenza frontotemporale. Per fugare ogni dubbio, ci siamo anche rivolti al centro diagnostico di Napoli (in Sardegna non eseguono questo esame) dove Carmelo è stato sottoposto a un’altra PET, questa volta con reagente Vizamil, per rilevare la presenza di proteine associate alla malattia di Alzheimer. L’esame ha dato esito negativo per l’Alzheimer ma ha confermato la demenza frontotemporale con variante comportamentale.

Quanto tempo è passato dall’esordio dei primi sintomi alla diagnosi definitiva?
La malattia, con i cambiamenti comportamentali esasperanti e continuativi risale a circa sei anni fa, ma i primissimi sintomi sporadici in realtà hanno cominciato a emergere molti anni prima. 

Che impatto ha avuto ricevere una diagnosi così difficile sulla vostra vita?
Beh inizialmente è stato un sollievo sapere di non avere vicino qualcuno di cui avere paura o da cui mi sarei dovuta allontanare il più lontano possibile. Ora c’è una spiegazione logica a tutti cambiamenti che ha vissuto Carmelo in questi anni e che ancora sta vivendo.

COS’E’ LA DEMENZA FRONTOTEMPORALE?
La demenza frontotemporale è una malattia neurologica progressiva per cui non esiste cura e provoca danni ai lobi frontali e temporali del cervello. A differenza della demenza di Alzheimer, dove la perdita della memoria è spesso il primo sintomo preoccupante, chi si ammala di questa malattia può vivere i primi segnali manifestando difficoltà a comunicare e a prendere decisioni. Oppure, se la variante è comportamentale, emergono comportamenti socialmente inappropriati a causa di deficit nella capacità inibitorie. Con l’evolversi della malattia, la persona tende ad essere sempre meno indipendente e può manifestare forti difficoltà nel parlare, camminare e perfino nel deglutire. L’età tipica di insorgenza è compresa tra 45 e 65 anni. Per maggior informazioni, cliccare qui e qui

Dopo il sollievo però è subentrata la paura del futuro, dell’incertezza, la paura della malattia neurodegenerativa. Fortunatamente nel periodo immediatamente dopo la diagnosi siamo stati accompagnati dalla Dottoressa Giglio della Sanità Marittima di Cagliari nel percorso per la valutazione di Carmelo da parte della Commissione Medica di 1° grado. Dalla valutazione è emerso che Carmelo è inabile al suo lavoro in navigazione e pertanto gli hanno ritirato il suo libretto di ufficiale marittimo.

Sono stata aiutata anche dal CAF locale per sbrigare le varie pratiche di invalidità che sono durate parecchi mesi. Tuttavia, abbiamo dovuto aspettare oltre sei mesi per ottenere la pensione di invalidità. Non vedendo risposta dall’Inps ho scritto una mail alla Direzione Generale di Roma e una settimana dopo è arrivato il primo versamento. E’ stata molto dura vivere senza lo stipendio di Carmelo con un mutuo da pagare e tutte le altre spese.

Oltre alle difficoltà della malattia avete dovuto affrontare anche tutte le questioni pratiche che rischiano di aggravare non poco una situazione già di per sé pesante… Come sta Carmelo adesso?
Purtroppo la malattia di Carmelo progredisce inesorabilmente giorno dopo giorno. E’ terribile vedere una persona che riusciva a risolvere tanti problemi non essere più in grado di riconoscere la manopola dell’acqua calda o fredda del lavandino. E’ una vera sofferenza vederlo tanto in difficoltà: ormai trema così tanto da non riuscire a tenere in mano una posata; trascorre le notti con problemi alla muscolatura oppure si alza a smontare qualcosa o a bere o mangiare ogni 10 minuti… E’ una situazione avvilente e stressante. Ha anche così tanti problemi di deglutizione che stare a tavola è diventato molto frustrante per tutti – trema in continuazione e ha enormi difficoltà a bere e mangiare. Si sente così vulnerabile senza di me che mi segue dappertutto.

Dev’essere davvero dura vederlo sempre più in difficoltà… Come stai vivendo questo periodo?
Sto lottando per ottenere dalla nostra Asl dei trattamenti fisioterapici, ma mi sento rispondere che per le persone che hanno malattie neurodegenerative non serve. E’ una vera ingiustizia, siamo abbandonati a noi stessi e al nostro triste destino. La solitudine e l’abbandono è ciò che fa più male e paura. Per fortuna Carmelo si rende conto solo in parte di quello che sta succedendo. Ormai sembra vivere in un mondo tutto suo, va avanti giorno per giorno apparentemente senza nessuna preoccupazione o problema.
Nel frattempo io ho preso in mano tutta la gestione della famiglia, della casa e dei problemi che purtroppo ho ereditato dagli anni in cui Carmelo era ancora attivo ma stava già vivendo le conseguenze del deterioramento cognitivo. Oltre ad assistere Carmelo ventiquattro ore su ventiquattro, devo anche accudire al nostro giardino e all’orto. Le mie giornate sono frenetiche e da sola non posso farcela. La famiglia di mio marito non è presente, anzi, come tutti quelli che non vogliono avere responsabilità, creano problemi e difficoltà.

Di cosa avreste maggior bisogno?
Purtroppo qui nella nostra zona non esiste nessun centro diurno o riabilitativo dove le persone con demenza possono svolgere per qualche ora delle attività insieme ad altri che permetta un po’ di sollievo all’impegno di cura dei loro famigliari. Ne esiste uno ad Oristano, ma è accessibile a pagamento e per noi è un problema. Quando le demenze colpiscono in giovane età, le difficoltà economiche diventano esorbitanti. Non solo le pensioni che ricevono le persone con demenza che si ammalano prima dell’età pensionabile sono irrisorie ma, almeno qui in Sardegna, i pochi medici esperti a cui possiamo rivolgerci per ricevere un’assistenza qualificata nelle demenze più rare sono spesso disponibili solo a pagamento.

Quale è l’aspetto della malattia che ti fa più paura?
Quello che mi destabilizza maggiormente è senz’altro l’avere accanto un persona che ormai è incapace di comunicare con me, che non riesce a sentire emozioni, che non riesce a darmi un po’ di affetto o considerazione. E’ proprio questo cambiamento profondo nella nostra relazione che mi frustra al punto di prendermela con lui, per poi sentirmi in colpa, anche se so che è sbagliato. 

Esiste il suo corpo o ciò che ne rimane, invaso dalla malattia, dalla demenza e dal parkinsonismo.
Pensavo che con la diagnosi tutto si sarebbe semplificato ed avremmo avuto maggiore assistenza. Invece è stato tutto il contrario, la diagnosi ha decretato la sentenza come giustamente aveva predetto tal neurologo a suo tempo. E’ una sentenza di abbandono totale – in attesa di peggioramento. Mi chiedo cosa succederà se e quando Carmelo dovesse smettere di camminare ed essere confinato a un letto? Spero davvero che per allora sarò riuscita a sistemare tante questioni ancora in sospeso, a partire dal nostro mutuo. Spero anche di riuscire a far fronte a un eventualle aggravamento senza aspettare l’aiuto della Asl o di altre istituzioni perché purtroppo so già che non saranno presenti quando avrò bisogno di loro. In ogni caso, non smetterò di lottare per cercare di far capire che la demenza frontotemporale è molto più diffusa quanto si pensi, che se ne deve parlare e farla conoscere per evitare che tante persone rimangano senza diagnosi e cure per lunghi anni com’è successo a Carmelo.

Cosa consigli ai familiari di chi ha appena avuto diagnosi di demenza frontotemporale? 
E’ molto difficile dare consigli, soprattutto per il fatto che la demenza può presentarsi in modi molto diversi a seconda della persona che si ammala. Secondo la mia esperienza, la prima cosa che potrei consigliare è quella di trovare medici in cui riporre la propria fiducia e con cui potersi relazionare con empatia e comprensione reciproca durante il percorso diagnostico e post-diagnostico. L’ideale sarebbe trovare un medico che aiuti non solo i pazienti ma anche i caregiver affinché possano sentirsi aiutati e sostenuti durante le fasi di evoluzione della malattia. E’ importante anche ricevere un aiuto qualificato per affrontare le varie pratiche per ottenere il riconoscimento dell’invalidità, i diritti riconosciuti dalla Legge 104, l’assegno di accompagnamento, e così via.

Il secondo consiglio fondamentale è quello di trovare dei gruppi di sostegno o di auto mutuo aiuto che nel mio caso è stato determinante, per capire ancora prima dei medici che mio marito non aveva una malattia psichiatrica ma una demenza frontotemporale. Infatti, grazie ai colloqui con Eloisa e Cristian dell’Associazione Novilunio, ho intrapreso la lunga e difficile strada per trovare neurologi che facessero indagini in merito. Se non mi fossi intestardita mio marito sarebbe ancora oggi considerato un malato psichiatrico allo sbando e senza nessuna tutela INPS.
A differenza di altri Paesi, qui in Italia si ha ancora troppa paura di rilasciare diagnosi ed avere in cura persone con demenza ad esordio precoce.
Quello che raccomando a tutti i famigliari e caregiver è: leggete, informatevi sulla malattia e non lasciate abbattervi dalle difficoltà. Più si ha consapevolezza della malattia e delle sue manifestazioni e minore è il rischio di sentirsi completamente impotenti e sopraffatti a livello psicologico, fisico ed emotivo da quanto sta accadendo. Se stiamo bene noi caregiver possiamo aiutare meglio anche i nostri cari che si ammalano.
Infine, non abbiate paura e vergogna della malattia. Abbattiamo questo stigma, rispettiamo gli ammalati.

Cosa ti aspetti dal futuro?
Innanzitutto mi aspetto che la ricerca vada sempre avanti per prevenire e curare la malattia.
Vorrei ci fossero più centri diurni, soprattutto per le persone più giovani, per aiutare le famiglie ad affrontare meglio le conseguenze di una demenza.
Mi piacerebbe anche che ci fosse più comprensione o forse meno paura di queste malattie, per evitare tutta la solitudine che stiamo vivendo noi.

Hai descritto come la malattia ha cambiato Carmelo in questi anni. Ma immagino che vivere tutte queste fatiche abbia cambiato anche te…
Certo, la malattia mi ha aperto nuovi orizzonti e mi ha fatto vedere il mondo con occhi diversi e più curiosi. Mi ha insegnato ad apprezzare le piccole e grandi così di tutti i giorni, a partire dal fatto che a prescindere dalle difficoltà che stiamo vivendo il sole sorge sempre ogni mattina e la vita è un dono da apprezzare giorno per giorno nonostante tutto.