L’appello di Stella: Non lasciateci soli

Stella e Carmine
Nella foto Stella e suo marito Carmine nel 2016, l’anno in cui Carmine ha ricevuto la diagnosi di demenza frontotemporale

L’intervista di oggi è stata dolorosa da scrivere e immagino lo sarà anche da leggere. Non tanto perché parla di un’esperienza particolarmente drammatica di demenza frontotemporale, quanto invece per tutto quello che ci sta attorno: ovvero la sensazione di vivere in un mondo in cui la carenza di risposte tempestive e concrete è pervasiva e l’abbandono delle famiglie va ben oltre l’assurdo.

Anche questa volta, il doppio pregiudizio, demenza non-Alzheimer ed esordio in età giovanile, si è rivelato micidiale. Non solo ci sono voluti anni perché i medici riconoscessero i sintomi della malattia di Carmine, diagnosticato a soli 48 anni. Ma anche quando i suoi sintomi avevano una causa e un nome, tanti addetti ai lavori che avrebbero dovuto aiutarlo si sono invece comportati come se avessero avuto a che fare con un morbo misterioso venuto dallo spazio.

Eppure la demenza frontotemporale è una delle prime cinque tipologie di demenza al mondo. Milioni di persone ne sono affette. Anche in Italia, a occhio e croce, le persone con questa diagnosi dovrebbero essere intorno a qualche centinaia di migliaia. Ciononostante, quando le persone con questa forma di demenza vengono ricoverati in ospedale o davanti alle commissioni per il riconoscimento dell’invalidità vengono rifiutati dal sistema.

Nemmeno i servizi sociali e il sistema socio-assistenziale spesso fanno fatica a rispondere in maniera adeguata per evitare che le famiglie si sgretolino sotto il peso dell’impatto della malattia. Ad oggi Carmine è ancora in attesa di ricevere l’indennizzo di accompagnamento previsto per legge per chi non è più auto-sufficiente. Nel frattempo da oltre un anno vive in una struttura residenziale, assistito 24 ore su 24. La cosa più grave è che la sua storia non è l’eccezione: in molte aree d’Italia – e non parlo solo del Sud, ma anche del nostro ricco Nord e del Centro – per chi è colpito da una demenza che non si chiama Alzheimer e che colpisce in giovane età, l’abbandono da parte delle istituzioni (e spesso anche dal resto della società) è la regola.

E quindi, ancora una volta, faccio un appello ai nostri politici locali, regionali e nazionali: servono finanziamenti e piani di intervento concreti – è davvero assurdo che nel nostro Bel Paese continuino a ripetersi situazioni come quelle di Stella e Carmine. Le demenze a esordio precoce stanno aumentando, far finta di nulla, magari sperando che il problema vada via da solo, è come cercare di fermare uno tsunami con una mano.


La testimonianza di Stella e Carmine

Carmine e Stella
Carmine e Stella al centro SUAP dov’è ricoverato Carmine dalla scorsa primavera

Ciao Stella, come vuoi presentarti?

Sono Stella, ho 44 anni, sono sposata a Carmine da 18 anni ma in realtà stiamo insieme da 22 anni. Abbiamo due figli di 17 e 12 anni, Alfonso e Daniele. Insieme viviamo a Somma Vesuviana, in provincia di Napoli, una città molto solare e bella, sia da visitare che da vivere.

Che lavoro fai?

Lavoro come insegnante di sostegno alla scuola materna. Anche se è un impiego a tempo determinato, il mio lavoro è molto importante per me…. anche perché è stato un traguardo faticoso da raggiungere – tra l’altro in un periodo molto difficile per la mia famiglia perché era proprio il periodo in cui mio marito cominciava a mostrare i primi sintomi di malattia.

Stiamo parlando di quattro anni fa, all’epoca partecipai a un concorso pubblico per accedere a un corso di formazione per insegnanti di sostegno a Roma. Facendo tantissimi sacrifici, riuscii a superare tutte le prove pre-selettive e successivamente a frequentare il corso che durò 8 mesi. Per tutta la durata della formazione fui costretta a fare la pendolare tutti venerdì e i sabato da Napoli a Roma e ritorno. E’ stata davvero durissima riuscire a ritagliarmi il tempo e le energie per frequentare le lezioni, continuare con il mio vecchio lavoro e prendermi cura della mia famiglia. Eppure ce l’ho fatta con l’aiuto dei miei famigliari a cui sono ancora adesso molto grata.

E’ stata dura ma sei riuscita a raggiungere il tuo obiettivo… In cosa consiste il tuo lavoro?

Attualmente lavoro prevalentemente con bambini con autismo e le loro famiglie, ragion per cui ogni giorno sono testimone di tutta la fatica che fanno ad andare avanti, soprattutto le mamme. Del resto, dare sostegno all’infanzia con amore e passione è secondo me l’unica arma che abbiamo a disposizione per aiutare chi vive queste difficoltà.
I bambini con cui lavoro per molti versi mi ricordano Carmine perché vivono in un mondo tutto loro. Il mio non è un lavoro facile ma mi piace, anche se a volte mi sembra di non staccare mai da questa continua sofferenza e non riesco a prendermi cura di me stessa come vorrei.

E’ un enorme carico di responsabilità per una persona sola…

E’ vero, ma è soprattutto la malattia di Carmine a pesarmi di più – per tutto quello che significa per me e la mia famiglia. Sto cercando ancora di capire il senso di questa sciagura che ci è capitata.

Non ti nascondo che ci sono giorni in cui io stessa mi chiedo: “Chi è Stella?”
Ci sono altri giorni in cui cerco di andare avanti sorridendo alla vita e dicendomi “Dai, qualcosa di positivo ci sarà sempre… per il momento va così… poi chissà.”

Ci parli un po’ di Carmine prima della diagnosi?

Carmine era un uomo attivissimo, sia nel suo lavoro che nelle relazioni. Era un amante del calcio, molto legato ai suoi amici, ai suoi figli e alla sua famiglia. Di certo non passava inosservato, anzi! Si può dire che fosse un uomo molto “rumoroso”, ma anche sempre disponibile ad aiutare tutti.
Purtroppo la malattia l’ha gradualmente cambiato, al punto da diventare irriconoscibile rispetto a chi ho conosciuto in gioventù.

Quando e come ti sei accorta che c’era qualcosa che non andava?

Lo vedevo sempre più nervoso, irrequieto, mi incolpava di qualsiasi cosa. Spesso mi capitava di sprofondare in pianti disperati perché non capivo cosa stava succedendo. Mi chiedevo, ma cosa ho fatto? Perché ce l’ha con me? Perché si comporta in maniera così strana? Ho capito che stava succedendo qualcosa di grave quando abbiamo cominciato ad avere discussioni sempre più ravvicinate nel tempo. All’epoca Carmine lavorava soprattutto di notte, oltre che di giorno, come commerciante di frutta. Quello che mi colpiva di più era che quando tornava a casa dal lavoro, puntualmente litigavamo, poi lui andava a riposare ma poi, al suo risveglio, si comportava come se avesse resettato tutto quello che era stata la nostra discussione di poche ore prima. Non solo, quando parlava continuava passare da un discorso all’altro, senza un apparente filo logico. Già allora notavo che aveva sempre più difficoltà a esprimersi.
Questo succedeva circa quattro anni fa. All’epoca Carmine aveva 48 anni, mentre nostro figlio maggiore, Alfonso, soprannominato da Carmine “mattulone” perché da piccolo era forzuto come Tyson, aveva tredici anni e il piccolo Daniele, detto anche “Tatuzzo”, aveva 8 anni e mezzo.

Quali sono state le tappe per arrivare alla diagnosi di demenza frontotemporale?

In un primo momento abbiamo attribuito la causa di questi cambiamenti allo stress da lavoro – anche perché Carmine continuava a dimenticarsi sempre più spesso la sequenza delle mansioni da svolgere. Ad un certo punto successe qualcosa di particolarmente anomalo e sconcertante che fece scoccare il primo campanello di allarme: invece di depositarli come di consueto in cassa, Carmine lasciò un bel po’ di soldi contanti in bella vista al posto di lavoro. Se ne accorse suo fratello che ci avvertì dell’incidente, il quale, ormai sempre più preoccupato, convinse Carmine a rivolgersi a una psicologa. Non fu un’impresa facile perché Carmine non solo non riconosceva i suoi problemi, ma continuava ad accusarci di essere noi quelli bisognosi di cure. Dal suo punto di vista, lui stava bene e non aveva alcun problema. Intanto però la situazione continuava a peggiorare al punto che ormai Carmine parlava sempre e spesso in maniera confusa.

Stella e Carmine con i figli Alfonso e Daniele nel 2017.
Stella e Carmine con i figli Alfonso e Daniele nel giorno della sua cresima nel 2017

Ciononostante nemmeno lo psicologo capì la causa dei suoi disagi. Durante le sedute, Carmine parlava soprattutto dei suoi genitori, in particolare della madre, deceduti da diversi anni. Per questo motivo lo psicologo ipotizzò che la causa fosse da attribuirsi alla mancata accettazione della perdita dei genitori e così suggerì alcune terapie che però non ebbero alcun risultato.
Quell’anno quando andammo in vacanza emersero ulteriori problemi. Da una parte Carmine sembrava la persona di sempre, contento di godersi il mare, i giochi in spiaggia, il calcio, il burraco, gli aperitivi ecc. Dall’altro lato però, quando arrivava sera e dovevamo uscire, diventava un altro. Aveva degli scatti d’ira che si trasformavano in litigi non solo tra me e lui ma anche con i nostri figli. Sempre in quel periodo mi ero anche accorta che faceva sempre più fatica a guidare perché riusciva più a interpretare le distanze dagli altri veicoli e gli spazi nelle strade. Salire in macchina con lui mi faceva ormai paura.

Ma la cosa ancora più clamorosa successe in ottobre quando Carmine fece un incidente con il camion della sua ditta, in cui non solo colpì e buttò a terra diversi pali collegati a centraline del gas, dell’acqua e della luce, ma colpì anche un’auto che si trovava parcheggiata nelle vicinanze. Lì per lì mio marito mi chiamò spaventato per l’accaduto. Eppure, ora di sera, si comportò come se non fosse successo nulla.
Anche stavolta il fratello lo convinse a rivolgersi a uno psicologo – diverso da quello a cui ci eravamo rivolti qualche tempo prima – il quale si accorse immediatamente che c’era qualcosa che non andava e ci consigliò di sottoporre Carmine a TAC e a risonanza magnetica. Da questi esami i medici ipotizzarono sia una possibile diagnosi di atrofia corticale che un’Alzheimer precoce.
Lo psicologo ci mise in contatto anche con un noto neurologo che cercò di rassicurarci, anche se per noi era ormai chiaro che la situazione era diventata drammatica. Ci prescrisse una terapia assicurandoci che nel giro di una settimana Carmine avrebbe ricominciato a parlare come un tempo… magari! Invece di migliorare, Carmine diventò ancora più strano.
Non mi diedi per vinta e lo feci ricoverare al Centro NeuroMed per nuovi accertamenti. Di lì a poco ricevemmo la diagnosi definitiva di demenza frontotemporale. Era maggio 2016.

Come avete vissuto questa notizia?

E’ stata una catastrofe. Quando Carmine era ancora ricoverato per gli accertamenti diagnostici, la giovane dottoressa che lo aveva in carico mi spiegò che, trattandosi di demenza frontotemporale, la situazione era molto grave.

Senza avere un minimo di sensibilità il medico mi disse: “La malattia di Carmine peggiorerà al punto da allettarlo e portarlo alla morte”. Di fronte a una simile sentenza sprofondai nella depressione più cupa – depressione da cui ho fatto davvero molta fatica a superare.

Quello che mi faceva male era che non c’era solo la malattia di Carmine da affrontare, ma c’era anche la situazione che si era venuta a creare intorno a noi: a causa delle sue difficoltà cognitive, mio marito si era riempito di debiti che per fortuna suo fratello nel tempo è riuscito a risanare. Ma è stata durissima… mi sentivo mancare la terra sotto i piedi.

Ma nonostante il profondo sconforto sei andata avanti a cercare aiuto per Carmine…

Sì, non mi sono mai arresa. Nel centro dov’era ricoverato Carmine si parlava di un progetto di stimolazione transcranica che sembrava promettente però non partiva. Fu così che mi misi in contatto con un altro ospedale di Roma a cui inviai gli esiti della PET e di tutti gli altri esami che erano stati fatti fino ad allora. Il medico di Roma, responsabile di quel progetto di studio, mi chiamò per informarmi che nonostante avessero ottenuto dei piccoli risultati con le persone con Alzheimer, non avevano avuto riscontri per la demenza frontotemporale. Ragion per cui, non c’era nulla da fare.

E anche dopo questa porta chiusa a chi e dove ti sei rivolta?

Non mi arrendevo, bussavo a tutte le porte che trovavo per cercare di garantire a Carmine un po’ di riabilitazione. Per i suoi problemi di comunicazione, ho contattato un logopedista che veniva a casa nostra per fare sedute riabilitative. Purtroppo, non riuscendo più a comprendere l’utilità di queste attività, Carmine si è sempre opposto in ogni modo a qualsiasi tipo di terapia e manifestava sempre più difficoltà a livello di comportamento.
Mia cognata, moglie di suo fratello che fa l’insegnante a tempo pieno, ha cercato di aiutare stimolandolo ogni giorno con esercizi di calcolo e scrittura, lo aiutava a firmarsi con il suo nome e cognome.
Mi sono anche rivolta alla nostra ASL dove mi dissero che non c’erano centri che potevano accogliere persone dell’età di Carmine. Ciononostante riuscii a ottenere delle sedute presso un centro specializzato in logopedia, anche se poi Carmine non ne voleva sapere e litigava con me ogni volta che cercavo di portarlo alle sedute. Tanto più che non vedevamo alcun risultato. Riuscii anche a organizzare per lui un percorso di terapia fisica in un centro vicino a casa nostra. E in tutto questo, Carmine continuava a opporsi, faceva scenate davanti a tutti e si rifiutava di collaborare con i terapisti.
Ero sempre più disperata, non sapevo più a chi chiedere aiuto. Ho chiesto a parenti, fratelli, sorelle di parlargli per convincerlo che le terapie servivano per rimanere attivo, per allenarsi. Purtroppo la demenza frontotemporale ti impedisce di comprendere queste cose.

Mi rivolsi anche al nostro sindaco e agli assistenti sociali. Il sindaco si limitò a suggerirmi un’associazione locale dove Carmine poteva stare insieme ad altre persone un paio di volte alla settimana per circa un’ora e mezza. Tentammo anche questa strada con risultati parzialmente positivi: a volte sembrava stesse bene, altre volte invece diventava ancora più nervoso – non riusciva più a stare insieme agli altri.
Mi arrabbiai con il sindaco perché mi aspettavo qualcosa di più dal nostro primo cittadino. Vedendo una moglie così in difficoltà, con due figli a carico, mi aspettavo mi dicesse “Signora, io ci sono”. Mi sarebbe bastato anche un piccolo aiuto in più per coinvolgere i miei figli in qualche attività in modo da distrarli da quello che ci stava succedendo. E invece nulla di tutto questo.
Alla fine ho potuto contare solo sul sostegno della nostra famiglia e dei nostri amici.

Poi a un certo punto l’anno scorso la situazione è precipitata… ce ne vuoi parlare?

L’anno scorso, a metà agosto la situazione è peggiorata tantissimo. Nel frattempo Carmine era diventato tutt’altra persona, aggressivo e violento, sia nei miei confronti che nei confronti dei nostri figli e di altre persone. Per proteggerci, ho ribaltato tutta la casa per togliere tutto ciò che mi sembrava pericoloso. Nostro figlio più piccolo, Daniele, era talmente spaventato da quello che stava succedendo che dormiva da mia cognata nell’appartamento sopra al nostro.
Carmine non riusciva a darsi pace: entrava e usciva di casa un’infinità di volte, continuava ad aprire la fontana che abbiamo nel cortile del nostro palazzo. Ormai era completamente disinibito, faceva gesti volgari, si spogliava in pubblico, non si voleva più lavare, mangiava senza moderazione.
A un tratto gli venne la febbre alta e, non capendo cosa stava succedendo, chiamammo il 118. Tra l’altro, alcuni giorni prima, era stato visitato da un neurologo il quale, oltre a prescriverci una nuova terapia, ci disse che di lì a breve mio marito si sarebbe allettato e avrebbe potuto sviluppare la cachessia.
Mai più ci aspettavamo che la situazione potesse precipitare così velocemente.

Una volta in ospedale, gli misero la flebo e la febbre passò. Ma Carmine mangiava sempre meno e non stava bene. Quando tornammo tutti a casa, mia sorella si fermò da noi a dormire perché eravamo spaventati che gli potesse succedere qualcosa durante la notte. Insieme lo aiutavamo a espellere muco dalle vie respiratorie perché da solo non ce la faceva a liberarsi. Poi un giorno cominciò ad avere problemi anche a urinare e così, insieme al fratello più grande, decidemmo di portarlo all’Ospedale Cardarelli dove spiegammo la situazione al neurologo di turno il quale ci disse di volerlo ricoverare per tenerlo sotto osservazione. Gli somministrarono del Talofen per contenere l’agitazione e, dopo aver fatto una TAC all’addome, una dottoressa ci informò che secondo lei Carmine stava bene e che poteva tornare a casa.
Una volta a casa continuava a essere agitato e nervoso. Il giorno dopo, alle 5 del mattino, ebbe un’altra grave crisi: svegliò tutto il palazzo, urinò dappertutto, era ancora più agitato del giorno prima. Così tornammo al pronto soccorso, rivolgendoci al Don Bosco di Napoli dove si limitarono a consigliarci di rivolgerci altrove.

Il giorno successivo una cugina di Carmine che fa l’infermiera, rendendosi conto della situazione, ci incoraggiò a tornare in ospedale. Questa volta andammo al Pronto Soccorso di Nola. Inizialmente ci dissero che non potevano prendersi cura del suo caso ma io e la sorella di Carmine ci impuntammo spiegando la nostra disperazione.

Con tutta la calma di cui ero capace dissi ai medici: “Non posso continuare a guardare mio marito che rischia di soffocarsi a causa del muco senza poter fare nulla. Quindi io da qui non mi muovo”. Per fortuna si decisero a tenerlo sotto osservazione e, dopo i primi accertamenti, lo stesso medico che aveva cercato di allontanarci il giorno prima mi disse che la situazione era grave perché Carmine aveva una polmonite ab ingestis (o broncopolmonite).
Di lì a poco Carmine fu trasferito in reparto dove trascorse un mese.

Avete vissuto un vero e proprio calvario. Mi ricordo che all’epoca raccontavi nel nostro gruppo di auto mutuo aiuto la tua disperazione – sembrava davvero che Carmine fosse sul punto di non farcela.

Purtroppo sì, tra l’altro proprio in ospedale Carmine venne aggredito da virus di tutte le specie che gli fecero schizzare la febbre fino a 40-41 gradi. Allarmati per la situazione, i medici dell’ospedale cercarono di chiamare centri più specializzati del loro. Ricordo che ci dicevano “Signora, suo marito non può rimanere in questo ospedale”. Nonostante le richieste disperate, tutti si rifiutarono di prendere in carico Carmine dicendo di non aver mai visto casi del genere.
Per fortuna il neurologo dell’ospedale dov’era ricoverato riuscì a stabilizzare la situazione critica… almeno per un po’. Poi, una domenica, mentre ero con lui, ebbe una grave crisi respiratoria. Fu rianimato. Il martedì successivo, dopo aver avuto una seconda crisi, fu portato in rianimazione dove ci dissero che ormai era una questione di ore e che dovevo “preparare i miei figli”. Invece non fu così. Carmine rimase nel reparto di rianimazione per ben 46 giorni. Nel frattempo i medici non riuscivano a mettersi d’accordo sulla possibilità di fargli o meno una tracheotomia perché lo consideravano troppo giovane per un intervento così invasivo e definitivo. Dopo l’ennesima crisi, lo operarono e dopo sette giorni gli misero anche la PEG.

Vista la situazione, contattai anche l’assistente sociale sperando in un supporto istituzionale per affrontare la situazione. Nonostante Carmine fosse ancora molto debilitato, i medici volevano che tornasse a casa. Io non riuscivo a capacitarmi di come fosse possibile dimettere una persona nelle sue condizioni… e per di più facendolo tornare a casa! La stessa assistente sociale mi disse che, poiché non c’erano strutture di ricovero disponibili, i miei figli (ancora minorenni!) avrebbero dovuto imparare ad assistere il papà. Di fronte a questa richiesta risposi “Quando avevo solo 14 anni, mi sono presa cura di mia madre, morta a 52 anni. Non voglio che anche i miei figli vivano un’esperienza del genere. Tanto più che i miei ragazzi hanno solo 11 e 16 anni – come fa a immaginare che possano prendersi la responsabilità di aspirare muco o gestire una PEG del loro padre? Non lo saprei fare nemmeno io, figuriamoci loro!”.

Per fortuna, da lì a poco Carmine fu trasferito a una struttura residenziale (SUAP) a Caianello, un paese in provincia di Napoli che dista circa 1-1,5 ore di tragitto in auto da casa mia.
E’ rimasto ricoverato lì fino allo scorso aprile. Dopodiché è stato trasferito in una struttura vicino a casa. E’ la prima SUAP nata nel Sud Italia e funziona benissimo: tutte le operatrici, i medici e gli infermieri sono molto bravi e competenti. Diciamo che sono diventati la mia seconda famiglia.

Come sta Carmine in questi giorni?

Diciamo che sta bene, tutti i parametri sono nella norma. Ormai ha perso tanta autonomia, non riesce più a camminare, non parla più e dipende dagli altri in tutto e per tutto.
A volte ci sorride, avverte le nostre carezze… noi cerchiamo di stimolarlo in tutti i modi possibili, anche cantandogli delle canzoni, o facendogli vedere video o foto dei suoi figli. Cerchiamo di renderlo attivo e partecipe nei limiti del possibile.

Ci sono giornate in cui cerco di non pensarci e giornate invece in cui sprofondo anch’io nella tristezza. E’ difficile tenere duro con tutto quello che si succede ogni giorno o che potrebbe succedere domani.
Anche la scorsa estate non è stata semplice. Carmine ha avuto continue infezioni urinarie, è stato sottoposto a cistoclisi, ha ricevuto numerose trasfusioni. A un certo punto ha avuto un blocco urinario che per fortuna sono riusciti a rimediare. Lo scorso settembre ha avuto un’altra polmonite che ha fatto scatenare uno shock settico. La pressione sanguigna non saliva più, le condizioni erano così critiche da scatenare un’altra crisi cardio-respiratoria. Se non fosse stato rianimato per l’ennesima volta non ce l’avrebbe fatta. E anche durante l’ultima crisi di qualche settimana fa è stato ricoverato dieci giorni in rianimazione.

E’ come se fossimo collegati da un filo che continua a ricongiungersi. Ora sta bene, ma è stato sul punto di spezzarsi ormai così tante volte… Così è anche la nostra vita, la vita dei miei figli.

Qual è l’aspetto più difficile della tua quotidianità?

Gestire due figli adolescenti è già di per sé difficile, ma in una situazione del genere è davvero molto molto dura. Riesco a gestire gli impegni di lavoro a fatica ma vado avanti perché ci tengo molto anche se non è un impiego a tempo indeterminato. E comunque non potrei comunque fare altrimenti perché Carmine ha una pensione contributiva bassa e non abbiamo altro reddito. Per fortuna negli anni e facendo tanti sacrifici, Carmine è riuscito a procurarci risorse su cui possiamo contare per andare avanti, a partire dalla casa in cui viviamo. Però i soldi non bastano mai.

Tra l’altro siamo ancora in ballo per ottenere il riconoscimento dell’assegno di accompagnamento e dell’invalidità. Quando abbiamo fatto la richiesta dopo la diagnosi è stata respinta e quindi abbiamo fatto ricorso. E’ da allora che stiamo aspettando: tutta la documentazione è stata deposta in tribunale, ma il giudice non si pronuncia.

A parte la situazione economica che non è delle migliori, quello che mi affatica di più sono tutte le responsabilità che devo portare avanti. La mia giornata di 24 ore non mi basta. Cerco il più possibile di fare vivere una vita normale ai miei figli – una vita che poi normale non è. Cerco di non fare loro mancare nulla, mi faccio in quattro ogni giorno ma arrivo alla sera sfinita, arrabbiata, nervosa ed esaurita.

Chi assiste un famigliare con demenza spesso deve rinunciare a tante parti di sé..

E’ così… Ad esempio, una volta andavo spesso a camminare alla mattina con una mia carissima amica. Oppure, mi è sempre piaciuto viaggiare e conoscere culture e tradizioni diverse… anche questo aspetto della mia vita al momento è stato messo da parte. Con i ritmi che del mio lavoro, le responsabilità dei figli e l’assistenza a Carmine non riesco più a ritagliarmi spazi per me stessa.

E’ tutto davvero troppo per una sola persona da portare avanti. Se avessi la bacchetta magica, come vorresti essere aiutata dalle istituzioni, dai tuoi amici o dai parenti?

Se avessi la bacchetta magica farei una magia per ritornare alla vita semplice ma intensa che vivevamo con Carmine prima che si ammalasse. Però questo purtroppo non è possibile… Quello che invece è possibile è che le istituzioni siano più vicino a famiglie come la nostra colpite da una diagnosi o da una malattia così atroce e violenta. Solo chi la vive in prima persona si rende conto di cosa veramente significhi ricevere o meno il sostegno di cui hai disperatamente bisogno da parte degli altri.

Ancora adesso mi sento come una barca in mezzo al mare, insieme ai miei figli. Cerco di non farlo notare. La nostra è una barca in cui entra acqua da tutte le parti mentre io cerco di remare per non sprofondare. Perché se sprofondo io sprofonda tutto.

Agli amici e ai parenti chiedo di esserci, cercando a loro volta di farsi forza per superare la paura che fa questa malattia. E’ importante sentirli vicini, non solo per Carmine ma anche per me, per i miei figli…

E’ importante sentirci dire “Noi ci siamo, non siete soli”.

Cosa ti fa andare avanti? Dove riponi le tue speranze?

La mia speranza è che un giorno si trovi una cura per questa bastarda malattia. Bastarda perché ti priva di tutto. Ma in mezzo a tanta sofferenza, in attesa di una cura, quello che mi aiuta ad andare avanti sono i piccoli sorrisi che mi regala Carmine di tanto in tanto. Mi aiuta anche sentire il calore del suo corpo. Quando sono con lui, con tutta la sofferenza che sta vivendo, mi dico, Carmine è davvero il Cristo in mezzo a noi. Ma poi penso anche che la sua non è davvero vita, così come non lo è nemmeno la nostra. Viviamo tutti una vita sospesa in cui vorremmo condividere tante cose, per poi tornare alla realtà e renderci conto che non si tornerà indietro. Consapevoli di come finirà…

Ho imparato a vivere giorno per giorno, godendo delle piccole e grandi cose… come il piacere che provo sentendo il mio viso vicino al suo… mi avvicino e lui mi tocca i capelli per sentire a sua volta il contatto del mio corpo. Oppure come la gioia che provo quando sorride ai nostri figli. Sono queste le cose che mi danno la carica per andare avanti, sono i meravigliosi figli che abbiamo messo al mondo. Anche perché Carmine era il primo a dire sempre che non voleva essere una vittima, né voleva ricevere elemosina dagli altri. E’ lui che mi ha insegnato a non piegarmi mai, a non mollare.

Come stanno i tuoi figli? Come hanno vissuto e stanno vivendo queste difficoltà?

Diciamo che in apparenza sembra stiano bene. A scuola non hanno problemi, anche le professoresse dicono che sono abbastanza tranquilli. In realtà sono ragazzi che soffrono tanto. Una sentenza del genere non coinvolge mai solo una persona che riceve la diagnosi ma ha un impatto pesante sull’intera famiglia. Carmine era una persona che, pur svolgendo un lavoro molto faticoso che lo costringeva ad uscire di notte, era molto presente con i figli, ci giocava, li viziava. Era un padre che a volte poteva sembrare severo ma in realtà era molto affettuoso.
E’ indubbio che ai ragazzi manchi il loro papà. Lo vedo soprattutto in Alfonso, mio figlio più grande, quando va a trovare il padre… gli leggo negli occhi una tristezza infinita. Non a caso riesce a stare poco con lui. Invece il piccolo cerca di spronare Carmine in tutti i modi.

C’è un messaggio di incoraggiamento che vorresti dare a chi sta vivendo le prime fasi di una demenza frontotemporale?

Purtroppo una diagnosi di demenza frontotemporale crea molta confusione. Ecco perché consiglio a tutti di chiedere aiuto, di farsi aiutare, di non sprofondare nel vuoto. Credo sia altrettanto importante godersi quanto più possibile insieme la persona affetta dalla malattia, facendo tutto quello che è vita insieme, anche le cose più assurde, i viaggi, gli abbracci, i giochi, l’essere travolti gli uni dagli altri, finché è possibile.
Solo l’amore, la costanza e la pazienza possono aiutare ad affrontare questa esperienza così dura sotto ogni punto di vista…