Oggi pubblichiamo un altro articolo di George Rook, attivista con demenza britannico che oltre a contribuire alle attività di diverse organizzazioni inglesi, tra cui DEEP e l’Alzheimer Society, da diverso tempo scrive le sue riflessioni sul suo blog “George Rook: Living with dementia as well as I can” (ndt. George Rook: Vivo con la demenza meglio ce posso)
L’articolo di oggi è dedicato a uno dei pregiudizi più feroci che riguardano le demenze: il messaggio (implicito o esplicito) di devastazione o distruzione che viene dato a chi riceve questa diagnosi (e ai suoi familiari). Secondo George, non solo è un messaggio dannoso, ma è anche fuorviante. E’ dannoso perché uccide qualsiasi speranza e motivazione di continuare a vivere la propria vita nel miglior modo possibile – come sta facendo lo stesso George, ma anche Simona che ha tradotto e commentato il testo. E’ un messaggio fuorviante perché sentirsi devastati o distrutti non è l’unico stato d’animo che si prova quando si riceve una diagnosi. Spesso non è nemmeno l’emozione più importante: oltre a George e Simona, molte persone con demenza in questi anni ci hanno raccontato che, quando hanno saputo di avere una demenza, la loro priorità non è stata quella di tirare i remi in barca, bensì quella di fare chiarezza per continuare a vivere la propria normalità alla luce di quello che stava succedendo.
So benissimo che molte persone che leggono questo blog stanno pensando che le persone con demenza non sono in grado di riflettere sulla loro condizione, che fin dagli inizi della loro malattia mancano della consapevolezza necessaria a rendersi conto di cosa sta succedendo. Ma non è più così, o comunque lo è sempre meno perché le diagnosi di disturbo neurocognitivo o demenza oggi vengono comunicate in fasi molto più lievi della malattia rispetto a ieri. Grazie al miglioramento della pratica diagnostica i cambiamenti neurocognitivi associati a una demenza vengono intercettati molto prima rispetto a qualche anno fa. Soprattutto se le persone sono ancora relativamente giovani. Nella fase iniziale o lieve della demenza, come quella che stanno vivendo George o Simona, le difficoltà cognitive sono minime rispetto al resto delle risorse che ogni persona porta dentro di sé. Sono risorse che hanno bisogno di essere valorizzate e messe in gioco – e non mortificate da messaggi talmente negativi da demotivare le persone a parlare con gli altri di quel che sta succedendo o di chiedere aiuto per prendersi cura di se stesse.
E’ davvero ora che la retorica della disperazione associata alle demenze, lasci il posto a una nuova cultura più positiva e costruttiva che aiuta le persone e le loro famiglie ad andare avanti nel miglior modo possibile. La vita è sempre adesso.
Buona lettura… e grazie ancora a Simona per la traduzione e le riflessioni finali!
Eloisa
Devastazione?
Devo essere uno dei fortunati.
Ho avuto la mia diagnosi. Più o meno come previsto. Età 64.
Sono tornato a casa.
Ho preso nuove pillole: Donepezil.
E il mio cervello è ripartito.
In realtà, in modo piuttosto magico, si è appena ripreso dalla letargia, dalla lentezza e dalla confusione.
Nel giro di 48 ore ho scoperto che riuscivo a ricordare le parole più rapidamente e mi sentivo di nuovo pieno di energia.
(Sì, avevo la pressione del sangue molto bassa e sono crollato, ma sono passato al dosaggio serale e tutto è andato bene. Tranne i sogni.)
Sono stato devastato dalla diagnosi?
No. Mi ha rassicurato il fatto che c’era una ragione per i cambiamenti che negli anni si erano gradualmente insinuati nella mia vita.
Ho pensato che a quel punto la mia vita fosse finita?
No. Ma sapevo che stava cambiando. Non dall’oggi al domani, ma in modo sottile, lento, e quelle pillole forse potevano spostare la progressione per un po’ più in là nel tempo.
Davvero, non sapevo cosa aspettarmi. Avevo appena smesso di lavorare, senza dubbio in parte a causa dei sintomi, ma anche perché avevo denunciato abusi sul posto di lavoro. E non avevo l’energia o la prontezza del cervello e del corpo per ritornare al lavoro.
Quindi, nella mia non-devastazione, ho pensato che avrei dovuto sistemare un po’ le cose. Ad esempio aggiornare il testamento e informarmi sull’eventualità di stipulare una procura notarile. E poi volevo andare in Francia per due mesi in camper.
È stata una vacanza bellissima. Abbiamo guidato, riposato, camminato, pedalato. Abbiamo visitato i vecchi villaggi e i vivaci mercatini. Città storiche e rive lussureggianti.
Quando siamo tornati ero così non-devastato che ho preso contatto con l’organizzazione “DEEP” (“Dementia Engagement and Empowerment Project”), con l’Alzheimer’s Society e in altre iniziative dementia-friendly locali… e così mi sono ritrovato a fare advocacy per migliorare la vita di altri che convivono con la demenza.
Ho ignorato il consiglio devastante secondo cui avrei dovuto evitare rischi, non avrei dovuto stancarmi per rassegnarmi a fare semplicemente di meno.
(In effetti, tutto questo sarebbe stato davvero un po’ devastante.)
Ero ancora io. Con le mie parti del corpo fisicamente decadenti e adesso anche con un cervello decadente. Ma ogni giorno che passava era un giorno in più nel viaggio della vita.
Il viaggio della vita di ognuno di noi è diverso. In veste di studente di letteratura e di persone, mi affascina immaginarmi vivere la vita di qualcun altro. Atticus Finch aveva ragione. Mettiti nei panni degli altri prima di giudicarli. (Ndt. Atticus Finch è uno dei protagonisti del libro “Il buio oltre la siepe”; a un certo punto del libro dice: “Non riuscirai mai a capire una persona se non cerchi di vedere le cose anche dal suo punto di vista”).
Meglio ancora, non giudicare gli altri. Giudica solo le loro azioni.
E scoprirai che ci sono ragioni per quello che fanno, per come si sentono e per come reagiscono alla demenza.
Ognuno di noi porta con sé il bagaglio di una vita. È questo bagaglio che decide chi siamo.
Quello che per qualcuno è gioia per qualcun altro può essere orrore.
Potresti essere devastato dalla demenza se prima [ndt. della diagnosi] eri perfettamente in forma, avevi successo in tutto ciò che facevi e non avevi motivo di essere negativo.
Io non ero così. Nemmeno molti altri.
Quindi per me è solo un’altra fase. Ho lasciato la strada principale per i viottoli di campagna che si snodano tra siepi e campi. Potrei ancora prendere treni e autobus o percorrere strade, ma scelgo di non farlo perché adesso mi spaventano.
Beh, non gli autobus. Vedo raramente autobus, e solo in lontananza. Ultimamente ho un sogno ricorrente in cui non riesco a trovare quale autobus devo prendere per tornare a casa. Cosa ci leggi? (lascia perdere)
Cos’è la devastazione?
“La devastazione si riferisce a una distruzione o un danno grave e diffuso. Ad esempio: Ieri l’enorme esplosione di una bomba ha causato caos e devastazione nella città. Sinonimi: distruzione, rovina, scempio, devastazioni”. (dal Dizionario “Collins”)
Beh, immagino che la malattia che avvolge sostanza grassa attorno ai tuoi neuroni, e impedisce al tuo cervello di funzionare, potrebbe essere descritta come devastazione.
Rovina ✔ Distruzione ✔ Devastazione ✔ Disastro ✔
Sì, ma non avviene dall’oggi al domani (a meno che non sia dovuto a un trauma).
È più lento di una lumaca, scivola nel tuo cervello, avvolgendosi attorno ai fili e alla materia, spremendo via lentamente la vita che passa attraverso i tuoi neuroni.
Quindi poniamoci un’altra domanda: quand’è che questo processo terribilmente lento diventa devastante?
Quando inizia la devastazione? E cos’è la non-devastazione?
Credo che la devastazione sia quando tutto è rovinato, distrutto, devastato… e questa è la morte.
Se stai ancora respirando, pensando, ascoltando, sentendo, muovendoti… sicuramente non sei devastato.
E chi in questa vita non è sulla via verso la morte? O la devastazione?
(Ignora per ora qualsiasi idea di aldilà che potresti avere. Sei ancora fisicamente morto, floscio, poi rigido, poi putrescente.)
……
E allora perché ricevere una diagnosi di demenza è devastante?
La bellezza è negli occhi di chi guarda.
La devastazione è nei sentimenti di chi riceve la diagnosi.
Se ti viene detto che la tua vita è ormai finita e che ti devi preparare a morire… quello si che è devastante (e sbagliato).
Se ti viene detto che hai una malattia che causa i tuoi sintomi, questa è solo informazione.
Non sono d’accordo né con il mentire né con il nascondere la verità. Non esiste una cura. Esistono pochissime cure per molti sottotipi di demenza. In realtà non c’è speranza che tu possa vivere fino a quando avrai 200 anni.
Ma nessuno ha questa speranza.
C’è qualcuno che sa quando morirà? No. Continuiamo ad alzarci ogni giorno finché non possiamo più farlo.
E questo è il trucco. Continua a vivere. Continua a godere di tutto ciò che puoi.
Scrivi ciò che ti dà piacere. Fallo. Guardalo. Annusalo. Ascoltalo. Sentilo.
Tu sei ciò che provi. Dolore, piacere, tristezza, gioia… tu sei qualunque cosa provi.
….
Allora dottore, non mi dica che la mia vita è finita, che ho una malattia devastante, che devo prepararmi alla morte.
Mi dica di uscire e vivere. Perché lei non sa meglio di me quando morirò.
È meglio aver amato e morire che aver vissuto e non aver amato.
George Rook
Il commento di Simona Ferrari
La carissima Eloisa mi ha chiesto di commentare questo testo di George Rook: ho evidenziato in grassetto le frasi per me speciali, che condivido pienamente. Anch’io, come George, ho avuto la fortuna di avere una diagnosi piuttosto veloce, dopo quattro/cinque mesi di esami di controllo. E anch’io come lui non mi sono sentita devastata, ma ringrazio Dio tutte le mattine che apro gli occhi… (a volte penso con le frasi delle canzoni) … e sono ancora qua, eh già (Vasco Rossi).
“CONTINUA A VIVERE”, scrive George Rook.
La mia diagnosi l’ho avuta a 47 anni e adesso che ne ho 51, mi sento ancora abbastanza in forma, anche se scricchiolo un po’ al mattino, come tutti i cinquantenni, penso… se non altro ho dato un nome ai dolori articolari che avevo già da un po’!
La neurologa che mi ha spiegato la diagnosi mi ha detto di fare ciò che amo ed evitare ciò che trovo troppo pesante. Mi ha anche detto di riposare quando sono stanca… questo consiglio non è difficile per me perché quando “sgarro”, o prendo troppi impegni, è il mio corpo che guida: se mi gira la testa oppure mi vengono i crampi so che devo riposare. Per evitare brutte figure, spesso devo dare spiegazioni perché mi devo fermare, ma pazienza! Qualcuno mi ha detto che ho fatto male a voler sapere della mia malattia, perché tanto la cura non esiste! L’ignoranza di certi commenti o sorrisini fuori luogo è devastante, non la malattia! (piccolo sfogo). Volevo solo stare un pochino meglio, tutto qui!
E ci sono riuscita, anche grazie ai tanti consigli di Novilunio, ma non solo! Ad esempio sull’organizzazione della settimana e su come affrontare a piccoli passi per volta i miei impegni. Dalla diagnosi in poi è iniziata la mia seconda vita, che è ancora bella intensa… un po’ perché ho deciso di continuare sia a lavorare per la mia famiglia, che mi dà tante gioie e stimoli, e sia fare un po’ di volontariato, che mi aiuta e mi dà soddisfazione.
La vita è ancora più preziosa quando hai problemi di salute. Le piccole gioie della vita le apprezzi ancora di più! Sto cercando di trovare un equilibrio tra la voglia di vivere e di fare e la stanchezza e il dolore muscolare. Al momento vince ancora la voglia di stare in famiglia, di vivere, di viaggiare, di camminare, di fotografare la natura, di fare due chiacchiere con le amiche, di vivere l’arte, di andare al cinema, a teatro; da qualche mese leggendo di musicoterapia ho scoperto che la musica classica aiuta tanto e mi “ricarica” il cervello… mica male!
W LA VITA!! FORZA AMICI, NON FACCIAMOCI PRENDERE DAL TORPORE E VIVIAMO PER CIO’ CHE AMIAMO!!! C’E’ ANCORA UN FUTURO!!
Simona Ferrari