Un piccolo incoraggiamento a chi ha ricevuto una diagnosi di demenza a esordio precoce

papà e figlio

Inauguriamo il nuovo anno con un articolo dedicato a chi ha appena ricevuto una diagnosi di demenza a esordio precoce. Come osserva il Dott. Giuseppe Micheli nell’articolo “Il caso dei giovani anziani con demenza” (pubblicato nel libro “Le demenze. La cura e le cure”), ad oggi manca una “grammatica della sostenibilità sociale” per le persone con demenza che hanno meno di sessant’anni. Al momento, tutto quello che è disponibile nel nostro Paese in ambito demenze è calibrato su persone molto più anziane e che vivono fasi della malattia avanzate.

Per chi invece ha 40 o 50 anni, è agli esordi di una qualsiasi forma di demenza, e sta ancora crescendo figli, andando a lavorare, portando avanti mille progetti e impegni che occupano giornate di 36 ore, pagando mutui e debiti… per queste persone sia le informazioni che il supporto necessari ad affrontare tutte le complessità della malattia sono una rarità.

Purtroppo non sappiamo esattamente quante siano le persone che vengono diagnostica di demenza a esordio precoce nel nostro Paese. Il fatto che non ci siano dati ufficiali al riguardo è già un indice di quanta poca attenzione ci sia nei confronti di chi ha questa diagnosi. Tuttavia sappiamo per esperienza diretta che chi si ritrova a vivere simili circostanze è molto più penalizzato rispetto ad altri. Lo sappiamo con certezza perché molti dei familiari che fanno parte dei nostri gruppi di auto mutuo aiuto sono sposati o hanno un genitore con una demenza a esordio precoce. Lo sappiamo anche perché in questi anni abbiamo incontrato diverse persone “giovani” con una diagnosi di demenza che ci hanno detto di sentirsi abbandonate e incomprese da tutti. Anche dai più insospettabili.

L’articolo che segue vuole essere un incoraggiamento a “ripartire” a chi si ritrova in queste circostanze. Se non avete voglia di leggerlo, ecco il messaggio in sintesi:

E’ normale provare così tanta paura e disperazione alla luce della diagnosi che avete ricevuto. Anche se adesso può sembrarvi impossibile, ci sono tante cose che potete fare per tenervi stretta la vostra vita il più a lungo possibile. Il fatto di conoscere la vostra malattia vi mette nella condizione di poter agire, informarvi, imparare a prendervi cura di voi stessi e dei vostri cari, e quindi a impedire a chi non vi capisce di rubarvi la speranza.

Buona lettura,

Eloisa

Affrontare l’impatto della diagnosi

“Posso assicurarvi che, per quanto vi sentiate male all’inizio, è ancora possibile vivere una vita di qualità anche quando si ha una demenza. Forse non sarà la vita che avevate prima, ma è una vita ricca di promesse…” (James McKillop 2005 in “Still Going Strong”)

Fare i conti con una diagnosi di demenza è un’esperienza che traccia una linea di demarcazione profonda tra il prima e il dopo la malattia e richiede una quantità enorme di energie per “elaborare i dati” e reagire alla sofferenza che ne deriva. Molte persone con demenza esordio precoce che parlano apertamente della loro malattia dicono che l’approccio migliore per non sentirsi schiacciati dalle circostanze è quello di cercare di comprendere il più possibile la propria diagnosi, dalla comparsa dei primi sintomi all’accettazione di una nuova condizione di vita.

Nessuno di loro crede che una demenza sia facile o semplice da vivere sulla propria pelle. Anzi, di solito raccontano di quanti ostacoli e dubbi hanno dovuto superare, quanti motivi di insoddisfazione, delusioni, cambiamenti ed emozioni, spesso contraddittorie e intense, hanno incontrato sulla loro strada prima di arrivare al punto di rendersi conto che avevano una scelta: ripartire o abbandonarsi alla malattia.

Le loro testimonianze spesso parlano di quanto accettare una diagnosi sia sopratutto una grande operazione di coraggio nei confronti della vita – è un moto di speranza che ambisce a vivere anche trasformazioni positive per se stessi e per i propri cari:

La lotta allo stigma inizia da voi

“Fin dai primi giorni, una diagnosi di demenza può causare isolamento ed esclusione sociale, aggravando le difficoltà della persona che non solo deve fare i conti con il trauma e la paura per il suo futuro, ma deve anche affrontare il lutto della continua perdita. Lo stigma derivante dagli stereotipi associati alle fasi più avanzate della malattia è indice che le persone non sanno come relazionarsi con qualcuno che ha una demenza. Ecco perché chi ne è affetto spesso rimane isolato con le sue paure.” (Christine Bryden, “Who will I be when I die?” Christine convive con una diagnosi di demenza dall’età di 46 anni)

A fronte di una diagnosi di demenza, la sfida a ritrovare la forza per andare avanti è ostacolata da mille miti e malintesi alimentati da uno stigma pesantissimo che avvilisce sia chi si ammala che i suoi cari.

Uno degli stereotipi più diffusi è appunto quello di pensare che la malattia colpisca solo in età avanzata. Ecco perché quando si comunica a qualcuno di avere una demenza a esordio precoce ci si confronta spesso con reazioni che mettono in dubbio la diagnosi. Non a caso, uno dei commenti più frequenti che le persone con demenza più giovani si sentono dire è “Non mi sembri una persona con demenza”.

“E come dovrebbe sembrare secondo te una persona con demenza?”, rispondono di solito attivisti come Kate Swaffer o Kathy Ryan che tutti i giorni lottano contro questo pregiudizio. In realtà – e ogni medico ve lo può confermare – le esperienze della malattia sono tanto diverse quante sono le persone malate.

Quello che noi vediamo ogni giorno stando vicino ai nostri amici novilunici è che lo stigma costruisce muri altissimi che separano le persone proprio nel momento di maggior bisogno. Questo significa che di fronte alla notizia della diagnosi, alcune relazioni, anche con le persone più vicine, tendono a cambiare. Ad esempio, alcuni amici o parenti si allontanano perché non sanno come comportarsi o cosa dire a chi si ammala. Altri reagiscono rivolgendosi solo al partner o al coniuge di chi è malato, dando per scontato che non sia più in grado di comprendere quello che si sta dicendo. In questo modo, non solo non aiutano chi convive con una diagnosi, ma lo fanno sentire ancora più solo e incompreso.

Sono diventato profondamente sensibile alla tipica risposta stereotipata che ricevo da alcune persone non appena scoprono che ho l’Alzheimer. Spostano il loro sguardo e attenzione verso chiunque mi sia accanto. E’ come se il venire a conoscenza della malattia mi rendesse invisibile… Questo accade con medici, commessi di negozio, parrucchieri, addetti ai reparti frutta e verdura, tecnici che riparano gli elettrodomestici, e molti altri…. Dovete però chiedermi se capisco. Guardatemi negli occhi. Assicuratevi che sto prestando attenzione a quello che state per dire… Se vi state chiedendo se capisco o no, provate a coinvolgermi nella conversazione. Se vedete che ho difficoltà a capire, usate esempi e paragoni che possono aiutarmi perché a me familiari… (Richard Taylor, Alzheimer’s from the inside out, 2007)

Il doppio onere di dover reagire al trauma della propria diagnosi e allo stigma che ne consegue può indurre a perdersi d’animo e allontanarsi dagli altri. L’isolamento però potrebbe peggiorare la situazione perché, per quanto possa servire a proteggersi da un carico emotivo troppo grande, ci allontana anche da chi e da cosa potrebbe aiutare a rimettere insieme i pezzi del nostro puzzle, giorno dopo giorno.

Ecco perché in questi casi diventa importante – se non cruciale – fare il possibile per parlare apertamente della propria malattia, dell’impatto che ha sulle nostre abitudini e capacità, almeno con le persone che mostrano una comprensione e un rispetto profondi per quello che state vivendo. E’ proprio partendo da queste persone che è possibile cominciare condividere non solo le proprie angosce e paure causate dalla diagnosi, ma anche il bisogno di sentirsi accettati e compresi al di là della malattia e quindi di coltivare tutto ciò che è per voi importante nella vostra vita.

SloganDAI
Lo slogan di Dementia Alliance International (DAI), l’unica associazione al mondo costituita da persone con demenza. L’adesione a DAI è gratuita e permette di accedere a un network di persone in tutto il mondo, inclusa l’Italia. Per maggiori informazioni: https://novilunio.net/dementia-alliance-international-cerca-nuovi-membri-in-italia/

Non scoraggiatevi quando incontrate persone che sono in diniego o che sono così impaurite dalla malattia da non riuscire ad accettare la vostra nuova realtà. La loro reazione ha poco a che vedere con voi personalmente e molto invece con la loro difficoltà ad accettare quello che una demenza comporta. Se necessario, aiutateli a superare i loro pregiudizi. Il passaparola per cambiare la cultura delle demenza inizia dai protagonisti – ovvero da chi la malattia la conosce dal di dentro.

La conoscenza è potere

Il giorno della diagnosi presi la decisione che non mi sarei data per vinta senza combattere fino in fondo. Nessun professionista o medico può dirmi quanti giorni ho ancora da vivere – solo Dio può saperlo.” (Kathy Ryan, Ho 52 anni, ho l’Alzheimer e scelgo di vivere)

“Il mio consiglio alle persone che hanno la mia malattia è di non mollare mai, di utilizzare tutto il supporto possibile che viene offerto senza però permettere che eroda la propria dignità e autostima. E soprattutto consiglio di ignorare le persone che cercano di sminuirvi o di minimizzare le vostre disabilità.” (Kate Swaffer, What the hell happened to my brain, 2015)

Uno dei comportamenti più pericolosi, incoraggiati dalla nostra cultura attuale della demenza, è quello di incoraggiare chi si ammala a rassegnarsi passivamente al suo destino, facendogli credere che non può fare nulla per contrastare o gestire meglio i sintomi della sua malattia. In realtà, come per tutte le altre malattie, anche per la demenza vale una regola fondamentale: sapere è potere. Una diagnosi permette infatti di sapere contro che cosa stiamo lottando e di concentrare tutte le nostre energie per coltivare la nostra salute il più a lungo possibile.

Spesso al momento della comunicazione della diagnosi non si vengono date sufficienti informazioni riguardo alla malattia e ai suoi sintomi. Per superare questi ostacoli è necessario trasformarsi in “pazienti attivi”, cercando di essere informati e coinvolti su ciò che vi sta accadendo, parlandone apertamente con gli specialisti che vi seguono e chiedendo assistenza rispetto a tutti gli eventuali motivi di preoccupazione e incertezza.

L’obiettivo è quello di comprendere il meglio possibile le caratteristiche specifiche della propria malattia – ad esempio, è Alzheimer o un’altra forma di demenza? Quali deficit e/o disturbi sono stati rilevati? Queste informazioni sono il punto di partenza per elaborare strategie di compensazione che permettano di mantenere il massimo livello di normalità e controllo sulla propria vita. Sulla base di queste strategie, sarà inoltre possibile prepararsi a eventuali difficoltà e cambiamenti futuri.

Ecco qualche spunto da cui partire per diventare “pazienti attivi”:

  • L’Associazione Alzheimer Riese Pio X ha nel suo sito una sezione intitolata “Che fare?”, scritta per le persone con demenza e ricca di tanti consigli utili e informazioni. Ecco il link: https://www.alzheimer-riese.it/che-fare
  • Se la vostra è una diagnosi di demenza frontotemporale, vi consigliamo l’opuscolo informativo realizzato dall’Associazione Italiana Malattia Frontotemporale di Brescia. E’ stato scritto per i familiari ma è utile anche a chi ha ricevuto questa diagnosi. L’opuscolo è scaricabile a questo link.

Nei prossimi mesi contiamo di tornare a più riprese su questo tema – c’è ancora tantissimo da dire e da fare… Per oggi concludiamo con questo video che spiega tutto in poco più di 2 minuti: