Forse non tutti sanno che uno degli obiettivi della nostra associazione è quello di favorire la progettazione e lo sviluppo di tecnologie digitali che aiutano a migliorare la qualità della vita delle persone con demenza. E’ proprio grazie alla nostra visione hi-tech della malattia che dall’anno scorso facciamo parte del progetto europeo “Remind”, in collaborazione con 15 organizzazioni internazionali che si occupano di ricerca e sviluppo di tecnologie per le persone con disabilità. Il progetto è finalizzato allo scambio di conoscenze e buone pratiche tra ricercatori universitari, aziende private e associazioni di pazienti e familiari per facilitare lo sviluppo di nuovi principi e modelli di intervento ad alto contenuto tecnologico progettati per assistere le persone con difficoltà di memoria e altre disabilità cognitive acquisite.
Una delle iniziative più innovative del progetto è la Summer School che viene organizzata ogni anno in Toscana, nella bellissima villa medicea di Artimino. La Summer School è un programma di studio intensivo per ricercatori e dottorandi specializzati in varie discipline – ingegneria, computer science, psicologia, infermieristica, terapia occupazionale, ecc. – e quindi interessati ad approfondire lo stato dell’arte delle tecnologie eHealth e mHealth (vale a dire le tecnologie digitali per la salute) da vari punti di vista. I docenti della scuola sono in parte gli stessi ricercatori senior che fanno capo al Consorzio Remind e in parte sono esperti esterni che si occupano di aree di ricerca e sviluppo complementari o collegate alle tecnologie per la salute.
Nell’edizione di quest’anno, che si è svolta dal 25 al 28 giugno scorsi, la scuola ha dato ancora una volta prova di essere un luogo di apprendimento ad elevato contenuto multidisciplinare, spaziando da interventi di approfondimento sullo stato dell’arte della robotica all’intelligenza artificiale, dalla psicologia cognitivo-comportamentale applicata alle app mediche e di lifestyle, agli aspetti etici delle tecnologie basate su sensori e sulla raccolta di big data. Ma la vera novità del 2018 è stata quella di inserire nel programma due esperti sul campo d’eccezione: Ronan Smith e Kathy Ryan, ovvero due persone che hanno una diagnosi di demenza da Alzheimer e che attualmente rivestono rispettivamente il ruolo di Presidente e Vice-Presidente del Gruppo di lavoro irlandese delle persone con demenza (Irish Dementia Working Group).
Entrambi diagnosticati di demenza a esordio precoce, Kathy e Ronan hanno presentato al gruppo un’immagine della loro vita che va ben oltre lo stereotipo della persona con demenza a cui siamo abituati. Se da un lato è chiaro che la loro malattia, per quanto ancora in fase iniziale, è causa di cambiamenti significativi che richiedono una bella dose di adattamento e resilienza (ad esempio Ronan non guida più da tempo, Kathy ha sempre più difficoltà di memoria e percezione sensoriale), dall’altro lato è altrettanto evidente che nonostante la loro diagnosi, sia Kathy che Ronan continuano a condurre vite molto attive a tutti gli effetti. Per loro, le nuove tecnologie digitali potrebbero fare molto… se solo fossero progettate un po’ di più partendo da quello che chiedono le persone con demenza (vale a dire non solo i loro bisogni ma anche le loro aspettative e valori) e non da modelli teorici che tendono a riflettere i pregiudizi e falsi miti di esperti che non vivono la malattia sulla loro pelle.
Sembrerebbe un’idea scontata ma in realtà la maggior parte delle tecnologie in circolazione per le persone con demenza non è stata progettata partendo dalle richieste delle persone che convivono con la malattia, bensì dall’idea di bisogni quotidiani che altri hanno identificato per loro. Il che fa un’enorme differenza. Soprattutto quando si cerca di vendere tali soluzioni ai diretti interessati: è raro che una tecnologia del genere abbia successo perché solitamente non risponde alle esigenze o aspettative di chi le deve usare nella sua vita quotidiana (preferibilmente senza sentirsi troppo “disabile”). Io le chiamo tecnologie “Star Trek”: fantastiche ma decisamente poco realistiche.
Grazie al cielo in questi anni, soprattutto nel Regno Unito, molte organizzazioni hanno cominciato a introdurre il concetto di co-progettazione di beni e servizi destinati alle persone con varie patologie, tra cui la demenza. Per “co-pogettazione” si intende una modalità di coinvolgimento delle persone o pazienti in veste di esperti nel loro campo (ovvero convivere con le difficoltà della loro malattia 24 ore su 24). Tale coinvolgimento viene introdotto già nei processi di ideazione e progettazione e continua fino alla realizzazione e sperimentazione del prodotto o servizio. A differenza di un coinvolgimento oggettificante quale può essere un focus group o un sondaggio – in cui le persone sono appunto “oggetti da studiare” e non “soggetti da coinvolgere” – la co-progettazione prevede un rapporto paritario tra tutti i portatori di conoscenza – dall’ingegnere, al medico, al paziente, ecc. In questo modo tutti lavorano allo stesso obiettivo: la realizzazione di soluzioni efficaci ed efficienti che emergono dalla collaborazione di tutti gli attori coinvolti nel processo di realizzazione, a partire dagli utenti finali.
Partendo dal concetto di co-progettazione, abbiamo coinvolto Kathy e Ronan come esperti sul campo a tutti gli effetti durante la Summer School. Dopo aver presentato un quadro generale su cosa significa per loro convivere con l’Alzheimer e che funzione hanno le tecnologie nella loro vita quotidiana, sia Kathy che Ronan hanno presieduto a un paio di workshop con gli studenti per discutere e immaginare nuove tecnologie digitali per migliorare la loro autonomia e facilitare la comunicazione e l’inclusione sociale nelle loro rispettive comunità. Alcuni studenti hanno inoltre lavorato insieme a Miriam Brady, moglie di Ronan, alla progettazione di tecnologie per i caregiver familiari. Il contributo di Miriam è stato fondamentale per ricostruire una visione realistica dei bisogni e delle aspettative dell’altra parte del cielo in ambito Alzheimer e demenze- vale a dire il punto di vista di chi vive accanto e si prende cura di un coniuge con demenza. Al termine dei lavori, i sei gruppi di studenti hanno presentato altrettante proposte di progetto elaborate in base a quanto avevano raccolto dai riscontri dei nostri tre ospiti irlandesi. Il risultato è stato evidente: tutti i gruppi hanno dimostrato di aver aver compreso che qualsiasi soluzione futuribile deve partire non tanto dai sintomi specifici, quanto piuttosto dal bisogno di vivere una vita piena e di senso che tutti noi conserviamo anche quando ci ammaliamo di demenza.
La Summer School è stata per noi il primo step di un lungo percorso che stiamo costruendo insieme ai nostri partner di progetto e a organizzazioni italiane e internazionali che condividono i nostri valori in ambito tecnologico. Partire dalla persona, da ciò che è importante per lei o lui per convivere meglio possibile con la sua diagnosi, è un modus operandi apparentemente rivoluzionario in ambito demenza. Eppure qualcosa si sta muovendo: in Europa la co-progettazione sta diventando un approccio sempre più diffuso anche tra i tecnologi. Questo mi dà speranza…
La Summer School si è conclusa con dei grandissimi sorrisi da parte di tutti. Avere con noi Kathy e Ronan e Miriam, immaginare insieme a loro nuovi modi per convivere meglio con la demenza, è stato per tutti un’esperienza incredibilmente emozionante. E’ per questo che proprio in questi giorni il nostro presidente novilunico, Cristian, si trova a Chicago per parlare della nostra Summer School alla conferenza internazionale dell’Associazione americana per l’Alzheimer (AAIC). A ottobre saremo anche a Barcellona, alla conferenza annuale di Alzheimer Europe, per presentare un poster su quanto abbiamo imparato ad Artimino. Piccoli novilunici crescono…