Tecnologie e demenza: il futuro appartiene al co-design

Il nostro gruppo di lavoro co-design e tecnologie
Nella foto, la sottoscritta vicino a Helena Quaid (moglie di Kevin), Miriam Brady accanto a suo marito Ronan Smith (ex Presidente dell’Irish Dementia Working Group), Kathy Ryan (attuale Presidente dell’Irish Dementia Working Group), Cristian Leorin (Presidente di Novilunio ed esperto di tecnologie assistive, Kevin Quaid (attuale Vice-Presidente dell’Irish Dementia Working Group)

Oggi parliamo dell’altra anima di Novilunio, quella dedicata allo sviluppo e alla promozione di tecnologie per persone con demenza, i loro familiari e caregiver. Negli scorsi cinque anni, l’area tecnologica della nostra associazione – capitanata dal nostro presidente ed esperto di tecnologie assistive, Cristian Leorin – ha continuato a lavorare a piccoli e grandi progetti che hanno coinvolto realtà sia italiane che internazionali.

L’EVOLUZIONE DEL NOSTRO APPROCCIO ALLE TECNOLOGIE

Da un punto di vista metodologico,il nostro approccio alle tecnologie è mirato a superare la visione medico-centrica della malattia, troppo centrata suoi sintomi o le disabilità che ne derivano (visione centrata sul concetto a problema-deficit “x” corrisponde soluzione-tecnologia “y”) allargando lo sguardo e la presa in carico su tutta la persona nel suo insieme di relazioni, risorse, identità, fattori personali, valori, ruoli e bisogni quotidiani. L’obiettivo ultimo è quello di permettere a chi ha una diagnosi di continuare il più possibile a vivere tutto ciò che è normalità, senso e partecipazione dentro e fuori casa, in tutte le fasi della malattia. Il nostro è un approccio che da un lato presta particolare attenzione sull’unicità del singolo che riceve la diagnosi, nel suo contesto di vita (ogni persona con diagnosi è un mondo a sé, con bisogni diversi che implicano risposte tagliate su misura), e dall’altro integra sia gli strumenti che le aree di intervento del modello sociale a cui fa riferimento la Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità.

Negli ultimi due anni abbiamo integrato nel nostro modello di intervento l’approccio partecipativo per la progettazione e realizzazione delle nuove tecnologie che verranno. Ci siamo evoluti in questa direzione perché ci siamo accorti che il nostro punto di vista, le nostre competenze ed esperienze non sono sufficienti ad assicurare che le soluzioni che proponiamo o ci immaginiamo rispondano effettivamente a ciò che le persone desiderano per se stesse per affrontare le loro sfide quotidiane. Non sono sufficienti perché, soprattutto quando si parla di interventi che promuovono autonomia, qualità della vita, dignità e sicurezza personale, il nostro sguardo di “esperti” dal punto di vista tecnico non può sostituire il punto di vista delle persone che devono utilizzare le soluzioni o risorse che stiamo proponendo. In altri termini, nessuno, a parte la stessa persona con demenza, può rispondere a queste domande con cognizione di causa:

  • Di tutti i cambiamenti e disagi che stai vivendo a causa della demenza, qual è l’area che ti mette più in difficoltà? E qual è l’impatto nelle attività della tua vita quotidiana di questo determinato problema?
  • Quali sono le strategie che usi di solito per affrontare queste difficoltà?
  • Se pensi di aver bisogno di una mano per risolvere o compensare questo disagio, come vorresti essere aiutato?

Forse, per chi ci sta leggendo, queste potrebbero sembrare domande banali. Eppure queste domande sono tutto meno che scontate, soprattutto in un ambito controverso come quello delle demenze, in cui si dà per scontato che chi ha questa malattia non sia più in grado (o non abbia diritto!) di esprimere un parere o una preferenza rispetto a ciò che per lui o lei è importante per continuare a vivere una buona qualità della vita. Per alcuni addetti ai lavori potrebbero sembrare addirittura domande sovversive perché suggeriscono un cambio radicale di paradigma:

invece di mettersi sulla cattedra, convinti di sapere già tutto e poter dare una risposta a tutto, a prescindere dalla persona o dal problema che si ha davanti, ci si mette seduti accanto a lei (o lui), con tutta la curiosità di cui si è capaci, e si discute non solo quali sono le aree della sua vita in cui vorrebbe avere un supporto (altro aspetto meno che scontato), ma le si chiede anche come desidera essere aiutata, in base alle specifiche risorse e capacità residue o di coping che riesce e vuole mettere in gioco.

E’ bene ricordarsi che qualsiasi strategia compensativa o supportiva, incluse le tecnologie assistive, costituisce innanzitutto un cambiamento per la persona che la deve mettere in atto o utilizzare. Ecco perché non basta rilevare il bisogno (ad es. un problema di memoria o di orientamento spaziale), ma deve essere accertata anche la consapevolezza e la motivazione per risolverlo. Se la persona non ritiene che il problema sia sufficientemente critico, difficilmente accetterà di essere aiutata in quel frangente. Oppure, se la strategia o tecnologia che viene proposta è in contraddizione con i suoi valori o le sue modalità abituali di problem solving, difficilmente accetterà di buon grado di adottarla, a prescindere dalla gravità del problema.

DALLA MULTI-DISCIPLINARIETA’ ALL’APPROCCIO PERSON-CENTRED AL CO-DESIGN

E’ proprio sulla base di queste premesse che negli ultimi anni abbiamo investito risorse ed energie per promuovere all’interno del progetto europeo REMIND, di cui facciamo parte dal 2017, l’approccio di co-design per la progettazione di nuove tecnologie e-Health.  Ricordo brevemente che REMIND è un’iniziativa che coinvolge sedici partner da tutto il mondo operanti nell’ambito della ricerca, sviluppo, implementazione e commercializzazione di tecnologie assistive per chi convive con deficit di memoria. L’obiettivo del progetto è creare nuove opportunità di formazione e apprendimento per studenti dottorandi provenienti da tutta Europa, interessati a sviluppare soluzioni, sistemi e servizi a sostegno delle persone con demenza e delle loro famiglie.

Remind

Per il primo esperimento di co-design, l’anno scorso abbiamo arruolato Kathy Ryan e Ronan Smith del gruppo di lavoro con demenza irlandese in qualità di esperti sul campo nel gruppo dei formatori e insegnanti della Connected Health Summer School nell’ambito del progetto REMIND. Si tratta di una scuola di alta formazione che si ritrova ogni anno ad Artimino (Firenze) per formare nuove generazioni di ricercatori interessati a migliore la qualità della vita di chi ha un deterioramento cognitivo e dei suoi caregiver attraverso risposte digitali di varia natura.

Per la prima volta nella storia del progetto, gli studenti hanno potuto lavorare fianco a fianco con persone con demenza che li hanno aiutati a comprendere meglio come la loro malattia sia molto più complessa della versione riduttiva e bidimensionale coltivata dalla cultura attuale. Potete leggere un sunto di com’è andata in questo articolo pubblicato sul nostro blog lo scorso anno: https://novilunio.net/lezioni-di-tecnologia/.  In alternativa, potete consultare l’articolo “The Value of Including People with Dementia in the Co-Design of Personalized eHealth Technologies”, pubblicato quest’anno sulla rivista scientifica Dementia and Geriatric Cognitive Disorders dove abbiamo spiegato più in dettaglio sia le premesse su cui poggia il nostro approccio al co-design che gli strumenti e metodi adottati.

Nella foto, Helen Rochford Brennan insieme a un gruppo di studenti della REMIND Summer School di quest’anno

ARTIMINO 2019: BUONE PRATICHE DI CO-PROGETTAZIONE 

Alla luce dei risultati incoraggianti raccolti l’anno scorso, per l’edizione di quest’anno che si è svolta dal 24 al 27 giugno abbiamo fatto un ulteriore passo in termini di inclusione coinvolgendo i nostri esperti sul campo a partire dalla fase di identificazione degli ambiti di intervento su cui si è poi andati a lavorare durante la Summer School. A tal proposito abbiamo organizzato lo scorso aprile una giornata di workshop a Dublino in collaborazione con Alzheimer Society of Ireland e l’Irish Dementia Working Group. Al workshop hanno partecipato insieme a noi anche alcuni partner del progetto REMIND, tra cui tre professori dell’Università di Ulster, Chris Nugent, Direttore del Dipartimento del Computer Science Research Institute, Ian Cleland, esperto di Data Analytics, Paul Mccullagh esperto di etica, insieme alla professoressa Jane Walsh, Direttrice del m-Health Research Group presso il Dipartimento di Health Psychology dell’Università di Galway (Irlanda).

Durante l’incontro di Dublino sono stati selezionati quattro temi principali per gli studenti di quest’anno:

  1. Vita indipendente: ovvero, come promuovere l’autonomia delle persone con demenza nelle loro attività quotidiane e nei loro ruoli fuori e dentro casa;
  2. Sicurezza: come trasformare la propria dimora in una casa che previene e protegge dai rischi associati al deterioramento cognitivo – ad es. cadute, incidenti domestici, rischio di perdere l’orientamento spazio-temporale, ecc.;
  3. Inclusione sociale: come aiutare chi ha una disabilità cognitiva a rimanere in contatto con i propri familiari e amici, con la propria comunità, e con chi si prende cura di loro;
  4. Vita attiva e tempo libero: come promuovere attività che abbiano un senso e un significato per la persona e che allo stesso tempo la aiutino a mantenere una vita sana, attiva e stimolante.

Per l’edizione di quest’anno abbiamo inoltre allargato il campo di azione invitando Helen Rochford Brennan, Ronan Smith, Kathy Ryan e Kevin Quaid del gruppo di lavoro irlandese e Miriam Brady e Helena Quaid in qualità di coniugi caregiver a tempo pieno.

Nei quattro giorni di formazione, la faculty  ha proposito un programma intensivo di workshop e seminari condotti da un gruppo di esperti provenienti da una dozzina di università, centri di ricerca e organizzazioni europee che hanno parlato di tecnologie intelligenti non solo dal punto di vista della progettazione, ma anche dal punto di vista di chi deve implementare e distribuire questo tipo di soluzioni all’interno di una comunità o di un sistema socio-sanitario locale o nazionale.

IL PUNTO DI PARTENZA: L’ESPERIENZA DELLE PERSONE CON DEMENZA, AL DI LA’ DEI FALSI MITI

Per preparare gli studenti al lavoro di co-design insieme alle persone con demenza e ai loro caregiver, sono stati organizzati alcuni momenti formativi che avevano l’obiettivo di aiutarli a superare eventuali preconcetti sulla demenza e avvicinarsi al mondo reale di chi si confronta con la malattia ogni giorno. Durante la prima sessione del programma, è stata invitata la Dott.ssa Helen Rochford Brennan, membro del gruppo di lavoro irlandese e attuale presidente del gruppo di lavoro delle persone con demenza di Alzheimer Europe (European Working Group of People with Dementia). Durante il suo intervento, dedicato alla tecnologia e ai diritti umani, Helen ha spiegato che per lei la tecnologia è soprattutto un mezzo efficace per stare in contatto con il mondo, per sapere cosa succede nella sua comunità, per leggere le notizie, ma soprattutto per coltivare relazioni con altre persone che convivono con una diagnosi di demenza o professionisti che si occupano in vari modi di deterioramento cognitivo: “E’ grazie all’uso dei social media che ho scoperto “la mia tribù”, ha commentato Helen con un sorriso. Grazie a tecnologie quotidiane come FaceTime, Helen può parlare ogni volta che lo desidera in videoconferenza con suo figlio che abita a Londra. “E’ proprio grazie a queste tecnologie che non sarò mai sola perché troverò sempre qualcuno connesso da qualche parte del mondo con cui parlare”.
Helen ha inoltre insistito sull’adozione di un approccio centrato sulla persona e non sui suoi deficit perché ognuno di noi affronta le sue sfide quotidiane in modo diverso, con strategie e capacità diverse: “Non ha senso offrire soluzioni standard che vadano bene a tutti. Siamo tutti diversi nel modo in cui viviamo le nostre vite e le nostre difficoltà”.
E a proposito di approccio personalizzato, Helen ha anche incoraggiato i presenti a progettare tecnologie e soluzioni che riflettano varie tipologie di demenza: “Chi ha ricevuto una diagnosi di Alzheimer vive problemi molto diversi da chi invece ha una diagnosi di demenza a corpi di Lewy o altre forme di demenza”.
In tema di diritti umani, Helen ha raccomandato cautela sia nella progettazione che nell’adozione di tecnologie di monitoraggio perché, senza il consenso della persona con demenza, diventano mezzi alternativi di contenzione che infrangono la dignità, il diritto alla privacy e l’autodeterminazione delle persone che teniamo sotto osservazione.
Da ultimo ha ricordato che, per quanto le tecnologie possano essere utili ed efficaci, è importante evitare che vengano sviluppate con l’obiettivo di sostituire le relazioni umane.

Dopo il discorso di Helen, si sono susseguite le presentazioni degli altri ospiti irlandesi i quali hanno descritto esperienze di malattia e caregiving molto diverse tra loro, non solo in termini di difficoltà ma anche in termini di contesti in cui tali criticità si manifestano e di strategie di coping che ognuno di loro mette in campo per affrontarle limitarne l’impatto.

Nella foto Kathy Ryan al tavolo di lavoro insieme agli studenti della Summer School

Ad esempio, durante il suo intervento, Kathy Ryan ha elencato tutta una serie di fatiche quotidiane che la mettono particolarmente alla prova in questo periodo e per cui vorrebbe trovare una soluzione. Tra le criticità più pesanti ha descritto:

  • la paura di cadere dalle scale di casa sua (vive da sola in una casa disposta su due piani) – paura che è diventata talmente grande da condizionare pesantemente le sue abitudini quotidiane.
  • Negli ultimi tempi Kathy ha anche sviluppato una lieve disfagia che l’ha costretta a cambiare modo di preparare e consumare i suoi pasti.
  • Anche l’incontinenza è diventata un problema perché costringe Kathy a fare i conti con una qualità della vita compromessa dalla continua preoccupazione di poter accedere facilmente a un bagno in caso di bisogno.
  • Anche se continua a usare telefonino e computer, Kathy ha anche notato un rallentamento nelle sue capacità di scrivere messaggi ed email e ha chiesto espressamente al gruppo di studenti e docenti di suggerirle tecnologie speech-to-text (ovvero di sintesi vocale) per ovviare a questo problema.

Nella parte finale del suo discorso, Kathy ha anche incoraggiato gli studenti a evitare di immaginarsi tecnologie complicate o sofisticate: “Concentratevi su soluzioni semplici che risolvono problemi davvero importanti per la persona che le deve usare. Ad esempio tecnologie che mi aiutano a ricordarmi quando prendere i farmaci, caricare il telefono, chiamare persone o andare ad appuntamenti. Ma soprattutto, per una persona come me, che vive sola, è importante trovare modi per mettermi in sicurezza in caso di un incidente domestico… sarebbe bello se potessi affidarmi a una tecnologia facile da usare per chiamare qualcuno nel caso mi faccia male o cada dalle scale”.

Nella foto, Kavin Quaid mentre discute con gli studenti le difficoltà della sua malattia

Nel suo intervento, Kevin Quaid, 57enne e diagnosticato di demenza a corpi di Lewy, ha invece descritto quanto la sua vita sia difficile a causa degli incubi e delle allucinazioni causate dalla sua forma di demenza. Si tratta di disturbi che compromettono così tanto la qualità della sua vita che spesso Kevin ha pensieri suicidi perché non ce la fa più. Sono infatti già diversi anni che tiene duro e fa del suo meglio per superare questi continui momenti di crisi insieme a sua moglie Helena. Nella sua recente autobiografia “Lewy Body Dementia Survival and Me”, Kevin descrive i suoi sintomi allucinatori come veri e propri racconti dell’horror vissuti in diretta: “Sono esperienze che possono manifestarsi sia di giorno che di notte. Anche se ultimamente riesco a tenerle a bada grazie ai farmaci, a volte nemmeno la medicina è di aiuto e sono costretto a vivere nella paura: questa è per lui la sfida più grande che vivo ogni giorno”. Per Kevin, qualsiasi cosa può diventare una minaccia, tutto dipende dal suo stato mentale (un altro tratto comune della demenza a corpi di Lewy sono infatti le fluttuazioni frequenti sia in capacità che in energie per affrontare il qui e ora): “Anche se sono grande e grosso, in un attimo e per qualsiasi motivo, anche il più banale, posso sentirmi così piccolo e spaventato da trasformarmi in un bimbo di 3 anni. E’ tutto molto difficile da vivere giorno dopo giorno”.

Al centro della foto, Helena Quaid mentre spiega il suo punto di vista di moglie e caregiver di Kevin

Le difficoltà della malattia hanno un enorme impatto anche sulla qualità della vita di sua moglie Helena: “Ci sono dei giorni in cui Kevin soffre di incubi così feroci e distruttivi da farmi sentire impotente, senza speranze e incapace di affrontare una realtà così pesante. Questo è per lui, per noi, la nuova normalità. Per non farmi travolgere dalla negatività, devo ripetermi che non sono io la colpa di queste tremende esperienze, che non sono in grado di curare la malattia, né di controllare la situazione. Devo insomma concentrarmi sul fatto che tutto ciò che è in mio potere è fare del mio meglio per sostenere mio marito. Ci sono notti in cui Kevin non mi riconosce e vede invece un uomo o un intruso al mio posto – una persona che deve allontanare o da cui deve difendersi. Spesso ha incubi che mettono a rischio la vita di entambi.”
Durante il suo intervento, Helena ha anche spiegato quanto negli ultimi anni i disagi della demenza abbiano scatenato numerosi problemi di salute anche per lei. A tal proposito, ha insistito nel ricordare agli studenti che per i partner-caregiver che si prendono cura a tempo pieno di una persona con tante difficoltà quotidiane, è fondamentale imparare a prendersi cura di se stessi. Tuttavia, la stessa Helena ammette che questo è un obiettivo molto complicato da raggiungere anche perché c’è un ulteriore impatto emotivo che ostacola la messa a fuoco dei propri bisogni: la perdita di tutta una serie di speranze, progetti di vita, ruoli e relazioni che caratterizzano il convivere con una demenza a esordio precoce.
In termini di possibili soluzioni tecnologiche, Helena ha suggerito l’idea di un sensore dotato di allarme per segnalarle quando la pressione arteriosa di Kevin sale – fenomeno collegato all’insorgenza dei suoi incubi: “Se sapessi quando la sua pressione va su, potrei svegliarlo e in tal modo interrompere gli incubi che sta vivendo”. Helena ha anche suggerito un bastone “intelligente” che aiuti Kevin non solo a compensare i suoi problemi motori ma anche a segnalargli la presenza di terreni o pavimenti sdrucciolevoli o irregolari che potrebbero fargli perdere l’equilibrio.

Ronan Smith nello splendido giardino di casa sua

La sessione delle testimonianze si è conclusa con l’intervista a Ronan Smith e sua moglie Miriam Brady durante la quale hanno parlato dell’impatto dei deficit cognitivi di Ronan sulla loro vita quotidiana che si svolge in larga parte nella loro casa di campagna in una zona rurale dell’Irlanda occidentale. A tal proposito, Miriam ha spiegato quanto senta da un lato il desiderio di garantire a suo marito una vita più normale e attiva possibile, fatta di tante piccole e grandi routine che lo fanno sentire bene e utile, e dall’altro lato la consapevolezza di aver bisogno di aiuto per alleggerire il suo carico di assistenza e responsabilità: “Viviamo in una grande casa, bellissima ma anche piena di cose da fare, da mettere a posto, da tenere a bada. Ormai sono da sola a portare avanti tutto, incluso il nostro giardino e gli animali da compagnia e da cortile che vivono con noi. Mi piacerebbe continuare a includere Ronan in queste responsabilità domestiche ma come faccio? Ormai si scorda troppe cose e sempre più spesso se lasciato da solo corre il rischio di farsi male…” D’altra parte lo stesso Ronan vorrebbe continuare a svolgere i suoi ruoli di “uomo di casa” ma ammette di essere sempre più in difficoltà: “Proprio l’altro giorno ho usato un attrezzo che uso da sempre per tenere pulito il nostro orto e mi sono quasi tagliato via un dito! Mi sono spaventato moltissimo… ma soprattutto mi sono detto: ecco un’altra mansione che non posso più permettermi di fare da solo”.

IL LAVORO CON GLI STUDENTI E I LORO MENTORI

Prima di avviare i workshop, sono state date agli studenti alcune “istruzioni per l’uso” per orientarli al lavoro di gruppo, insieme agli esperti con demenza, ai loro caregiver e ai mentori a loro assegnati, affinché potessero immaginare soluzioni sostenibili da ogni punto di vista, basate su bisogni espressi, reali e coerenti con una delle quattro tematiche identificate. Tali istruzioni riassumevano alcuni aspetti fondamentali che spesso vengono sottovalutati o ignorati in fase di progettazione:

  1. Le persone con demenza e i loro coniugi-caregiver sono molto diversi tra loro, con priorità e bisogni contingenti a tutta una serie di fattori (personali, sociali, culturali, ecc.) che vanno molto al di là della malattia in sé e che determinano il successo o il fallimento della soluzione proposta per compensare un determinato deficit o disabilità.
  2. Ogni persona vive in contesti che determinano sia lo stile di vita che l’accesso a risorse dentro e fuori casa. Ad esempio:
    1. Kathy vive da sola e per molti versi avrebbe bisogno di un supporto molto più articolato rispetto a Ronan e Kevin che invece possono contare sull’assistenza continua delle loro mogli.
    1. Ronan vive in campagna e ama fare camminate e andare in bicicletta. Purtroppo entrambe queste attività lo espongono al rischio di perdersi in zone dove non c’è sempre il segnale GPS.
  3. Le tecnologie proposte devono rispondere alle capacità tecnologiche (dette anche digital literacy) dei loro utenti. Ad esempio, Kathy ha richiesto espressamente soluzioni semplici da utilizzare e comprendere, personalizzate ai suoi bisogni e capacità. Non è necessario risolvere tutto in una volta, anzi… poiché per la persona che la deve usare, ogni nuova tecnologia corrisponde a un cambiamento nel suo stile di vita e comportamento, è opportuno limitarsi a introdurre poche funzioni per volta in grado di risolvere i bisogni più importanti in quel dato momento. La complessità genera ostilità e aumenta significativamente il rischio di abbandono della tecnologia.
  4. I coniugi-caregiver hanno tanto bisogno di supporto quanto le persone con demenza. Insieme ai loro mariti e alle loro mogli affrontano insieme tante sfide e opportunità quotidiane. Ecco perché le tecnologie proposte devono essere progettate valorizzando la dignità e la qualità della vita di entrambi.
  5. Una volta identificata la possibile soluzione al problema, è importante chiedersi insieme ai diretti interessati (le persone con demenza e i loro caregiver) le seguenti domande:
    1. Quali sono le possibili barriere che potrebbero impedire l’accesso o l’adozione di questa specifica soluzione?
    1. Quanto sono realistici e sostenibili i cambiamenti introdotti nello stile di vita o nel comportamento dalla soluzione proposta sia per la persona che per il suo caregiver e la sua famiglia?
    1. Cosa potrebbe andare storto se si adottasse questa soluzione?

IL PROGETTO VINCITORE E LE LEZIONI APPRESE

Al termine dei quattro giorni di co-progettazione, i gruppi di lavoro hanno presentato cinque proposte di tecnologie intelligenti tagliate su misura sulle specifiche richieste fatte dagli esperti sul campo (Ronan, Kathy, Kevin, Miriam e Helena) che facevano parte del loro team. Rispetto all’edizione dell’anno scorso, durante la quale i nostri ospiti irlandesi hanno accompagnato a rotazione i lavori di tutti i gruppi per mantenere una certa neutralità sui singoli progetti, quest’anno ognuno di loro è stato coinvolto in tutte le fasi di co-design di un solo progetto. In questo modo, nei singoli team si è creato livelli di comprensione dei bisogni e di collaborazione decisamente più elevati che hanno alimentato anche una sana – e divertente! – competitività tra gruppi, ospiti con e senza demenza, e docenti-mentori.

Di tutte le proposte che sono state presentate, quella che ha riscosso maggiore consenso è stata una tecnologia GPS mirata a promuovere sia l’autonomia che l’inclusione sociale delle persone con demenza perché basata sul concetto di comunità che accoglie e sostiene chi ha difficoltà cognitive ed è a rischio di perdersi.

A proporre la nuova soluzione è stato il gruppo di lavoro capeggiato da Ronan che non solo ha preso a cuore la sua richiesta di una soluzione ad hoc per continuare a fare le sue camminate e biciclettate in giro per la campagna irlandese, ma ha anche trasformato tale bisogno in una formidabile app in grado di indicare la strada del ritorno a casa e allo stesso tempo offrire indicazioni personalizzate per raggiungere “luoghi sicuri” identificati dallo stesso Ronan nella sua comunità dove poter chiedere aiuto in caso di emergenza.

Stiamo ancora elaborando i dati per l’edizione 2020 della Summer School ma, da quanto abbiamo raccolto finora, siamo più motivati che mai a perfezionare il nostro approccio di co-design insieme ai gruppi di lavoro di persone con demenza internazionali. “Il niente su di noi, senza di noi” non può essere solo un bello slogan, ma deve diventare una buona pratica da applicare in ogni ambito di intervento in cui si progettano soluzioni per chi affronta le difficoltà di una demenza o di una qualsiasi altra disabilità o malattia. Non ha davvero senso realizzare tecnologie, servizi, prodotti senza coinvolgere i loro destinatari nel processo creativo di progettazione e sviluppo. Senza il loro input, si rischia di generare risposte inadeguate se non addirittura inopportune.