In occasione della Giornata mondiale dell’Alzheimer e delle demenze, abbiamo deciso di valorizzare la voce di chi spesso non viene ascoltato: le persone che ricevono la diagnosi. Da quando ci siamo costituiti nel 2014, abbiamo imparato che ascoltare con attenzione chi vive con una delle oltre cento forme di demenza è fondamentale per comprendere ciò che realmente aiuta e ciò che invece crea disagio.
Grazie al coraggio di Simona Ferrari, che l’anno scorso ha partecipato come esperta al convegno della ASL di Modena, il nostro gruppo di lavoro è cresciuto e si è fatto sentire. Da allora, diversi membri del gruppo di Padova hanno seguito il suo esempio di advocacy e preso parte a eventi di sensibilizzazione, tra cui l’importante incontro annuale della Regione Veneto del 17 settembre scorso, dove hanno sottolineato l’importanza di una comunicazione chiara e accogliente riguardo alla diagnosi.
Non erano soli: i gruppi “Girasoli”, attivato dall’Associazione Rindola di Vicenza, e “Fenice”, affiliato alla AULSS 7 di Bassano del Grappa (Vi), hanno unito le forze per incoraggiare l’audience presente all’evento – medici, infermieri e assistenti sociali – a costruire una società inclusiva. Il loro messaggio è insomma sempre più chiaro e urgente: quando le persone con demenza condividono la loro esperienza, sfidano i pregiudizi e restituiscono umanità alle loro vite.
Ecco perché proprio oggi, in questa giornata significativa, abbiamo chiesto a tre membri del nostro gruppo perché hanno scelto di diventare attivisti in un contesto spesso trascurato. Le loro risposte – raccolte da Simona Ferrari, a cui abbiamo chiesto a sua volta di spiegare i motivi del suo attivismo – offrono una prospettiva preziosa sulle attività di advocacy a cui hanno partecipato quest’anno.
Buona lettura!
Dalla Diagnosi all’Attivismo: La voce di Remo Barison nella lotta per la comprensione e il supporto dopo la diagnosi
Remo Barison, 75 anni, vive a Mondovì (CN) con la moglie Federica, sposata nel 2012. Originario di Fossano, dopo aver conseguito la laurea in Scienze Agrarie a Torino, ha dedicato la sua carriera all’insegnamento e alla dirigenza scolastica. Ora in pensione, è padre di due figli adulti: un avvocato e uno scrittore. Appassionato di cinema d’autore, lettura di gialli e calcio, convive da oltre due anni con una diagnosi di demenza frontotemporale, impegnandosi attivamente in attività di advocacy per sensibilizzare sulla condizione delle persone con demenza.
Ciao Remo, cosa ti ha spinto a fare advocacy?
Mi ha spinto la consapevolezza di poter essere utile a qualcun altro.
Perché è importante per te fare advocacy?
E’ importante perché è difficile che le persone capiscano fino in fondo qual è la situazione di chi è come noi.
Lo scorso aprile sei stato invitato a parlare all’Alzheimer Cafè organizzato dal Servizio Innovazione Sviluppo della Diaconia Valdese. All’incontro c’erano oltre 50 persone, tra famigliari e persone con demenza, tutti molto interessate a parlare con te. Come ti sei sentito in quell’occasione?
[ndr. Remo risponde ridendo] Dal vivo a Pinerolo sono stato intervistato da una banda di “scalmanati” che mi hanno messo un po’ a dura prova in verità!In realtà, io in genere reagisco bene a questi stimoli e quindi non mi sembra di avere difficoltà particolari, sia dal vivo che online [ndr. Remo è abituato a parlare in pubblico, è stato preside per alcuni anni di un istituto agrario].
A Pinerolo, ho parlato del fatto che non è vero che la nostra situazione quando riceviamo la diagnosi non cambia… cambia eccome! Quindi mi sono preoccupato di segnalare che i cambiamenti a cui andiamo incontro sono difficili da sopportare… Ad esempio, io mi sono accorto delle mie difficoltà mentre ancora lavoravo come preside. Già allora mi ero reso conto di perdere dei “pezzi per strada”.
Che cosa consigli alle persone che convivono con la diagnosi?
Secondo me bisogna sforzarsi di rimanere attivi il più possibile; ognuno è costretto a cercare nei propri angoli bui quello che sa fare meglio. E’ importante che ci sia una reazione a quello che sta succedendo. Sicuramente, tutto può servire come stimolo. Ma soprattutto non bisogna rassegnarsi: ognuno deve sforzarsi di trovare uno sbocco positivo in base ai propri interessi… io per esempio mi sono buttato sul nuoto.
Poi ultimamente ho fatto una crociera con mia moglie Federica che mi è rimasta molto in mente… vorrei poter fare un’altra crociera, un altro giro.
Vivere bene oltre la diagnosi: Tiziano Tracanzan e il suo impegno di advocacy nella sua comunità
Tiziano Tracanzan, 64 anni, è nato e cresciuto a Grantorto, in provincia di Padova. Dopo una carriera come responsabile commerciale che lo ha portato a viaggiare in tutto il mondo, ha ricevuto due anni fa la diagnosi di Alzheimer a esordio precoce. Oggi partecipa attivamente a gruppi di auto mutuo aiuto e organizza eventi per promuovere una maggiore comprensione e inclusione delle persone con demenza nella comunità. La sua passione per le moto da turismo continua a ispirarlo, mentre si impegna a vivere bene giorno dopo giorno, attraverso l’esperienza della diagnosi.
Ciao Tiziano, che cosa ti ha spinto a fare advocacy?
Parto da lontano per farti capire: quando sono uscito dall’ospedale dopo la diagnosi ero alla ricerca di qualcosa che mi facesse sentire utile. Mi sono detto: “Devo fare qualcosa!”. Prima di conoscere Novilunio avevo già qualcosa che mi frullava nella testa. Poi ho conosciuto Eloisa e Cristian e dopo il secondo incontro mi sono detto: “Questa è la mia via, voglio fare questo!”. Ho capito che devo fare quello che mi fa stare bene… non voglio che nessuno mi rompa le scatole perché ho questa diagnosi! Anche perché andando avanti sarà anche peggio… in questo momento voglio vivere bene.
Ho chiesto a Eloisa e Cristian se avevano bisogno di qualcosa che potevo fare per loro e così sono partito: mi hanno chiesto di aiutarli a fare una ricerca delle associazioni italiane che si occupano di Alzheimer in Italia e poi sono andato avanti come volontario, dando una mano nei gruppi con persone che hanno problemi più gravi. Mi sono trovato molto bene.
A Eloisa e Cristian ho chiesto di spingere ancora di più su quello che stiamo facendo, di portarlo fuori, di farlo sapere a più persone. Ecco perché anche quello che stai facendo tu Simona è importante.
Che cosa ti ha spinto a organizzare un evento di sensibilizzazione nel tuo paese, a Grantorto?
Tutto è partito quando sono venuto a Modena, all’evento organizzato dal Dott. Fabbo, in cui c’eri tu anche Simona. Ti ho vista presentarti davanti a tutto il convegno e ho pensato “Posso farlo anch’io”.
Io mi trovo bene a parlare in pubblico perché lo facevo già per lavoro. Allora ho chiesto a Novilunio: “Perché non possiamo fare una cosa simile anche nel nostro “piccolo”?” E così, dopo Modena, mi sono convinto e sono andato a rompere le scatole per organizzare il tutto.
Tra l’altro con Eloisa qualche tempo prima avevamo incontrato l’Assessora dei servizi sociali di Padova che mi sembrava interessata a organizzare eventi per spiegare l’Alzheimer anche ai bambini che a casa possono avere un nonno, una nonna oppure un genitore, che si può trovare in questa situazione. Sarebbe da fare una proposta per lavorare con le scuole, ma non so se vogliono portarla avanti. Per il momento abbiamo pensato di rivolgerci agli adulti.
Che cosa è successo dopo la serata a Grantorto? Hai notato dei cambiamenti nel modo in cui le persone si relazionano con te nel tuo paese?
Sì adesso quando qualcuno mi vede per la strada, mi riconosce. In tanti mi chiedono come sto: però non ho ancora trovato persone come me, perché in questa zona tendono a “tenere in casa” una persona con questa malattia fino alla fine. Secondo me quello che stiamo facendo adesso è una cosa bellissima!
Che cosa consigli alle persone che convivono con la diagnosi?
Innanzitutto ci vorrebbero più risorse… ad esempio per fare attività con gli animali (a me piacciono i cavalli e i cani) o per fare pet therapy. Vorrei anche che ci fossero più posti dove le persone possono essere stimolate. Io non sono portato a coltivare l’orto (ndr. come il nostro Frank), io sono per la moto o i cavalli. Ma soprattutto sono per avere spazi più ampi!
Secondo me bisogna farsi vedere di più, farsi conoscere sui social, sui giornali, sul sito di Novilunio. E’ molto importante! Bisogna anche pensare a idee nuove per andare fuori, partecipare a eventi… ad esempio il 20 settembre parteciperemo all’evento di Verona! La cosa più importante secondo me è che ci sia tanta vita oltre la diagnosi!
Raccontare per comprendere: Simona Ferrari e il potere dell’advocacy
Simona Ferrari vive a Castelfranco Emilia con il marito Gianni e i loro tre figli. Dopo 24 anni come impiegata, si è dedicata al lavoro sociale, assistendo persone con fragilità fisiche e psichiatriche. Ricevuta la diagnosi di demenza a esordio precoce nel 2020, ha unito le forze con l’associazione Novilunio, dove scrive articoli e partecipa a gruppi di auto mutuo aiuto. Attivamente coinvolta nella sensibilizzazione sulla demenza, ha debuttato come advocate alla conferenza “La demenza oltre la malattia” nel settembre 2023. Nel tempo libero, ama viaggiare, fotografare paesaggi naturali e godere dei momenti speciali della vita.
Ciao Simona, cosa ti ha spinto a fare advocacy?
Quando ho conosciuto Eloisa e Cristian mi sono trovata bene, mi sono sentita ascoltata in modo gentile ed empatico. Sono stata coinvolta nel loro corso online “Vivere bene con la demenza” e mi sono sentita come non mi era mai successo. Così ho sentito il bisogno di contraccambiare, anche per aiutare chi magari si fosse trovato in una situazione simile alla mia!
Eloisa mi ha fatto conoscere alcuni libri di Kate Swaffer e Wendy Mitchell, due attiviste molto famose. I loro libri mi sono piaciuti veramente tanto, in diversi passaggi mi sembrava di rivivere alcuni episodi della mia vita. Da lì in poi Eloisa mi ha incoraggiata a scrivere della mia esperienza sul blog di Novilunio. Mi sento coinvolta e felice!
Nei due anni precedenti la mia diagnosi per lavoro avevo aiutato una signora con disturbo psichiatrico e avevo notato che nelle visite a volte non veniva ascoltata nel modo adeguato. Capivo che lei ci stava proprio male, probabilmente anche questo ha influito sulla voglia di esprimere il mio punto di vista.
Perché è importante secondo te fare advocacy?
Innanzitutto perché ci sono persone che si trovano in imbarazzo davanti chi convive con una demenza – non capiscono che siamo ancora le stesse persone di prima, magari con qualche difficoltà in più, tutto qui. Nel mio piccolo sto provando a scalfire questa incomprensione che purtroppo è ancora tanto presente nella società, ma che secondo me non ha più ragione di esistere. Ogni volta che qualcuno di noi parla in pubblico crea un ponte di comunicazione.
Come ti senti quando sei coinvolta nelle iniziative di advocacy, online oppure dal vivo?
Le prime volte che mi sono collegata online per fare una presentazione ero molto emozionata perché ero consapevole che stavo facendo qualcosa di importante. Ancora adesso mi concentro soprattutto sul parlare correttamente, quindi mi tengo una traccia delle cose da dire, per non perdere parole nel discorso. Quest’anno con Novilunio ho partecipato a tre iniziative online di formazione e sensibilizzazione, ma non avendo preso appunti, ne ho un ricordo abbastanza vago.
L’esperienza dal vivo a Modena dell’anno scorso è stata ancora particolarmente emozionante. Mi sono preparata e ho letto il mio discorso seduta perché mi tremavano le gambe! Però la felicità di quei momenti ti fa vivere serena anche nei giorni successivi, è una bellissima sensazione!
Cos’altro si potrebbe o vorresti fare per promuovere il punto di vista delle persone che ricevono la diagnosi?
Vorrei aiutare a scrivere un manuale di testimonianze per persone che hanno appena ricevuto la diagnosi. Sto già collaborando con Novilunio per cercare contenuti ed elaborarli insieme agli altri partecipanti del nostro gruppo.
Mi piacerebbe anche contribuire in qualche video, magari con le nostre interviste e testimonianze da pubblicare nel sito di Novilunio.
Vorrei anche diffondere il messaggio alle scuole elementari perché, come diceva Tiziano, i bambini adesso sono molto svegli e possono captare segnali di difficoltà dei propri nonni all’interno della famiglia. E’ importante insegnare ai bambini che non bisogna prendere le distanze dai nonni se hanno difficoltà cognitive, e incoraggiarli a volere loro ancora bene, insegnare ad essere inclusivi e sensibili.