Ma lo sapete che oggi Novilunio compie 10 anni ?
Era il lontano 30 gennaio 2014 quando abbiamo presentato la nostra richiesta per costituire quella che era e continua ad essere un’associazione sui generis. Dieci anni fa avevamo un sogno, quello di promuovere una visione più rispettosa e riumanizzante della demenza e delle persone che convivono con questa condizione. Era ed è tutt’ora una visione in netto contrasto con la cultura prevalente che da un lato spinge a considerare le persone che convivono con questa realtà come se fossero solo dei problemi da gestire (o nella migliore delle ipotesi delle persone da accudire), e allo stesso tempo rifiuta di farsene carico, scaricando tutte le conseguenze sulle famiglie.
Avanti tutta, anzi no
Per come la vediamo noi, non è cambiato molto dal 2014, checché se ne dica. Perché se è vero che hanno appena rinnovato il finanziamento del fondo nazionale per l’Alzheimer e le demenze, la realtà è che si parla di poche briciole: 5 milioni di euro stanziati per quest’anno e 15 nei due anni successivi. Tutto questo a fronte di dati epidemiologici impressionanti: secondo l’Istituto Superiore di Sanità gli italiani che hanno ricevuto una diagnosi di demenza sono circa 2 milioni. Dove andranno questi fondi? Non certo direttamente alle famiglie che vengono sistematicamente abbandonate dal sistema. Con molta probabilità saranno destinati a nuovi progetti di ricerca che forse non troveranno mai un’applicazione concreta e di lungo corso. Perché diciamo questo? Perché è già successo con il finanziamento precedente (altrettanto inadeguato) e perché finora abbiamo collezionato una lunga serie di decisori politici che hanno dimostrato di non capire cosa succede quando abbandoni così tante famiglie allo sbando, senza un minimo di salvagente.
Se è vero che oggi c’è un po’ più consapevolezza (almeno in teoria e comunque molto a grandi linee) su cos’è la demenza, è altrettanto vero che questa consapevolezza non corrisponde a un cambio di rotta da parte delle nostre istituzioni sulla necessità di investire di più e meglio nelle varie fasi pre-diagnostiche (ad es. nella prevenzione in tutte le sue forme), diagnostiche (Centri per i Disturbi Cognitivi e Demenze (CDCD), che soffrono di un intasamento nelle liste di attesa sempre più preoccupante) e post-diagnostiche (nei CDCD e sul territorio – entrambi cronicamente e, soprattutto al Sud, spaventosamente sguarniti di operatori e servizi). Sarebbe bello se le nuove tecnologie, capaci di raccogliere ed elaborare tantissimi dati, ci aiutassero a quantificare i danni – sanitari, economici e sociali – della nostra miopia cronica. Credo che ne usciremmo tutti piuttosto sconvolti. E magari, chissà, forse troveremmo la motivazione per correre finalmente ai ripari.
Per noi e per tutte le associazioni italiane che ogni giorno danno una mano alle famiglie che affrontano una demenza, assistere impotenti di fronte a questo scenario è avvilente. Quando poi lo fai per tanti anni ti viene il dubbio quanto abbia senso insistere, soprattutto quando chi dovrebbe proteggerci si rifiuta di farlo. O ti toglie il tappeto da sotto i piedi.
Le lezioni apprese
Per fortuna è un dubbio che dura poco, almeno per noi che teniamo duro e andiamo avanti, insieme a chi non può più scegliere. Sappiamo che quello che facciamo è importante e ha senso per tante persone che bussano alla nostra porta o ci leggono sul nostro blog. Sappiamo anche che il nostro punto di forza è credere fermamente che per cambiare le cose è necessario rimettere al centro le persone che ricevono la diagnosi, affinché possano spiegarci con le loro parole e punti di vista quanto stiamo sbagliando, quanto i nostri modi di considerarli e prenderci cura dei loro bisogni non corrisponda né alle loro aspettative, né a una remota ipotesi di benessere e dignità.
E se il loro messaggio è in fondo molto semplice – e comunica essenzialmente un unico grande bisogno di sentirsi come tutti gli altri e di vivere la vita come chiunque altro – sotto molti punti di vista è rivoluzionario, se non sovversivo, perché stravolge i nostri preconcetti sull’esperienza della loro malattia e su cosa aiuti concretamente a viverla il meglio possibile.
Questi sono gli aspetti su cui abbiamo lavorato di più in questi dieci anni.
Durante tutto questo tempo abbiamo sperimentato diverse strade per capire quale sia la forma di supporto più efficace per chi riceve e vive la diagnosi. Nei primi anni, molto del lavoro è stato dedicato alla ricerca in tutto il mondo di esperienze di advocate e attivisti che spiegassero la loro esperienza e le loro aspettative. Ne abbiamo tradotto e pubblicato sul nostro blog le loro testimonianze, soprattutto relative a esperienze di demenze rare, le loro lotte per tutelare i loro diritti e contrastare le discriminazioni che vivono ogni giorno. Abbiamo dato parecchio spazio alle loro voci in modo che potessero far sentire meno soli le persone che vivono la realtà di una demenza nel nostro paese.
Abbiamo anche ricercato, tradotto e messo a disposizione tantissime informazioni sulle demenze pubblicate dalle più importanti associazioni internazionali, affinché anche i familiari potessero affrontare meglio i cambiamenti in atto nella loro vita.
Sappiamo anche che il nostro punto di forza è credere fermamente che per cambiare le cose è necessario rimettere al centro le persone che ricevono la diagnosi, affinché possano spiegarci con le loro parole e punti di vista quanto stiamo sbagliando, quanto i nostri modi di considerarli e prenderci cura dei loro bisogni non corrisponda né alle loro aspettative, né a una remota ipotesi di benessere e dignità.
Quando abbiamo scoperto l’esistenza di gruppi di auto mutuo aiuto online internazionali, abbiamo capito l’enorme potenzialità di queste nuove tecnologie. Ancora oggi questi gruppi internazionali collegano persone da ogni parte del pianeta. Inizialmente ne abbiamo parlato alla conferenza di Alzheimer Europe del 2016 e poi abbiamo deciso di fare nostro questo bellissimo modo per combattere la solitudine e l’impotenza. Nel 2017 abbiamo dato vita alla prima rete nazionale di gruppi online per familiari e persone con demenza. Per fortuna durante la pandemia eravamo già “attrezzati”: per tutto quel periodo la nostra rete ha infatti dato la possibilità a decine di persone in tutta Italia di stare vicini e farsi forza di fronte alla paura della malattia e dell’isolamento. I nostri gruppi di auto mutuo aiuto online sono ancora attivi e ancora oggi riuniscono decine di coniugi, figli e persone con demenza da tutta Italia.
Nel 2020 abbiamo voluto testare le potenzialità del modello di supporto dopo la diagnosi Living well with dementia – Vivere bene con la demenza ideato da Richard Cheston e Ann Marshall. Dopo averne curato il manuale italiano per facilitatori, insieme alla Prof.ssa Erika Borella e alla Dott.ssa Samantha Pradelli, abbiamo organizzato tre edizioni di percorsi post-diagnostici per coppie ispirati proprio su questo modello di intervento.
Da questa esperienza abbiamo capito che le persone – familiari e persone con demenza – hanno sì bisogno di un supporto concreto per elaborare cosa sta succedendo e capire come adattarsi alla loro nuova realtà, ma si tratta di un bisogno che varia moltissimo a seconda di chi lo riceve. Non c’è una ricetta standard che va bene per tutti. E i tempi con cui le persone hanno bisogno di rielaborare la loro realtà sono altrettanto variabili. Quando si cerca di forzare i tempi, si rischia di fare molti danni.
Ma la parte che più ci ha colpito di questa esperienza è che rilevare che le diversità di chi partecipa ai nostri gruppi vanno cioè molto al di là degli aspetti neurologici e cognitivi della diagnosi. Riguardano infatti ogni aspetto della nostra esperienza quotidiana in quanto persone e cittadini del mondo. Le diversità che fanno la differenza su come ognuno di noi affronta la realtà di una demenza riguardano la nostra storia personale e soggettività (chi siamo, chi siamo stati e chi vorremmo essere); il nostro modo di relazionarci e adattarci al presente e alla cambiamento che stiamo vivendo; il nostro rapporto con la salute e con il nostro modo di prenderci cura di noi stessi e degli altri; il nostro livello di consapevolezza nel comprendere quello che è necessario cambiare e quello che invece è fondamentale tenersi stretto … Tutto questo a livello individuale. A livello di coppia e famiglia, ci sono mille altri aspetti che determinano la qualità e le caratteristiche dell’ambiente in cui sperimentiamo il cambiamento e riusciamo o meno ad accedere alle risorse necessarie a mantenere un buon livello di benessere.
Abbiamo anche capito che chi vive solo e convive con una demenza è particolarmente penalizzato da questo punto di vista, ma non in senso assoluto. Conosciamo infatti persone con diagnosi che vivono sole e dimostrano un livello di resilienza molto più alto rispetto ad altri che vivono in famiglia, proprio perché sono costretti a mettere sempre in gioco tutte le risorse che hanno. D’altra parte sono anche le persone che rischiano di più se succede loro qualcosa.
Ci sono altri aspetti, culturali, sociali, economici, demografici, geografici, ecc. che hanno un peso altrettanto importante su come una persona e/o una famiglia vive la realtà di una diagnosi. Tutti questi aspetti vengono sistematicamente ignorati nella presa in carico degli addetti ai lavori. Novilunio incluso, o quasi. Per riuscire a prendercene cura dovremmo avere a disposizione molte (ma molte) più risorse di quelle attuali. Eppure sono aspetti che abbiamo visto determinare molto l’evoluzione della malattia e del conseguente disagio.
In altre parole, abbiamo capito una volta per tutte che l’approccio biomedico, che rinchiude le persone in piccole caselline da barrare quando si individua un nuovo sintomo, non basta. Non solo è riduttivo ma svalorizza il senso delle cose di chi sta cercando di vivere la sua vita nonostante tutti i limiti imposti dalla sua diagnosi.
Così come abbiamo capito che non basta e non è di aiuto trattare i familiari come se il loro unico ruolo fosse quello di caregiver, costringendoli a nascondere il dolore e le lacrime per il lutto e la disperazione che stanno vivendo. Come per le persone con demenza, anche per i familiari si tratta di ricostruire un modello di supporto più rispettoso e umano, capace di prendersi cura di tutti i loro bisogni e del loro benessere complessivo. I familiari caregiver sono innanzitutto persone e non mere soluzioni a un problema (quello appunto del caregiving) che la nostra società non vuole risolvere. Oggettificarli, riducendoli a un unico ruolo sociale, lede sempre la loro dignità.
Quanto questi aspetti facciano male lo abbiamo raccontato nel nostro libro Perso e Ritrovato, pubblicato nel 2020, in cui abbiamo raccolto le loro testimonianze e fatiche.
In questi anni abbiamo anche contribuito a diversi progetti europei incoraggiando i nostri partner a coinvolgere le persone con demenza e i familiari in qualsiasi iniziativa che preveda la realizzazione di un prodotto o un servizio destinato a loro. Non ha senso ed è una perdita di tempo e risorse progettare e produrre beni e servizi senza chiedere agli utenti che ne dovrebbero beneficiare cosa ne pensano e se rispondono alle loro aspettative. Quando si salta il passaggio della co-progettazione e co-produzione si rischia di costruire cattedrali nel deserto. Sappiamo bene che il co-design e la co-creazione richiedono più tempo, più pazienza per negoziare i bisogni di tutti, e più risorse. Ma il risultato è infinitamente più vicino all’efficacia di quanto lo possa essere qualcosa progettato nell’isolamento di un laboratorio o di un ufficio.
Quando si cammina insieme si va più lontano
E comunque: di tutte le cose che abbiamo imparato in tutti questi anni ce n’è una che prevale su tutte: più sei isolato e più sei impotente, più cammini da solo e più rischi corri di farti male.
Abbiamo capito che non basta e non è di aiuto trattare i familiari come se il loro unico ruolo fosse quello di caregiver, costringendoli a nascondere il dolore e le lacrime per il lutto e la disperazione che stanno vivendo. Come per le persone con demenza, anche per i familiari si tratta di ricostruire un modello di supporto più rispettoso e umano, capace di prendersi cura di tutti i loro bisogni e del loro benessere complessivo. I familiari caregiver sono innanzitutto persone e non mere soluzioni a un problema (quello appunto del caregiving) che la nostra società non vuole risolvere. Oggettificarli, riducendoli a un unico ruolo sociale, lede sempre la loro dignità.
È alla luce di questo semplice insegnamento che abbiamo deciso di dare una svolta al nostro approccio alle demenze, investendo di più e meglio sulla salute sociale delle persone con demenza e delle loro famiglie. Abbiamo cioè deciso di dedicare le nostre energie a costruire una comunità unita e resiliente, in cui tutti (a prescindere dal loro stato di salute) sono incoraggiati a condividere la propria esperienza e a valorizzare le loro risorse, mettendole a disposizione di chi sta camminando insieme a loro. Ci sentiamo immensamente fortunati e grati perché ci sono molti volontari che ci stanno dando una mano a trasformare questo progetto in realtà. E’ soprattutto grazie a loro se riusciamo ad andare avanti fiduciosi.
L’anno scorso abbiamo cominciato il lavoro di ristrutturazione potenziando le nostre capacità e competenze di auto mutuo aiuto, online e in presenza. Adesso possiamo contare su 9 facilitatrici naturali che permettono di organizzare incontri di gruppo aperti a familiari e a persone con demenza. Stiamo potenziando le nostre attività di advocacy (soprattutto riguardanti le persone con demenza) partecipando a iniziative di sensibilizzazione e formazione coinvolgendo i nostri experts by experience, esperti per esperienza che convivono con la diagnosi e danno modo a chi li legge o ascolta di comprendere meglio il loro punto di vista. In questa pagina abbiamo raccolto il profilo di alcuni di loro, ma contiamo di aggiungere nuovi esperti entro fine anno. Siamo solo all’inizio.
Stiamo anche progettando nuove iniziative trasversali che stimolano l’autonomia e la creatività, che incoraggiano a godere della bellezza e ricchezza naturale, culturale e sociale che ci circondano e ci ricordano, sempre e comunque, che la vita è adesso, al di là di qualsiasi diagnosi. L’anno scorso abbiamo iniziato organizzando visite ai musei e ai più bei luoghi culturali di Padova e Chioggia. Quest’anno vorremmo integrare queste attività con qualcosa di più immersivo e coinvolgente.
Alcuni definirebbero molti di questi progetti come iniziative di medical humanities. Noi preferiamo chiamarli sentieri da percorrere insieme per riscoprire la nostra umanità in tutti i suoi colori, forme e diversità.
Di tutte le cose che abbiamo imparato in tutti questi anni ce n’è una che prevale su tutte: più sei isolato e più sei impotente, più cammini da solo e più rischi corri di farti male.
Ne parleremo meglio nei prossimi mesi, dando esempi concreti di quello che bolle in pentola. Per ora ci teniamo a farvi sapere che, a dieci anni dalla fondazione di Novilunio, siamo ancora della stessa idea: c’è ancora tanta vita da vivere dopo la diagnosi di demenza. E’ una vita sicuramente diversa rispetto a quella a cui eravamo abituati prima di ricevere quel pezzo di carta, ma è nondimeno vita che va coltivata con tutta la cura e il rispetto di cui siamo capaci.
Grazie a tutti e tutte per averci accompagnato fin qui!
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