Mi fa particolarmente piacere poter scrivere di Keith Oliver.
Da una parte, perché ho avuto l’occasione di ascoltarlo parlare prima ancora di sapere chi fosse. Dall’altra, perché l’incontro con Keith è avvenuto in un momento in cui si stava definendo pienamente la mia passione per le neuroscienze, la neuropsicologia e, in particolare, per l’universo delle demenze.
Nel maggio del 2019 mi trovavo all’università di Keele, nella cittadina di Newcastle-under-Lyme (Staffordshire, Inghilterra) per un tirocinio. Contemporaneamente, la mia ragazza si trovava a Canterbury (Kent, Inghilterra), anch’essa partita per un’esperienza Erasmus+. La bellissima cornice di Waterstones – la maggiore catena di librerie britannica – di Canterbury avrebbe ospitato Keith Oliver in quanto autore di un libro che parlava della sua esperienza con la demenza.
Keith Oliver, ex-preside di una scuola e consulente presso diverse strutture scolastiche nella provincia del Kent, è uno degli attivisti più dinamici in materia di demenza nel Regno Unito e a livello internazionale. Nel 2010, a soli 55 anni, Keith ricevette una diagnosi di malattia di Alzheimer con componente vascolare.
Nel 2019 ha pubblicato “Dear Alzheimer’s. A Diary of Living With Dementia” (ndt. Caro Alzheimer. Diario della vita con la demenza) con la casa editrice Jessica Kingsley Publishers. Il libro lo potete trovare in lingua inglese in formato Kindle o cartaceo su Amazon ed è una lunga testimonianza sotto forma di diario, tenuto per circa sette anni, in cui Keith descrive cosa significa vivere con una diagnosi di demenza di tipo Alzheimer.
Una delle caratterisiche che fanno del libro di Keith una lettura formidabile è il modo in cui ha scelto di raccontare la sua storia, che presuppone un “venire allo scoperto” mettendosi completamente a nudo di fronte al lettore, a cui viene concesso osservare da vicino il succedersi della sua vita attraverso la malattia.
Un’altra caratteristica che rende il suo libro una testimonianza unica nel panorama delle pubblicazioni autobiografiche sulla demenza è il modo in cui ha scelto di salutare ogni anno per dare il benvenuto a quello nuovo. Ogni anno, dal momento della sua diagnosi nel 2010 fino al 2017, Keith ha infatti scritto una lettera alla malattia di Alzheimer (da qui il titolo del libro “Dear Alzheimer’s”, “Caro Alzheimer”), rivolgendosi direttamente alla sua diagnosi in modo forte, ironico e sorprendente.
Abbiamo deciso di intervistare Keith per i nostri lettori Novilunici e abbiamo avuto il suo permesso per tradurre la prima e l’ultima delle lettere scritte alla malattia di Alzheimer, per invitarvi a vivere “da dentro” la sua esperienza (trovate l’intervista dopo le due lettere che seguono tratte dal libro di Keith)
Lo ringraziamo tantissimo per il tempo dedicatoci. Potete trovare un piccolo riassunto della storia di Keith e il testo integrale della prima lettera dedicata all’Alzheimer in un blog dell’Alzheimer’s Society a questo link (purtroppo solo in lingua inglese).
Omar Ferro
lA Prima lettera DAL LIBRO DI kEITH
Cominciamo con la prima lettera, datata “Sometime in 2010”, ovvero “a un certo punto nel 2010”.
Caro Alzheimer,
Ho realizzato che mi hai osservato a lungo, seduto sulle spalle di mia madre, mentre lei stessa sviluppava i tuoi primi sintomi con cui cercavi di derubarla della sua personalità e del suo amore. Hai fallito su entrambi i fronti, poiché nonostante se ne sia andata, non sei riuscito a prenderti chi lei era nel profondo.
Una volta tornato a scuola, dopo l’appuntamento con il neurologo, ti ho riconosciuto qui insieme a me. Non dirò che ci sono dei lati positivi nell’incontrarti, perché non ce ne sono. Spero che la nostra relazione sia qualcosa che io riesca a gestire. Riconosco, inoltre, tutti quei sintomi iniziali che all’inizio potevo mascherare senza problemi e, davvero, ammiro la tua tenacia nel provare costantemente ad avere la meglio su di me. Immagino abbia detto tu al mio neurologo di consigliare a me e mia moglie Rosemary di cancellare la nostra vacanza annuale in Australia. Spero tu riconosca il mio atteggiamento di sfida nel dire sia a lui che a te: “Andiamo lo stesso, carogna!”. Sospetto che ci accompagnerai in questo viaggio; spero di no ma comunque farò del mio meglio per renderti inefficace.
Perché non esci dalle nebbie profonde dove ti annidi? Perché non hai il coraggio di rivelarmi come riesci a farmi sentire traballante, barcollante e incapace di concentrarmi nei giorni in cui cerchi di derubarmi, come se fossi ubriaco fradicio sul ponte di una nave privato del piacere di trovare conforto nella sicurezza di un porto dove attraccare? Ciononostante, la sbronza che lasci dopo il tuo passaggio non dura per sempre. Dopo aver combattuto contro di te, il sole porta sollievo, e sempre lo porterà.
Riconosco che questi sono i primissimi giorni della nostra relazione e spero di vincere più battaglie possibili contro di te negli anni a venire.
Il tuo servitore poco ubbidiente,
Keith
L’ultima lettera del libro di Keith
L’ultima lettera del libro è datata “A un certo punto nel 2017”, ovvero 7 anni dopo l’inizio della sua esperienza di malattia.
Caro Alzheimer,
Nel sedermi e cercare di scrivere quest’ultima lettera, voglio ricordarti che tutte le parole scritte nei miei diari e nelle mie lettere sono scritte da me, non sono co-prodotte e non sono pensieri messi nero su bianco da qualcun altro. Nonostante sia per me difficile rendere i pensieri in parole – sia a voce che scritte – nessun altro se non me stesso potrebbe concepire certi pensieri e certe parole. Talvolta potresti pensare che me ne vada di soppiatto per rintanarmi da qualche parte a leccarmi le ferite generate dal mio stesso impietosimento; “caro Alzheimer”, come stai realizzando attraverso queste lettere e per il fatto di risiedere nella mia testa e nella mia vita, questo semplicemente non è il mio stile.
Uno degli sforzi più grandi che faccio per convivere bene con te è concentrarmi sul vivere alla giornata, pianificando una o due cose positive per i giorni a venire e facendo del mio meglio per assicurarmi che queste succedano. Spesso, ciò avviene a scapito dei tuoi tentativi di minare l’una e l’altra cosa.
Sono consapevole che tu, la depressione e Malacoda – l’apprendista del Diavolo del libro di C.S. Lewis “Le Lettere di Berlicche2”(Le Lettere di Berlicche, 1998) – siete costantemente in agguato come una triade terribile di nebbia e distruzione. Spero solo che dopo che aver letto quest’ultima lettera tu e i tuoi oscuri alleati possiate tornare nei vostri torbidi abissi. Sono energizzato e prendo ispirazione da coloro che tengono a me in modo sincero. Nei loro occhi e nei loro cuori vedo e sento empatia, non pietà ma incoraggiamento e un generoso senso di compassione positiva. Una strategia chiave che utilizzo e che utilizzerò per contrastarti è quella di trovare quattro commenti positivi per ogni commento negativo che ricevo, così da ristabilire il loro equilibrio e rafforzare i commenti che mi danno amore e sincerità. La verità sulla vita e sulla fede risiede nel mezzo di tutto questo.
Sono consapevole che, seduto sulle mie spalle, non resisti al desiderio di spiare cosa scrivo e che cerchi di rendere vani tutti i miei sforzi. Sono tuttavia certo che sei stato testimone di quanto terreno ho guadagnato su di te da quando hai residenza fissa nella mia testa. Alcune delle cose guadagnate in questi anni sono: un miglior accesso ai servizi diagnostici nel Regno Unito; tutti gli sforzi della National Dementia Action Alliance3; le comunità che si sono unite contro di te creando le prime Dementia-Friendly Communities4 (Comunità Amiche delle persone con Demenza) coinvolgendo tutti i settori e i tutti i gruppi di età; il lavoro fatto da Young Dementia Network5, che ha galvanizzato, in un modo impensabile anche solo nel 2010, gruppi di professionisti e tanti pazienti a beneficio delle persone con una diagnosi di demenza a esordio precoce; infine, l’incredibile sforzo di tutti coloro che hanno contribuito a DEEP6, un progetto che ha lasciato una traccia positiva lungo tutto il corso del libro. Ma, “Caro Alzheimer”, sappiamo che tutto questo progresso è fragile in molti aspetti e che, purtroppo, avanza a macchia di leopardo in tutta la nazione. Tuttavia, posso in tutta sincerità augurare che domani sia sempre un giorno migliore per coloro che condividono la loro vita con te.
Solitamente, i finali felici e quelli che recitano “e vissero per sempre felici e contenti” non sono adeguati quando tu sei il principale protagonista della storia. Detto questo, se all’inizio della nostra relazione nel 2010 qualcuno mi avesse detto che oggi avrei fatto quello che sto facendo ora e mi avesse detto cosa avrei raggiunto in questi 7 anni, avrei di sicuro accettato a mani aperte. Tu mi dici che sei un servitore della morte e ad un certo punto il tuo capo verrà a prendermi, ma non è in tuo potere decidere quando sarà quel momento. C’è una forza molto più potente e positiva che lo determinerà, come dimostrato dalla mia crescente fede. Quando le luci si affievoliranno, sono sicuro che lascerò la “festa” prima dell’ultimo giro di valzer.
Da allora a questo momento è stato un lungo viaggio, ma spero, “Caro Alzheimer”, di avere ancora molta strada da percorrere. Ascolta le mie parole, leggi le mie parole, “Caro Alzheimer”, perché finirò di scriverle prima che tu finisca di leggerle. Fino a quel momento voglio rimanere ancora un po’ sotto la luce del sole.
Un gelido saluto,
Keith
IN CONVERSAZIONE CON KEITH OLIVER
A cura di Omar Ferro
Dopo averla sentita presentare il suo libro nel 2019, sono rimasto affascinato dall’idea di documentare la sua esperienza sotto forma di diario. Come mai ha scelto questo metodo narrativo?
Ho sempre tenuto un diario privato e, come preside, ho sempre tenuto un diario anche per le questioni inerenti il lavoro. Volevo fare qualcosa di diverso e scrivere un libro che si discostasse da quelli che già circolavano. Ci sono diversi e ottimi libri scritti da persone con una diagnosi di demenza. Ad esempio, il libro “Somebody I Used to Know7” di Wendy Mitchell, una mia cara amica, il libro “Dancing with Dementia8” di Christine Bryden e anche il libro “What the Hell Happened to My Brain9” di Kate Swaffer. Tutti questi libri sono dei memoir di cosa significa vivere con una diagnosi di demenza. Quando la casa editrice mi chiese di scrivere un libro – non fui io ad approcciarmi a loro ma avvenne il contrario – proposi qualcosa di differente. All’epoca stavo leggendo i libri e altre opere di Alan Bennett, uno scrittore, umorista e sceneggiatore britannico. Lui è solito tenere un diario nel suo lavoro e da lì è nata l’idea di scrivere il mio libro. Volevo dimostrare che in ogni periodo e con il giusto supporto – che si vede emergere in maniera molto forte nel mio libro – anche chi ha una diagnosi di demenza può fare molte cose. È stato un modo per andare contro l’opinione comune che vede le persone con demenza come fondamentalmente inattive. Nella realtà dei fatti illustrata dal diario non è così. Ma è necessario segnalare tutte le cose che si possono fare e spiegare come accedere ai vari servizi. Non c’è altro modo. Inoltre, lo stile epistolare mi ha dato la possibilità di far entrare i lettori nella mia vita in un modo molto personale ed intimo. E lo è perché un diario viene scritto per se stessi, non per essere condiviso con gli altri. È interessante notare che quando, circa 3 anni fa, ho cominciato ad organizzare i vari pezzi del libro per l’impaginazione, sono usciti molti altri libri (non sulla demenza) sotto forma di diario. Quindi, al momento è un genere che sta trovando molto spazio.
Come le è venuta l’idea di scrivere delle lettere indirizzate alla malattia di Alzheimer?
Volevo provare ad entrare nella mia testa e capire come fosse la mia relazione con la malattia. Ho pensato lungamente e criticamente a questo tipo di formato. Nel 2010, volevo fossero indirizzate a me e firmate dall’Alzheimer. Ne scrissi una, ma era così oscura e negativa che la cestinai subito. Decisi così di abbandonare quest’idea e di percorrere la strada opposta, dandomi la forza e l’autorità per dire, nel miglior modo possibile, cosa stessi vivendo direttamente alla malattia. Speravo di mettere nero su bianco parte dell’esperienza di malattia di altre persone, scrivendo cose che potenzialmente anche loro cercavano di dire. Inoltre, non volevo che il libro fosse noioso o risultasse una semplice cronistoria degli eventi. Volevo fosse il più possibile creativo.
Qual è il suo approccio nei confronti della malattia? Come è cambiato con il passare degli anni?
Cambia settimana dopo settimana, giorno dopo giorno e ora dopo ora piuttosto che anno dopo anno. Dipende moltissimo da come mi sento in un determinato momento. Se torno con la mente al momento della diagnosi, anche se contenuta c’era un po’ di paura e, nonostante accada a molte persone, in quel momento non entrai in uno stato di negazione. Cercai quindi di essere ricettivo e pronto ad accettare ed accogliere la diagnosi, anche perché già da mesi stavo documentando la mia esperienza. Annotavo quello che mi stava succedendo mentre mi sottoponevo a valutazioni mediche molto approfondite, risonanze magnetiche e colloqui clinici. Ciononostante, è stato un po’ uno shock quando mi comunicarono la diagnosi. Dopo un primo periodo di aggiustamento, cercai di essere pragmatico e determinato nel convivere con la malattia, nonostante le montagne russe emotive dei mesi precedenti. Fu dura. Per 3 o 4 mesi tutto fu molto più difficile del solito. Sembrava di vivere un inatteso e prolungato periodo di vacanza la cui fine corrispondeva con una fase di pensionamento anticipato. In quei momenti mi chiedevo: “Cosa ne sarà della mia vita?”. Dopo aver focalizzato le implicazioni di questa domanda fu più facile convivere con la malattia stessa. Volevo capire bene cosa mi stesse succedendo. Perciò lessi moltissimo nei primi 6 mesi: libri, articoli, materiale online. Feci dell’aforisma “l’’informazione è potere” il mio mantra. Più cose imparavo, meglio potevo convivere con la malattia. Questo mi aiutò molto poiché sapevo molto poco di Alzheimer e di demenza quando ricevetti la diagnosi. Mia madre aveva una diagnosi di Alzheimer ed ero convinto fosse solo una malattia che attacca solo chi ha più di 65 anni. Ho imparato moltissimo sulla demenza a esordio precoce. Certo, in questi 10 anni mi ha dato sempre più filo da torcere, mi ha spaventato sempre di più e mi ha dato maggiori frustrazioni. Tuttavia, al di là di tutto, mi ha dato anche molta resilienza. Mi ha fatto conoscere gruppi di persone e di associazioni con cui non avrei mai avuto legami prima e che mi hanno dato tantissimo.
Potrebbe parlarci delle sue strategie di coping? Quali, secondo lei, sono state e sono le più efficaci?
La prima è di vivere alla giornata. Non so bene cosa farò domani o dopodomani. Vivo giorno dopo giorno. Cerco, quando possibile, di pianificare un paio di cose piacevoli nel prossimo futuro. Non parlo di ambizioni particolari o di obiettivi. Parlo di qualcosa che rappresenti una sorta di luce alla fine del tunnel che non vedo l’ora di vedere, così da lavorare duramente per arrivarci. Sono desideroso di accedere a tutto il supporto disponibile. Non concepisco la mia guerra contro la demenza come un’esperienza solitaria. Mi faccio aiutare dalla mia famiglia, dai miei amici e dai professionisti. Non sono orgoglioso di ricevere supporto. Tuttavia ho imparato che l’orgoglio è un’arma a doppio taglio e, soprattutto quando hai a che fare con una condizione come la demenza, è importante sapere quando ingoiare il proprio orgoglio e non lasciarlo dominare. Bisogna essere pronti ad accogliere tutto il supporto disponibile. Mi aiuta molto anche tenermi occupato. Quest’intervista con te è un modo per farlo, mi aiuta molto e in questo senso diventa una sorta di terapia. Per esempio, scrivere per me è difficile ma trovo che sia incredibilmente terapeutico e stimolante lavorare sull’organizzazione dei pensieri alla base del processo della scrittura. Infatti, nei “giorni buoni” cerco di scrivere, nonostante la frustrazione che ne deriva. La strategia di coping alla base è accettare che “i mezzi giustificano il fine”: voglio produrre qualcosa che sia di valore per gli altri, per cui accetto la frustrazione visto il fine che perseguo. Questo è il mio approccio alla demenza in generale. Le due parole chiave per me in questa lotta sono “frustrazione” e “connessione”: credo che la migliore strategia di coping sia rimanere connessi agli altri, ai progetti e alle attività interessanti e, infine, a me stesso. Sento la frustrazione quando faccio fatica ad essere connesso con gli altri, ai vari progetti e, ogni tanto, quando faccio fatica a connettermi con me stesso. Sono due lati di una stessa medaglia. Nella maggioranza dei giorni provo un misto di entrambe le cose ma, fortunatamente, la connessione prevale quasi sempre.
In questi mesi sta lavorando ad altri progetti?
Sì. C’è un libro che uscirà il prossimo mese, chiamato “Time and Place. Collected Poems.”10. È un progetto molto interessante e di cui sono molto orgoglioso. È un progetto di gruppo che ha coinvolto 15 persone con demenza nel Regno Unito. Abbiamo tutti seguito un corso di scrittura di poesie tra giugno e luglio del 2020 durante la pandemia di COVID-19 e le poesie emerse dopo il corso sono state incluse nel libro. Non avevo mai contribuito ad una raccolta di poesie e, nonostante abbia scritto qualche poesia molti anni fa, non avevo scritto nulla di così specifico dall’anno della diagnosi. Il libro è stato sponsorizzato da DEEP e i profitti derivanti dalla vendita andranno a loro.
Quali sono le lezioni più importanti che ha appreso in questi ultimi 10 anni?
Sicuramente l’importanza della connessione di cui parlavo prima è una di queste. Come preside e come consulente scolastico il supporto si trova, ma c’è un incredibile senso di responsabilità sulle proprie spalle. Devi prendere tu le decisioni e tutto torna poi a te. Nonostante ora non viva più queste responsabilità, sento che ci sono persone là fuori pronte ad aiutarmi quando ho bisogno. Questa è una delle lezioni più importanti che ho imparato. In questi ultimi 10 anni ho anche imparato tantissimo sul mondo della demenza, probabilmente più di qualche professionista. Leggo, ascolto, penso e parlo tanto riguardo alla tematica della demenza e, in più, la vivo ogni giorno. Tutto ciò è possibile poichè ho abbastanza tempo da dedicare esclusivamente a questo. Molti professionisti non hanno la stessa disponibilità di tempo e, nonostante abbiano delle buonissime conoscenze, non sempre riescono a cogliere la realtà di questa malattia nel suo insieme. Ho imparato tanto sulla demenza e spero che questa conoscenza possa essere utile agli altri e a me stesso. Infine, negli ultimi 10 anni ho imparato tantissimo su di me. Questo anche perchè non sono più responsabile per tante altre persone come quando ero preside e ho potuto sviluppare un senso di necessità di cura nei confronti di me stesso. Prima mi sentivo molto più a prova di proiettile e invincibile, mentre ora non mi sento così e so che devo sentirmi bene per tenere lontana la malattia. In questo modo posso continuare a svolgere tutti i ruoli che ho ancora nella mia vita: marito, padre, nonno, attivista.
Che consiglio si sente di dare a chi ha appena ricevuto una diagnosi di Alzheimer?
Tutti siamo diversi e unici. Ogni persona deve capire come mantenere il proprio livello di benessere mentre convive con la demenza basandosi sui propri bisogni e sul proprio modo di vivere. Va compreso quello che funziona con quella specifica persona. Serve leggere di demenza, ascoltare contenuti sulla demenza, parlare di demenza, essere coinvolti in attività o progetti che tengano alto il proprio interesse e considerare nuove passioni. Quest’ultimo suggerimento è cruciale perché dal momento della diagnosi ci si sente fuori dai giochi e si crede che si entri in una sorta di discesa verticale molto ripida. In realtà non è così. È vero che la demenza è una malattia progressiva e che peggiora con il passare degli anni, ma non è solo una spirale verso il basso. Esistono i giorni buoni; esistono anche le settimane buone e i mesi buoni. Questi momenti vanno colti e sfruttati. Inoltre, tenere una routine è cruciale per rispondere ai colpi della malattia.
Cosa si sente di dire alle loro famiglie?
Più o meno le stesse cose. La demenza è anche una malattia sociale e familiare. I miei giorni buoni sono giorni buoni per la mia famiglia e lo stesso vale per i giorni cattivi. I famigliari non sono dei robot, sono esseri umani con giorni buoni e giorni cattivi. Poi dipende tutto dal rapporto che si ha con i propri famigliari più stretti.
L’ultima domanda riguarda il COVID-19. Come ha affrontato e sta affrontando la pandemia e come l’hanno affrontata altre famiglie di persone con demenza che conosce?
Penso che la pandemia abbia sottolineato e esagerato praticamente tutto quello che ti ho detto, avendo un impatto molto forte anche sulle proprie strategie di coping. Sono solito usare un’espressione che ho sentito dire da uno psicologo, il quale ha definito la situazione globale che tutti stiamo vivendo come un “corona-coaster”, delle montagne russe sui binari del COVID. Ci sono molti giorni in cui ci si sente bene e la situazione globale è favorevole e ci si sente in cima alle montagne russe. Tuttavia, ci sono molti giorni in cui si scende in maniera repentina e la situazione peggiora per sè e per tutti. Mi sento molto spesso dentro questa metafora virale. Per riprendere il mantra l’”informazione è potere”, all’inizio della pandemia ho voluto studiare e sapere tutto quello che era possibile sapere sul COVID-19, così da poter gestire al meglio la situazione. Questo ha funzionato per un po’ ma in seguito, a causa dell’alto livello di disinformazione, le informazioni che arrivavano erano fuorvianti e creavano confusione. Questo mi ha portato a filtrare quello che arriva dalle diverse fonti di informazione e a cercare di capire cosa sta succedendo nel qui e ora. Perciò, sono molto informato sulla situazione legata al COVID-19 nel Kent, ovvero nel mio contesto mediatico locale, ma ciò che succede a Londra o fuori dai confini nazionali non mi preoccupa più come all’inizio della pandemia. Non ho nascosto la testa nella sabbia e non nego la gravità della situazione a livello globale. Sono semplicemente più preoccupato ed attento a ciò che succede vicino a me, poiché su questo posso avere un minimo di controllo. Ho il vantaggio di essere collegato agli altri tramite la tecnologia e mi ha molto facilitato il fatto di aver utilizzato Zoom prima della pandemia. Questo mi ha aiutato molto nei primi mesi. Direi che la tecnologia è stato un salvavita per moltissime persone. Tuttavia, spero che la nuova normalità che si assesterà nei mesi a venire non dipenderà troppo dalla tecnologia stessa e che sia un ibrido tra ciò che avevamo prima e ciò che viviamo in questo momento storico.
Ringraziamo ancora moltissimo Keith Oliver per il tempo che ci ha dedicato e per le sue parole. Speriamo possano essere utili a chiunque le stia leggendo. Se desiderate leggere o acquistare il libro “Dear Alzheimer’s. A Diary of Living with Dementia” lo trovate al seguente link.
Bibliografia
1) Oliver, K. (2019). Dear Alzheimer’s. A Diary Of Living With Dementia. 1st ed. London: Jessica Kingsley Ltd.
2) Lewis, C. (1998). Le Lettere Di Berlicche. 1st ed. Oscar classici moderni. Cles: Mondadori.
3) National Dementia Action Alliance: rete associativa britannica che dal 2010 è impegnata a mettere insieme varie associazioni che operano in ambito sanitario e sociale per le persone con demenza.
4) Dementia Friendly Community: esperienze di comunitarismo sociale nate nel Regno Unito in cui una città attiva iniziative per includere, comprendere, rispettare e sostenere le persone con demenza e i loro bisogni.
5) Young Dementia Network: una comunità online ed offline nata dall’esperienza di YoungDementia UK, la principale associazione britannica per persone con demenza ad esordio precoce che include le stesse persone con diagnosi, le loro famiglie, i professionisti che si occupano di demenza e assistenza sociale e diverse associazioni.
6) DEEP: Il Dementia Engagement and Empowerment Project è un network Britannico indipendente che associa più di 100 gruppi di persone con una diagnosi di demenza, uniti per i loro diritti le loro problematiche.
7) Mitchell, W. (2018). Somebody That I Used To Know. 1st ed. London: Bloomsbury Publishing.
8) Bryden, C. (2005). Dancing With Dementia. London: Jessica Kingsley Ltd.
9) Swaffer, K. (2016). What The Hell Happened To My Brain?. 1st ed. London: Jessica Kingsley Ltd.
10) DEEP, (2020). Time And Place. Collected Poems. 1st ed. London: Lioness Writing Limited.